5 Giugno 2008

“De Reditu Nostro”

Si è svolto in una soleggiata Fiume l’VIII raduno della Mailing List Histria. Nella splendida cornice di Palazzo Modello, la manifestazione si è divisa in due parti: durante la mattinata di domenica 1 giugno si sono svolte le premiazioni del concorso dedicato alle Scuole della minoranza italiana d’Istria, Fiume e Dalmazia; al pomeriggio, gli interventi sul tema che ha caratterizzato l’edizione 2008: “De Reditu Nostro: speranze e prospettive per un possibile ‘ritorno a casa’ degli esuli giuliano-dalmati e delle loro famiglie”.

La Mailing List Histria è prima di tutto un’allegra e monolitica famiglia con cui è molto piacevole trascorrere il tempo. Merito del master, Axel Famiglini, tanto giovane quanto ormai affermato nel suo ruolo. Merito poi di tutti gli attivisti: dal principe dell’ottimismo, Gianclaudio de Angelini, al sempreverde Lino Vivoda, direttore di “Istria – Europa”; dall’energia delle instancabili colonne femminili Maria Luisa Botteri, Eufemia Giuliana Budicin, Maria Rita Cosliani e Patrizia Lucchi (si segnala l’assenza giustificata della dignanese Romana Sansa), alla gioiosa carica che riescono a dare personaggi come Walter Cnapich, Olinto Mileta Mattiuz e Sergio Uljanic. Il tutto passando per i più giovani, come Luca Covella ed Alessandro Marco Fusco, giunto addirittura da Foggia!

Il vero artefice del raduno fiumano, però, è stato un veneto di origine zaratina, Giorgio Varisco, sguardo e sigaretta pendula alla Humphrey Bogart. A seguire il suo preziosissimo intervento (per gentile concessione di Axel Famiglini). Tra gli altri intervenuti segnaliamo: Giacomo Scotti, Guido Brazzoduro, Maurizio Tremul, Cesare Papa, Valerio Di Donato ed Ondina Lusa.

 

Speranze e prospettive per un possibile “ritorno a casa”

degli esuli giuliano – dalmati e delle loro famiglie.

 

Per parlarne con maggior competenza sarebbe necessario analizzare il contesto umano, sociale, politico, culturale, oltre che economico, nel quale il ritorno dovrebbe avvenire, sia per gli esuli che per gli Stati di Slovenia e Croazia.

E’ un argomento che non considero di attualità di cui tuttavia ritengo opportuno iniziare a parlarne senza fraintendimenti, come si parla tra amici, ad un popolo che presto meriterà di far parte dell’Unione Europea.

Mi sarebbe piaciuto affermare il contrario, ma ritengo che il mondo degli esuli di prima, seconda e successive generazioni, se è molto sensibile e favorevole a visite periodiche per conoscere e soggiornare per brevi periodi nelle terre di origine, sia poco interessato al ritorno inteso come scelta per una nuova e durevole residenza in Paesi come la Slovenia e la Croazia.

Dopo la drammatica cacciata dalle proprie case, la perdita dei beni e l’aver vissuto difficili situazioni di vita in Italia ed altrove per più di mezzo secolo, nell’obiettivo di raggiungere una tranquillità non solo economica, si è indotti a pensare che, pur in circostanze favorevoli non vi sia molto interesse per un ritorno, se non per una esigua minoranza di esuli.

Con tale affermazione tranquillizziamo quella parte del mondo della politica e del clero che periodicamente, in maniera disinformata dichiara di temere, o fa credere di temere, l’invasione italiana.

Ciò anche se, in via solo teorica, il ritorno dal punto di vista morale sarebbe un diritto, il coronamento di un sogno accarezzato da sempre dagli esuli e che potrebbe rappresentare una importante fonte di ricchezza per i Paesi ospitanti.

Ma il concetto di sviluppo che sarebbe promosso da una significativa presenza di esuli e di italiani in genere, non è nei programmi delle classi dirigenti di questi Paesi. Anzi per quel che si può capire scorrendo le cronache dei giornali, i governi non vedrebbero con favore un simile fenomeno.

Basti ricordare le più recenti resistenze della Croazia contro l’acquisto di beni immobili nel suo territorio da parte di cittadini italiani, secondo le norme che regolano le domande di adesione all’Europa. Chi doveva sapere sapeva, ma non ha avuto dubbi nel promuovere un’aperta resistenza alle domande di acquisto di immobili adducendo motivazioni pretestuose tanto da far intervenire l’autorità europea.

Se le attuali classi dirigenti in Croazia ritengono che gli italiani sarebbero adatti a promuovere lo sviluppo nella Slavonia, ma non sulla costa dell’Adriatico, si può solo immaginare cosa penserebbero di una qualificata presenza di italiani nei loro territori di origine.

Tale pensiero evidentemente non è un dogma insuperabile, le classi dirigenti possono cambiare, tuttavia è un atteggiamento psicologico oltre che culturale, che la dice lunga su cosa in Croazia si pensi, non tanto degli esuli, ma anche solo degli italiani, che sono ben considerati solo come turisti.

Questo da parte di tutti i Partiti rappresentati al Sabor, senza esclusione alcuna, e pertanto dalla stragrande maggioranza della popolazione che in tal senso pensa ed è stata educata.

Molto cammino pertanto deve ancora essere fatto sul piano culturale e politico per creare anche solo i presupposti per un, anche se limitato, ritorno nelle terre di origine di istriani, fiumani e dalmati.

Del ritorno nei tempi brevi potrebbero essere protagoniste persone che, raggiunta l’età della pensione, scegliessero di stabilirsi, per periodi più o meno lunghi, nelle terre di origine. Ciò sempre se ritenessero di essere tutelate nei loro diritti di cittadini europei dall’attuale grado di sviluppo della stato di diritto di questi Paesi.

La restituzione dei beni agli italiani, seppur parziale, da parte di questi governi potrebbe essere ritenuto motivo d’interesse per gli esuli e potrebbe rappresentare un importante fattore per favorirne il ritorno. Ma è solo il caso di ricordare che questo è un argomento ben lontano da una qualsiasi soluzione.

 

Con riguardo alle eventuali e parziali restituzioni sono peraltro convinto che la stragrande maggioranza degli esuli, se fossero loro restituiti i beni nazionalizzati dal regime comunista jugoslavo, ben pochi ormai ne sono rimasti nella disponibilità dei governi, si affretterebbe a disfarsene nei tempi più solleciti.

Il ritorno a casa, con quali modalità, a quali condizioni.

In alloggi da acquisire in proprietà ? In alloggi presi in affitto ? Per soddisfare quale fine, interesse o convenienza. A parte il grande amore per la propria terra, per godere, finché dura, dell’attuale minor costo della vita ?

Per godere dei benefici del mare e del paesaggio ?

Forse troppo poco per chi è uso a standard di vita diversi, certi disagi si sopportano benevolmente per una breve vacanza, diverso sarebbe doverli vivere ogni giorno.

E’ poi il caso di ricordare come alcuni di noi abbiano avuto la fortuna o l’avventura di acquisire i beni per successione e che li usa come sede di vacanza per sé e per la sua famiglia. Non sono moltissimi, ma senza generalizzare, è bene dirlo, chi più, chi meno, si è trovato e si trova a combattere ogni giorno con problemi non facili da risolvere. Lingua, leggi, burocrazie, usi, mentalità, resistenze di varia natura non aiutano nell’impresa.

Finora ho fatto l’ipotesi di scelte effettuate da pensionati, ma per chi è più giovane e lavora, o dovrebbe lavorare, quale sarebbe la situazione in cui si troverebbe.

Andrebbe a risiedere in Paesi dove il tasso di disoccupazione è più elevato che in Italia, nei quali quando c’è, vi è un’industria poco sviluppata, il commercio e il turismo sono nelle mani di ben organizzate oligarchie locali, poche sono inoltre le attività del terziario sviluppato.

Dovrebbero inoltre considerare se sia opportuno risiedere in Paesi in cui lo stato sociale e le relative tutele sono inferiori a quelle di cui oggi godono in Italia, malgrado l’attuale crisi dell’occupazione. Ciò solo perché questi Paesi sono di fatto meno ricchi dell’Italia.

Il giovane dovrebbe inoltre imparare a scrivere e parlare una lingua che non è la sua o che poco conosce e con riguardo al mondo del lavoro, vivere, le medesime difficoltà oggi riservate agli italiani in Alto Adige; o almeno le stesse che vivono oggi i giovani della minoranza italiana.

Potrebbero inoltre nascere conflitti sociali e d’interesse anche con la stessa minoranza italiana, per i quali forse non vi sarebbe autorità sufficiente per tutelare nessuno, men che meno i discendente di esuli.

E quale, anche solo per ipotesi, sarebbe l’accoglienza agli esuli da parte dei governi di Slovenia e Croazia ?

Per le autorità civili e di polizia, a meno che il fenomeno non risulti sporadico e di esigua consistenza numerica, come è stato fino a ieri in Italia e come per molti oggi qui siamo considerati, saremmo pericolosi irredentisti.

Ci vorrà ancora del tempo prima che nei libri di scuola sia insegnata quella cultura di respiro europeo che, magari male o anche solo parzialmente, abbiamo imparato nelle scuole italiane. Quella cultura che il mondo occidentale conosce, soprattutto quella della tolleranza.

 

Sloveni e croati sono portatori di un forte sentimento nazionale che ha avuto inizio con la vittoriosa lotta di liberazione, si è esaltato in cinquant’anni di vita in una repubblica social comunista, è stato vissuto in momenti anche drammatici nella più recente, sanguinosa guerra civile e si è definitivamente cementato in più di quindici anni di democrazia.

 

Situazioni nelle quali i principi e le regole sono spesso lontani da quelli che si sono patrimonio di una democrazia occidentale, anche imperfetta, come quella italiana.

I figli dei nuovi emigrati frequenteranno le scuole locali, anche di lingua italiana, per imparare una cultura diversa dalla nostra, secondo i programmi culturali di quei governi. Solo per fare un esempio, la Repubblica di Venezia non è un faro di civiltà, ma una bieca potenza colonizzatrice.

Ricordo che durante l’Impero austro ungarico il problema dell’insegnamento nelle scuole fu una importante, non la sola, causa dell’esodo degli italiani dalla Dalmazia dopo il 1848.

Non aggiungo altro perché parlo tra amici, croati e italiani, e l’argomento è molto delicato, né voglio sembrare poco rispettoso nei confronti di nessuno. Nel proprio Paese ognuno ha il diritto di professare a suo modo la propria cultura.

In Croazia vi sono poi da risolvere alcuni altri problemi, tra questi ad esempio quello della giustizia civile e penale e la sua capacità di contrastare le oligarchie locali, politiche ed economiche, che talvolta operano in regime di impunità.

Problema questo che la Croazia dovrà superare nei tempi più solleciti, almeno questo è l’augurio, e che fanno parte dei protocolli per la sua entrata in Europa.

Ritengo che le oligarchie politiche ed economiche siano responsabili del rallentato sviluppo della Croazia che negli scorsi decenni è ampiamente rimasta tagliata fuori dalle delocalizzazioni e dagli investimenti di altri Paesi che hanno preferito e con successo mettere sede alle loro attività più ad oriente.

Nel tempo e solo con l’integrazione europea, ci auguriamo potranno venir accelerati e risolti molti processi di sviluppo culturale ed economico, ma, come è accaduto per tutti gli altri popoli, fatta l’Europa, resterà da “fare” i croati.

E ci vorrà molto più tempo di quello che ci separa dalle scadenza istituzionale europea finora ipotizzata.

E’ bene che i Croati sappiano che l’Europa non è solo una stampella su cui poter contare, rappresenta anche una parziale rinuncia alla propria sovranità, l’Europa è anche e soprattutto solidarietà, mezzi finanziari ed aiuti a favore dei paesi più poveri del mondo.

Quale futuro allora per il ritorno degli esuli ?

A breve nessun futuro, ma per la lingua, la cultura e l’economia italiane le prospettive sono e saranno sempre in continua e progressiva crescita, e non solo nei Balcani.

A mio avviso vi è ancora un altro problema che si affaccerà sulla scena politica croata con la sua entrata in Europa, la cultura per continuare a svilupparsi dovrà scegliere se far riferimento al mondo germanico o a quello latino-italiano, o ad entrambi.

Inoltre dal punto di vista economico inevitabilmente in Istria e Dalmazia, quando e se le condizioni consentiranno investimenti con uguale possibilità per tutti, come lo è stato nei tempi passati e nei più recenti in Ungheria, Romania, Cechia ed in altri Paesi dell’Europa orientale, l’Italia sarà tra i protagonisti da ogni punto di vista.

Diversamente la Croazia resterà sostanzialmente esclusa dai processi dello sviluppo internazionale, ma questo mi auguro non accada.

Se si vorrà favorire per i popoli dei Balcani il diritto allo sviluppo, in particolare per i popoli della costa adriatica che ci sono più vicini, inevitabilmente un giorno torneranno oltre Adriatico generazioni di Pugliesi, Marchigiani, Veneti, Lombardi, Genovesi, Toscani e Piemontesi che ancora una volta scriveranno insieme a Croati, Serbi, Albanesi, Istriani e Dalmati una nuova storia di civiltà e di sviluppo in Adriatico.

Noi forse non ci saremo, ma questo è il mio augurio.

Giorgio Varisco

Tag: , , , , , , , , , , , , , , , , , , .

3 commenti a “De Reditu Nostro”

  1. Dejan Kozina ha detto:

    “Sloveni e croati sono portatori di un forte sentimento nazionale che ha avuto inizio con la vittoriosa lotta di liberazione …”
    Huh? E prima invece il nulla? Potrebbe essere il caso di consigliargli di leggere, che so, il Pirjevec oppure “Cime irredente”…

  2. asem ha detto:

    C’è qualcuno di questi che sappia il croato o lo sloveno?

  3. Più il croato che lo sloveno. E – del croato – sanno la variante dialettale c’akava.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *