20 Maggio 2008

Pericolo neofascista in Italia: solo ora?

Oggi la Frankfurter Allgemeine Zeitung dedica un lungo articolo alla situazione italiana dopo le ultime elezioni.
L’ autore, Dirk Schümer, corrispondente FAZ da Venezia, inizia con la fotografia di un enorme ritratto di Mussolini, già ricoperto d’intonaco su una casa in Piemonte, da pochi giorni restituito agli antichi fasti, secondo il sindaco (di sinistra) “come testimonianza della dittatura fascista”.
L’ autore prosegue commentando che non solamente il Duce buonanima ha nuovamente congiuntura dopo le recenti elezioni, ma anche i suoi affezionati ammiratori hanno preso coraggio: a questo proposito riporta l’insediamento del sindaco di Roma, Alemanno (AN), che, secondo il giornalista, porta ancora una croce celtica sulla maglietta che indossa sotto alla camicia, e si lasciò applaudire da una nutrita schiera di camicie nere al grido “Duce! Duce!”. Quest’atmosfera sembra essere confortata dalle affermazioni di Berlusconi il 25 aprile, che invitavano, sì, al rispetto dei valori della Resistenza, ma anche a capire i motivi dei “ragazzi di Salò”.

Come mai in Italia certe nostalgie sono da sempre coltivate e non demonizzate fino all’estrema conseguenza come in Germania? La prima risposta dell’articolo si basa sulla composizione politica degli antifascisti italiani nel 1943-1945: accanto a democristiani e socialisti si schierarono un po’ tutti, anche i monarchici e gli stalinisti. La contrapposizione Mussolini-Stalin, pur zoppicando in parecchi punti, è stato un collante della società italiana, dal 1945 ad oggi. Qui mi sembra che l’interpretazione del mondo di Guareschi sia un po’ semplicistica: Don Camillo parlava con Cristo, non con Mussolini…
Comunque, la conclusione mi sembra plausibile: l’isolamento dei vecchi fascisti in una società in cui gli “stalinisti” conquistavano i Comuni e le poltrone di sindaco ed amministravano onestamente la periferia.
Qui l’autore fa entrare in gioco Ernst Nolte e la sua teoria dei totalitarismi, secondo cui fascismo e comunismo si demonizzarono a vicenda, buttando benzina sul fuoco, invece che rappacificare gli animi. Secondo lo storico Giovanni de Luna, la benevola interpretazione del fascismo propria dell’Italia è stata dovuta all’opinione diffusa, che Mussolini avesse avuto un’unica colpa: quella della persecuzione razziale contro gli Ebrei. Se non avesse seguito Hitler su quella strada, i picchiatori sanguinari, le brutali guerre di conquista in Africa, la militarizzazione del Paese e la soppressione del Parlamento e delle elezioni sarebbero state sciocchezzuole. Ora segue una frecciata alla Signora Fiorani, che si crogiola in discussioni televisive sul nonno, ottimo padre di una rispettabile famiglia.
Ernesto Galli Della Loggia dà la colpa di quest’attitudine singolare alla strategia della sinistra, mirante a considerare il “Nazifascismo” come una cosa sola, con la sua componente “nazista” dimostratasi peggiore dello stalinismo, dimenticando così i tanti cadaveri nell’armadio propri del fascismo.

Ora l’articolo tocca cose di casa nostra: il sindaco di Trieste (sul giornale attribuito ad AN) si rifiuta di rendere omaggio ai caduti della liberazione, onorando solo le vittime dell’occupazione titina e a Trieste poco fa ha avuto luogo un raduno di camice nere sotto la casa della cultura slovena, con insulti e schiamazzi. Simili episodi sono elencati nelle città di Mantova, Verona, Treviso e Vicenza, dove il fascismo informa di sè i tifosi degli stadi.
Nuova esagerazione: Gentilini, il sindaco di Treviso “di estrema destra” tiene discorsi sull’opportunità di impallinare i profughi (mi sembra che proprio di profughi non abbia mai parlato) e fare “pulizia etnica” dei gay.

Alla fine il giornalista giunge ad una forzatura bella e buona: nelle ultime elezioni il circolo vizioso Duce-Stalin è stato interrotto, perchè si è spezzata l’alleanza comunisti-democristiani che sostenne la Resistenza. La sinistra ha perso, ma è stata privata della sua ala estrema ed ora Berlusconi incita a ripensare le posizioni dei “perdenti” di allora.

Magari certi elementi sono stati colti bene, come l’annaquamento sistematico dei crimini legali, culturali, politici e bellici propri del fascismo, nascosti ad arte dietro a quelli, più gravi, ma non immensamente più gravi, del nazismo. Ma io stento a credere che la responsabilità dei pellegrinaggi a Predappio, di certe bombe degli anni ’70, di certi atteggiamenti per lo meno ambigui di una certa parte politica italiana, siano colpa di Peppone e di Baffone.

Quando mai, negli ultimi 20 anni la sinistra italiana, anche quella estrema, si è richiamata, non dico a Stalin, ma nemmeno a Lenin? Ovviamente, a prescindere dalla provenienza di certi fondi in certe casse di partito.

Conoscendo l’ambiente culturale tedesco, mi sento di affermare che spesso anche il tedesco di tendenze diciamo, non ultrademocratiche, elogia Mussolini per non farsi prendere in castagna ad elogiare un oscuro oggetto del desiderio con riga e baffetti, che, guarda caso, imparò la lezione da Mussolini ed arrivò al potere 12 anni dopo di lui, sfruttando proprio la paura che incuteva il Rotfront di allora, quelli sì pronti a chiamare Baffone a difenderli.

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95 commenti a Pericolo neofascista in Italia: solo ora?

  1. enrico maria milic ha detto:

    mi pare un ottimo articolo ovvero un’ottima critica, julius.

    mi chiedo anzi ti chiedo se questo articolo possa essere rappresentativo, nelle sue imperfezioni e lacune, del tipo di ritratti dell’italia che vengono fatti sui media di massa in tedesco.

  2. Demetrio Filippo Damiani ha detto:

    “la democrazia è la peggior forma di governo, fatta eccezione per tutte le altre”: se questo era il pensiero di churchill, come non comprendere (vista l’epoca e le cause che ne hanno determinato l’ascesa al potere) -non giustificare, ben inteso- la deriva totalitarista voluta da altri leader certamente meno illuminati… va tuttavia contestato, per scendere nel merito dell’articolo, che il fascismo non viene considerato un regime totalitario a tutti gli effetti: la sua definizione esatta secondo de felice sarebbe “totalitarismo imperfetto”, mancando esso di una “dottrina guida” (la “dottrina del fascismo” del 32 non viene infatti tenuta in considerazione). oltretutto, sempre lo stesso de felice in “rosso e nero” sottolinea come il movimento di resistenza sia in effetti stato esagerato da un numero elevatissimo di adesioni ex post. un tanto per chiarire due passaggi citando il principale studioso del fascismo. ciò detto, trovo preoccupante leggere ancora gli osanna alla liberazione e le condanne ai morti repubblichini. posto che la storia ha già messo in luce torti e ragioni di vinti e vincitori, speravo che a 60 anni e passa dalla guerra civile si potesse ragionare senza esprimere giudizi etici o politici dei morti dell’una e dell’altra parte. purtroppo ha ragione de felice quando afferma che la contaminazione ideologica impedisce ancora oggi (per lui, parecchi anni fa ma comunque molti dopo la fine della guerra) una chiara e serena analisi sui fatti dell’epoca. i ragazzi di salò a mio avviso hanno la stessa dignità di quelli della resistenza perché pur combattendo per un’ideale che la storia ha bocciato senza appello per esso hanno sacrificato la vita. era la loro idea di libertà. con il senno di poi certamente errata, ma a molti anni di distanza è facile sputare sentenze.

  3. mezzoscemo ha detto:

    Io mi disfo d’alcool e altro, perchè non ho lavoro o perchè anche mi piace e mi fa sentire libero. Poi magari muoio. Mi sento proprio identico a chi muore con elmetto e scarpe d’ordinanza sul lavoro cadendo da un’impalcatura. Siamo proprio la stessa cosa.
    Io adoro correre con la mia macchina a 200 all’ora in autostrada – mi da un gran senso di libertà- e se posso lo faccio da ubriaco (mi piace di più). Quando mi schianto sono proprio identico a quello con cui mi sono spiaccicato. Chi se ne frega! Nella morte siamo uguali. Frattaglie.
    Ma io sono mezzoscemo.

  4. Demetrio Filippo Damiani ha detto:

    divertente ma non pertinente. non ritengo scemo chi ha scelto la parte della rsi, e neanche mezzo scemo. questo è il solito discorso preconcetto di chi ha una visione limitata della storia. paradossalmente, un modo di pensare molto mussoliniano.

  5. Julius Franzot ha detto:

    @Enrico: questo articolo nella stampa tedesca è un novum: nomina cose tabuizzate da decenni, finalmente sfata il mito degli “italiani brava gente con chitarra, mandolino e mafia”, che tanti danni ha fatto all’ obbiettività storica in Germania (in Austria su questi temi è ancora molto peggio: Mussolini viene visto da almeno il 40% della popolazione come un riformatore rigoroso, ma in fondo pacifico (sic))
    Con tutti i suoi limiti e le sue forzature, considero questa una presa di posizione coraggiosa ed innovativa. Forse fa anche bene chiedersi, nella Repubblica Italiana, se forse non si sta ammorbidendo troppo la dittatura fascista. Gli inizi (magari di un “ritorno”) sono sempre all’acqua di rose e penso che l’Italia non sia ancora abbastanza vaccinata contro in virus del totalitarismo. Non voglio essere profeta di sventure, ma un miliardario in Euro che vuole il premierato forte, considera il confino fascista “una villeggiatura”, parla di “dittatore bonario”, si allea con i postfascisti ed in parte li assorbe nel suo partito-azienda, abbia un po’ troppe affinità con la famiglia von Bohlen-Haibach (=Krupp), che diede ad Adolf i soldi per vincere le elezioni nel 1933.

  6. mezzoscemo ha detto:

    Un premierato in euro coi soldi degli italiani ragalatigli da Craxi. Così, visto che sono solo mezzoscemo.

  7. sandi ha detto:

    leggetevi “Fascisti senza Mussolini” di Parlato, “L’ amnistia Togliatti” di Franzinelli, “Come nasce la Repubblica” di Nicola Tranfaglia e magari anche “Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi” di Ginsborg. E per quanto riguarda l’oggi magari fate un giretto a vedere a chi si intitolano piazze, monumenti ecc. e a chi da i riconoscimenti ogni 10 febbraio “la repubblica nata dalla resistenza”. E queste cose non servono al passato, che è passato, ne ai morti, che sono sotto terra, ma all’oggi e ai vivi di oggi. E tra morti fascisti e morti antifascisti la differenza non si basa su valutazioni morali dei singoli (che c’erano fascisti brave persone e antifascisti da buttare), ma sulla valutazioni di quelli che erano gli scopi per i quali (coscientemente o meno) si battevano.
    Ma non rpeoccupatevi, la riscoperta dei gascisti non è una questione solo italiana: in Slovenia succede con i domobranci, in Serbia con i cetnici, in Croazia con gli ustasa e via così. che forse sono anche più avanti, come in serbia, dove i cetnici sono equiparati ai partigiani anche a livello pensionistico, o in croazia, dove uno dei più noti rocker (Thompson) inneggia a Jasenovac, o in Slovenia, dove ai domobranci morti, anche in combattimento, credo venga (o c’è la proposta di farlo) riconosciuto il titolo di “vittime dell’occupazione” (sic!) e i corrispettivi diritti pensionistici.
    ma forse li nessuno a livello istituzionale si azzarda ancora a dire che fino al ’24 il fascismo è stato positivo (Berlusconi, 1994) e cose del genere.
    scusate l’intrusione

  8. pierpaolo ha detto:

    a proposito della croce celtica di alemanno http://www.corriere.it/politica/08_aprile_20/alemanno_croce%20_celtica_1d42c05e-0ee9-11dd-b370-00144f486ba6.shtml

    dare del fascista all’avversario politico è un modo per screditarlo e basta (e tale metodo non mi sembra tanto democratico..), nessun sano di mente potrebbe mai pensare che in italia ci sia davvero una deriva fascista.

  9. Demetrio Filippo Damiani ha detto:

    purtroppo questo è il triste livello sul quale si è attestata la comunicazione politica dei grandi leader. da una parte gridano al “pericolo fascista”, dall’altra a quello comunista. non mi sembra molto edificante, considerando i problemi reali ai quali si dovrebbe far fronte….

  10. enrico maria milic ha detto:

    sandi,
    tu continui a prendere fatti isolati come rappresentativi della cultura diffusa tra i cittadini.
    fai un salto logico senza senso.
    se si intitolano strade a trieste a grilz, questo non vuol dire che i triestini siano neofascisti.
    non vuol dire che la maggioranza di triestini che ha eletto l’attuale giunta di centrodestra sia neofascista.
    non vuol dire che dipiazza sia neofascista.
    non vuol dire che tutti quelli che votano AN siano neofascisti.
    e non vuol dire che tutti gli esponenti di AN siano, nelle loro azioni pubbliche e private, etichettabili semplicemente come neofascisti.

    se vuoi dimostrare alcune di queste affermazioni che io nego, dovresti portarmi fatti riguardanti le opinioni e i comportamenti dei protagonisti di queste frasi.

    se no, sono chiacchere.

  11. pierpaolo ha detto:

    @enrico

    non puoi dire nemmeno che chi ha intitolato la strada a grilz sia fascista.

  12. enrico maria milic ha detto:

    @pierpaolo

    per me possiamo discutere di chi vogliamo e della sua ‘neofascisticità’… basta che capiamo perchè lo etichettiamo in quella maniera.

  13. sandi ha detto:

    io non intendo affatto dire, ne dimostrare, che la cultura diffusa tra i cittadini sia neofascista. ne tantomeno che chi ha votato dipiazza o altro è un fascista. Io ho proposto alcuni testi che parlano del perché e del percome in Italia i fascisti sono rimasti dove stavano prima del 25 aprile ’45 e hanno anche fatto carriera. E sostengo che chi distribuisce riconoscimenti a fascisti passati legittima quelli attuali. Questo è quanto. Se vuoi dimostrare tu che la cultura diffusa è o non è fascista liberissimo, io non intendo farlo. Voglio invece dire che alcuni cercano di diffonderla una cultura di tipo fascista (ma forse non è il termine giusto, visto che per ora i fascisti veri, quelli che si dichiarano apertamente tali, servono solo come manovalanza per i lavori sporchi) e altri legittimano i fascisti attuali riscoprendo quelli passati.
    Vuoi dei fatti? Dipiazza che dopo l’aggressione agli sgomberati in piazza Unità dice semplicemnete che non dovevano stare li significa o no giustificare, se non elgittimare, quelli che hanno aggredito, e che sono senza dubbio fascisti? E’ un fatto anche che la semplice esposizione di simboli fascisti è punibile dalla legge italiana, che però non viene mai applicata. La croce celtica di Alemanno è equiparata dalla legge Mancino alla svastica, e quindi la sua esposizione è punibile per legge.
    Che i fascisti ci siano lo dimostra il fatto che ci sono sono gruppi che si definiscono così. Fatevi un giretto in rete e vedete un po. Quanto alla deriva il neodeputato vada a chiedere ai suoi “compagni” di partito, a partire da Borghezio, da dove arriva. E magari veda se sostiene le stesse cose che sosteneva in gioventù. Veda con chi faceva (e forse fa ancora comizi e manifestazioni – la Mussolini (non è fascista?), Fiore e Forza Nuova (non sono fascisti?). I fatti sono anche che in Italia, nel silenzio più totale dei media, i fascisti vengono usati per risolvere questioni “delicate” – lo sgombero dei senza casa da piazza unità, ma anche l’incendio (che equivale a chiusura) di centri sociali e strutture simili. Con una crescita numerica di anno in anno di questo tipo di episodi (una cronologia la trovate su ww.ecn.org). E sempre nel silenzio totale dei media. Che poi sia responsabilità solo del c.d centrodestra è ancora un’altra questione. Vorrei ricordare che la detenzione nei CPT avviene per via amministrativa, quindi senza alcun processo – è la stessa logica dei lager nazisti. Che anche allora usavano eufemismi, forse migliori adirittura – la legge che permetteva la detenzione nei lager si chiamava infatti “Legge per la detenzione protettiva” – quindi si lasciava intendere che li la gente veniva rinchiusa per essere protetta (più geniale che non Centro di permanenza temporanea, no?). E chi ha istituito i CPT non son stati i fascisti, ma il centrosinistra.
    Certo, non siamo ancora al fascismo, ma quando si rispolvera l’orgolio nazionale, si dichiarano martiri ed eroi dei morti (Nassirya) solo perché morti (spiegatemi cosa hanno fatto di eroico oltre a morire, perché non si sono nemmeno accorti che stavano per morire e non hanno quindi avuto il tempo materiale di fare una qualche azione eroica). Mi è capitato di avere a che fare in occasione dei funerali dei morti di Nassirya con un giornalista tedesco, che è rimasto sconvolto perché sosteneva che era stata messa in piedi una celebrazione scenografica e simbolica quasi uguale a quella per la traslazione a Roma della salma del milite ignoto. Esiste secondo te una rivalutazione e una vera e propria campagna di propaganda militarista in Italia o no? Ma di elementi ce ne sono tanti. Chiamiamola democrazia autoritaria? Che è anche questa un trend mondiale, con qualcuno che si arroga il diritto di decidere chi può e chi non può vincere le elezioni e robe del genere. E chi ha bisogno di aiuti per diventare democratico e chi no. Chiamiamolo riscoperta del “fardello dell’uomo bianco?
    Ma se si chiude gli occhi e chiaro che non si vede.
    Saluti
    sandi

  14. enrico maria milic ha detto:

    non sono del tutto d’accordo con quel commento di marina (una giornalista collaboratrice del piccolo).
    se intitoli una via ad una persona devi anche guardare la persona nel suo complesso. e grilz era, correggetemi se sbaglio, un neofascista.

  15. pierpaolo ha detto:

    grilz era un giornalista prima di tutto, e al giornalista si intitola la via.

    per quanto riguarda il neo deputato e il suo partito è per definizione antifascista.

    borghezio? vuoi che ti dico un paio di nomi di leader di sinistra che 30 anni fa spaccavano le teste davanti alle università?

  16. pierpaolo ha detto:

    siamo seri e pensiamo a ciò che le persone fanno, non a come appaiono o, meglio, a come vengono dipinte

  17. furlàn ha detto:

    Scusate l’intrusione, ma come persona non a conoscenza di alcun fatto, ma solo di quello che riporta wikipedia (‘…è l’unico inviato, fra i molti triestini caduti in “aree calde”, al quale sia negata, dal locale ordine professionale dei giornalisti una targa commemorativa all’ingresso della sede cittadina’) vorrei sapere se la questione è riconducibile al fatto che costui sia stato meritevole o meno nelle sue inchieste (la morte “sul campo” mi farebbe propendere per questa ipotesi). Dall’idea che mi son fatto finora mi sembra che se le cose stanno veramente così la discussione dovrebbe spostarsi sul concetto di giornalista invece che quello di neofascista.

  18. Demetrio Filippo Damiani ha detto:

    davvero fatico a individuare una differenza tra i vari lucchetta, ota, d’angelo, hrovatin e grilz. tutti morti facendo il loro lavoro, tutti meritevoli di essere ricordati.

  19. enrico maria milic ha detto:

    @sandi

    uno potrebbe dire che non c’è nessuna correlazione tra il fascismo e molti dei fatti che citi. non è che ‘fascismo’ è un’etichettà per tutto quello che è anti-democratico.

    @pierpaolo e furlan

    non sono d’accordo.
    mettete che ci sia un giornalista che è bravissimo nel pubblicare notizie originali e fa salire il numero di vendite del suo giornale. questo non vuole dire che questa persona sia uno stinco di santo, anzi. e non vuol dire che le notizie che questo giornalista pubblica non siano orientate dalle sue preoccupazioni politiche (per dirne una, magari, potrebbe evidenziare certi fatti e oscurarne altri di cui è a conoscenza).
    non si possono slegare gli aspetti professionali dal resto di una personalità nel suo ruolo pubblico di fronte alla comunità.
    se negli anni ’70 c’erano bande di violenti sia a destra che a sinistra, questo non giustifica la loro violenza: condanna entrambe le parti, anzi.

  20. Demetrio Filippo Damiani ha detto:

    @ enrico

    le persone solitamente vengono commemorate per il loro servizio alla comunità, e non per la loro vita privata. se fosse come dici tu, probabilmente non si potrebbe intitolare una via a nessuno. aggiungo. visione romantica del giornalismo… purtroppo quasi tutti i giornalisti mette in rilievo ciò che essi credono sia importante/meritevole di attenzione o divulgazione. è ovvio quindi che in questa fase di selezione subentra anche una valutazione di tipo ideologico. anche a me non piace, ma tristemente è così. concludo. condivido quanto detto sulla violenza. peccato però che troppo spesso si sente parlare con tono sentenzioso del passato di destra di alcune persone, mentre del passato di sinistra di altre non si dice nulla (sempre inteso relativamente a fatti violenti, ovvio).

  21. La Mula ha detto:

    Ma non era finita la settimana delle baruffe?

  22. pierpaolo ha detto:

    @enrico

    allora cancella via d’annunzio, cancella dai libri pirandello o tanti altri.
    grilz è stato usato prima da vivo e poi da morto, è stato un bravo giornalista che è morto per documentare una realtà che tanti altri “bravi” giornalisti volevano ignorare..

    mentre condanno tutti i violenti, da ambo le parti, non voglio sentirmi dire che sono razzista o fascista da chi una parte di quei violenti li giustifica

  23. furlàn ha detto:

    Penso che le persone vadano valutate complessivamente dopo la loro morte per capire se abbiano apportato contributi positivi o negativi alla società. Per me ad esempio la Fallaci ha fatto più danni negli ultimi anni della sua vita con i suoi proclami islamofobi di quanto abbia fatto in tutta la sua opera da giornalista inviata. Purtroppo non conosco niente di questo giornalista se non e le poche notizie in rete (intendo un minimo imparziali cfr. Wikipedia).

  24. La Mula ha detto:

    Pierpaolo, per piacere…Ci sono tante storie non molto chiare che non si possono scrivere dietro questa storia. Se Grilz s’è fatto usare dai suoi da vivo e poi da morto è un’altra questione, che va discussa coi suoi. Non qui. E francamente non mi risulta che da vivo nessuno considerasse Grilz la Fallaci della Venezia Giulia. A Trieste s’era reso celebre per altro.

    Poi c’è una cosa che non capisco proprio ed è questa libidine delle lapidi. Che fa il paio coi cavalierati, con le passerelle varie per vivi e per morti o per morti vivi o vivi morti. Ma chi se ne frega?

    A monte deve esserci una forma mentis lievemente dissociata per cui non pensi alla tua immortalità (la vogliamo tutti)solo per quello che hai fatto e gli affetti che hai seminato, ma per tutta una serie di riconoscimenti, in vita e dopo la vita, che decretano la tua ‘grandeur’.

    Ma vi siete mai chiesti che valore ha ‘sta minchiata? Per il vivo è il mercato che determina il successo ed è per altri versi sempre il mercato che onora la memoria del morto. Partecipare nei limiti imposti dalla professionalità (oggi sono entusiasta perchè mi hanno invitato a Cogne…)è obbligatorio (ho persino lavorato per Alemanno e Matteoli…), ma poi si ritorna a fare il proprio mestiere, mantenere la famiglia, cucinare, amare, accudire animali e figli…Il resto sono perline svendute come diamanti.
    Kiss peace and love

  25. furlàn ha detto:

    “Libidine delle lapidi” meriterebbe un monumento! 😀

  26. sandi ha detto:

    Caro milic, credo proprio che non sarebbe male chiarire cosa si intende per fascismo, perché altrimenti si va incontro a stracapimenti e similia. Io infatti non ho detto che siamo al fascismo, ma che i fascisti vengono ormai rivalutati e riabilitati. E qui stà la differenza. Se una repubblica è nata dalla Resistenza i fascisti in quanto tali non possono essere ricordati come persone da indicare (questo significa intitolare targhe e altro) come esempi. Se ciò non vale più lo si dica chiaramente. La differenza stà tutta qui: oggi i fascisti vengono considerati del tutto legittimati. E Grilz per favore qualcuno mi dica perché sarebbe un grande giornalista? Che servizio di particolare rilievo ha fatto, che Pulitzer ha vinto? Per quale motivo dovrebbe essere indicato come esempio? O è meritevole solo perché è Grilz, camerata e duce di molti dei nostri attuali amministratori? Credo ci siano a Trieste persone, anche giornalisti, molto più meritevoli di menzioni e di vie. Perché proprio Grilz a tutti i costi? Vorrei anche far rilevare che ha seguito sempre e solo le guerriglie finanziate e sostenute da CIA (Unita, Karen), Sudafrica (Renamo) e simili. Ricordo che la Renamo, con i cui combattenti si trovava quando è morto, era finanziata e foraggiata dal Sudafrica razzista e si batteva contro il governo del Frelimo, che aveva da poco portato all’indipendenza il Mozambico. Anche in questo credo vadano fatte delle distinzioni. Perché non tutte le parti sono uguali, equivalenti, anche se usano tutte la violenza – ma c’è chi si difende dopo aver combattuto per l’indipendenza del proprio paese dal Portogallo (il Frelimo), e chi combatte per conto di chi quella indipendenza non la vuole (Renamo – che di fatto è sparita appena cessati gli aiuti del Sudafrica razzista)
    rispetto al neodeputato e al suo partito riccordo un Bossi che diceva che i fascisti sarebbero andati a prenderli casa per casa, e poi ci si è alleato (quelli di AN, ma anche del MSI-Fiamma (o loro non sono fascisti?), Forza nuova (alle precedenti elezioni). Quindi antifascista per definizione … dipende. E poi Borghezio fa OGGI iniziative con Forza Nuova contro gli immigrati. E ha buoni amici nel partito, vedi
    “La storia del deputato Marco Rondini: Un fascista in camicia verde”
    http://www.vivamafarka.com/forum/index.php?topic=27759.0. Aprezzato dai fascisti (quelli che hanno la dingità di definirsi tali) di oggi.

  27. enrico maria milic ha detto:

    @ demetrio

    il passato di grilz da denigrare (quello fascista) è pubblico, non privato. l’attività politica è pubblica, no?

    ciò

    ma no gavevo dichiarà finida la setimana del’odio?

  28. pierpaolo ha detto:

    sono contrario al culto delle lapidi come sono contrario al culto della denigrazione..

    ma rispondete, come la mettiamo con d’annunzio che fascista lo era sul serio.

    e ilaria alpi cosa ha fatto? che pulitzer ha vinto?

  29. Demetrio Filippo Damiani ha detto:

    @ enrico

    verrebbe ricordato come giornalista, non come politico sicuramente visto che ha avuto un ruolo del tutto marginale nel contesto triestino.
    quello che continuo a contestare è che si vada ancora a spulciare nel passato delle persone per trovare qualche difetto e per poter avanzare qualche critica. la sinistra, che si è arrogata da sempre il primato intellettuale e culturale, ha avuto da ridire anche su altre persone che a trieste hanno dato moltissimo, per il loro passato da attivisti o dirigenti del msi. ma non ha mai guardato in casa propria quando si è trattato di mettere in discussione il passato di alcuni suoi dirigenti. settimana dell’odio? e perché mai… mi pare si stia dibattendo più che civilmente.

  30. Demetrio Filippo Damiani ha detto:

    @ sandi

    finché si continua a ragionare così, l’italia rimarrà divisa. secondo la tesi di alcuni, vedi cossiga, non è mai stata unita. bisognerebbe fare tutti un passo indietro rispetto a preconcetti e ideologie ormai superate per creare una memoria condivisa. e quella propinata dalla sinistra in questi 60 anni non mi pare proprio sia volta alla conciliazione.

  31. Demetrio Filippo Damiani ha detto:

    @ enrico

    mi scuso per non aver concluso il commento precedente. il passato fascista di grilz? il msi era un partito regolare e non clandestino. pertanto, vogliamo vietare il ricordo pubblico di qualunque suo iscritto? questo sì che è fascismo.

  32. enrico maria milic ha detto:

    @ demetrio

    il fronte della gioventù degli anni ’70, di cui grilz era dirigente, è ricordato in città anche per squadrismi vari. o no? MI PARE EH…

  33. Demetrio Filippo Damiani ha detto:

    vogliamo parlare della fgci? ripeto: non credo che fare i bacchettoni sul passato delle persone sia il modo migliore per creare una memoria condivisa.

  34. La Mula ha detto:

    Giù le mani dalla Fgci! Ma porca pupazza! A Udine noi della Fgci vivevamo in gloriosa armonia, litigando al limite in osteria con qualche giovane democristiano. Poi arrivavano i triestini a rompere le scatole (in un secondo tempo i padovani dell’autonomia…). Ma insomma! Leggetevi Guareschi e smettetela. Almeno vi fate due sane risate, che mi sa che ne avete veramente bisogno.

    Il passato non è fisiologicamente condivisibile. Mi secca dar ragione a Cossiga, ma è così. Io non posso condividere nulla del mio passato se non con chi ho condiviso. Spiacente.

    Vogliamo condividere qualcosa nel futuro? Sono tutto tranne che indisponibile e poi per mestiere non posso permettermi il lusso di non parlare con qualcuno. Con Menia ho bevuto anche il caffè, gli ho fatto gli auguri per la nascita della figlia, con Fini ad ogni intervista siamo ‘pappa e ciccia'(ho pure un video di noi due assieme…). Isabella Rauti mi voleva persino come coordinatrice della sua Giornata della Massaia Rurale in un grand hotel di Roma (peccato che viaggio malvolentieri e solo se costretta dagli impegni sottoscritti con i miei editori). Non vi dico Bossi. A un comizio a Udine è bastato pochissimo (un accenno alla Commissione) per parlare con un uomo normalissimo. La mamma di Sgarbi non ha mai fatto mistero di considerarmi la moglie ideale per Vittorio (dopo che costrinsi Illy in conferenza stampa a mostrare l’assenza di cannottiera). Però signori, mi spiace, posso ridere e scherzare con tutti, ma se fai quanto stai pensando di fare in materia di sicurezza (vedi Rom e immigrati), ad esempio, io sono dall’altra parte. Proprio dall’altra parte. Anche se oggi come oggi non so più se ho un’altra parte. So che non ci sto.

    Sarebbe bastato un manovratore di scambi ferroviari che ‘sbagliava’ per salvare un intero treno da Auschwitz.

    Postilla: non tirate fuori il caso Alpi, ci sono già due genitori abbastanza disperati che si danno da fare fin troppo. E per dircela schietta schietta non tirate fuori nemmeno paragoni con Ota Luchetta, D’Angelo e Hrovatin, gente che faceva onestamente e con professionalità il proprio mestiere. La lapide è una lapide in memoria di persone morte sul lavoro, il nostro. Se gran parte dell’Ordine dei giornalisti non vuole metterci dentro Grilz ha sicuramente degli ottimi motivi. E comunque ribadisco il concetto, lapidi, vie e piazze lasciamole al passato remoto. O facciamo come in America (ma qui sarebbe un casino…Unità Square poi prendi la Via Uno e t’immetti nella Ventisettesima, giri a destra nel vicolo Trecensessantottesimo e t’imbottigli all’incrocio tra la Novecentoventicinquesima e la Trentaduesima?)

  35. La Mula ha detto:

    E aggiungo: ottimi motivi e qualcuno qualche armadio non aperto

  36. lucio gruden ha detto:

    si dichiarano martiri ed eroi dei morti (Nassirya) solo perché morti (spiegatemi cosa hanno fatto di eroico oltre a morire, perché non si sono nemmeno accorti che stavano per morire e non hanno quindi avuto il tempo materiale di fare una qualche azione eroica).

    Quando si tratta della dedica di una via, prima di tutto dobbiamo decidere se:
    – bisogna essere “eroi” per meritarsi una via (vedi sopra);
    – è sufficiente essere morti violentemente per mano altrui, in quanto simboli di qualcosa di odiato.
    Per me è sufficiente la seconda.

    Grilz, come Ilaria Alpi e tanti altri, è morto facendo il suo lavoro. Solo che era un lavoro sovraesposto (ed esponibile) a quella superficiale conoscenza di massa che la “comunicazione” da sempre induce.
    Della luce riflessa da tale esposizione, si è imbevuto chi gli ha dedicato la via.

    Si dedicano strade e piazze ai martiri del lavoro e a quelli della libertà, alle medaglie d’oro, ecc.. se un giornalista triestino muore per mano altrui, può starci che nella sua città (tendenzialmente destrorsa) gli dedichino una via……..suvvia!

    Ma il problema di come siamo “letti” in Germania e Austria -e più in generale in Europa – è molto delicato.
    Secondo me il minimale spirito mutualistico che promana dal nostro essere-Paese (dall’esistenza di separatisti di Governo, come i leghisti, alla trascendente vexata “questio meridionalis”, che è dirimente del tipo di impianto logico-politico su cui noi stessi “sentiamo” il nostro Paese) ci espone in termini di confusa immagine.

    L’articolo non critica il “rischio neofascismo”, quanto – a me pare – la deriva di un popolo italiano contradittorio e incoerente.
    Ovviamente ciò viene fatto dall’articolista nel tentativo disperato, e intrinsecamente sdoganante, di dare ampia sottolineatura di assoluta eccellenza, alla convinta e dura critica al nazismo che viene venduta per un must dei Tedeschi di Germania (anche se la realtà è altra, visto che fenomeni e gruppi neonazisti ce ne sono a bizzeffe in quel Paese; cfr. http://archiviostorico.corriere.it/2000/agosto/25/Neonazisti_tedeschi_piano_europeo_co_0_0008255469.shtml).

  37. La Mula ha detto:

    Allora. La libidine delle vie non appartiene ai familiari di chi è morto sul lavoro. Ota, Luchetta, D’Angelo e Hrovatin hanno una targa posta dai colleghi sulla sede dell’Ordine per ricordarne la morte sul lavoro (uno solo, il giornalismo, senza nessun coinvolgimento politico), le famiglie hanno dato vita a una ben più utile fondazione.

    Grilz ha la sua via. Mi sembra che anche per queste scelte di vita ci sia una grande differenza da parte di chi vuole ricordare. Da un lato una forma (la via) dall’altro la concretezza del fare per gli altri, la fondazione.

    Per quel che riguarda i morti di Nassyria (morti sul lavoro) non hanno avuto dalla loro parte chi voleva veramente tutelarne la memoria. Per cui è stata loro regalata una via. Ma provate a intervistare le vedove di tutti questi morti e poi discutiamo. Io ne conosco più di qualcuna (a una povera diavola con due figli rimasta vedova di un uomo della scorta di Borsellino hanno dato un lavoro: ora lei lavora al nord e i figli crescono in Sicilia con i suoi genitori…e non aggiungo altro).

  38. Julius Franzot ha detto:

    Vedo che il “strictly local” fa ancora da magnete su questo forum. Se qualcuno mi dà ascolto, vorrei porre la domanda, che in fondo sta dietro a tutta la questione, se, diciamo, lo “spirito imprenditoriale della libera economia di mercato”, propagato da Berlusconi sia o non sia il sostituto moderno del fascismo. So che il fascismo è nato socialista, ma vedo, e non solo in Italia, che gente con una forma mentis compatibile con quella del Duce si schiera in una nuova destra, quella dominata dal mercato, dalla globalizzazione, dagli USA.

    La domanda è: “ritornano sotto nuove spoglie” o “si tratta di fenomeni completamente diversi”?

  39. Demetrio Filippo Damiani ha detto:

    e quale sarebbe la differenza con la sinistra moderna, di grazia? mi pare che il tuo obiettivo sia quello di cercare un appiglio per poter definire qualcuno “fascista”. e il tentativo mi sembra assolutamente maldestro in quanto privo di fondamenta sia a livello teorico che pratico.

  40. Andrea Luchetta ha detto:

    Risposta sul caso Grilz-Luchetta ecc. ecc. (Demetrio, Luchetta si scrive con una c, grazie).

    Semplice semplice: basta così, grazie. C’è della gente che vuole ricordare Grilz? Padronissimi. Solo, per favore, smettete di tirare in ballo ogni volta tutti gli altri. Basta. Stop. E’un riflesso pavloviano inquietante.
    La mia famiglia non vuole che il nome di mio papà sia ricordato assieme a quello di Grilz. Due persone diverse, con due storie diverse. Se qualcuno non riesce a vedere la differenza, faccia lo sforzo di capire che per noi ce n’è.

    evviva.

  41. Demetrio Filippo Damiani ha detto:

    fossero “liberi” di ricordare grilz (e non solo) non si sarebbe sviluppato alcun dibattito…. aggiungo. personalmente posso anche fare questo sforzo, ma non si può pretendere di eliminare il nome di un proprio caro dai dibattiti che nascono tra persone comuni (caso nostro), politici o storici. anche perché ogni discussione seria ha -tra i suoi prerequisiti- l’analisi comparata. senza per questo mancare di rispetto ai congiunti di questo o di quel defunto.

  42. pierpaolo ha detto:

    anche perchè la discussione è iniziata perchè qualcuno ha fatto l’equazione ricordare grilz=essere fascista

  43. enrico maria milic ha detto:

    demetrio,
    se vuoi condannare la fgci mi interessa poco, in questo dibattito.
    a me interessa condannare la militanza neofascista di singoli individui ben riconoscibili: grilz e, se vuoi, menia.
    che menia oggi sia un democratico: è un dibattito che non mi interessa, in questo momento quando scrivo, perchè sto parlando di grilz.
    che ci siano stati giornalisti iscritti alla fgci morti in guerra o a cui è stata dedicata una via a trieste: non mi risulta.

    a trieste non possiamo passare dalla totale mancanza di memoria condivisa a quella di una memoria che assolve tutti a prescindere, in questo caso, dai loro squadrismi vari o dalle loro violenze (anche comuniste) varie.

  44. enrico maria milic ha detto:

    julius,

    non sono convinto che il capitalismo (e le sue contemporanee ideologie) possa essere equiparato al fascismo.

    certo, il capitalismo estremo e la deriva di questa mega-macchina globale impazzita non mi esaltano, anzi. penso vadano contrastati o, meglio, limitati.

  45. La Mula ha detto:

    Bene, siccome io non sono parente ma sono ‘collega di lavoro’ chiedo che si chiuda ogni comparazione.

    Non so che lavoro facciate, Demetrio e Pierpaolo, ma se lavorate anche voi avrete notato che esistono differenze tra voi e i vostri colleghi. Ecco, questo è quanto. E la gente comune comunque se interferisce con giudizi di qualsiasi genere, senza nemmeno sapere di che cavolo sta parlando, vi starà cordialmente sugli zebedei.

    Aspetto con ansia da voi la pubblicazione di un articolo di Grilz. Lo leggerò con piacere, visto che a oggi è una cosa che ancora mi è mancata. Grazie. Ho fatto un paio di richerche, la più interessante è http://www.gliocchidellaguerra.net/grilz.php . Ma più che vari pezzi di quelli di Albatros non ho trovato…Magari voi sarete più fortunati.

  46. Demetrio Filippo Damiani ha detto:

    @ enrico

    sai qual è la logica conseguenza di una mancanza di memoria condivisa? il conflitto. possibilmente armato. ecco cosa sostieni. e poi condanni gli ex missini….

    @francesca

    possiamo comodamente stare “sugli zebedei” a chicchessia, personalmente me ne infischio. mi ritengo sufficientemente politically incorrect per adeguarmi a quello che mi viene raccontato dai media o da persone permeate da ideologie superate. ritengo assurdo che si voglia mettere a tacere un argomento di discussione come questo per il timore di creare qualche mal di pancia con delle considerazioni (senza pretesa di essere verità assolute) potenzialmente politicamente (per una certa parte) inaccettabili. chiudo il discorso citando un giornalista di sinistra (quella vera, non quella dei vari zvech e amichetti), amico di micalessin e biloslavo, che -interrogato sul dibattito in corso- ha avuto la dignità di affermare che “grilz è morto impugnando una cinepresa, non un’arma. e per tale sacrificio è giusto che gli venga reso omaggio”.
    senza analisi comparate di sorta. e senza vena polemica, soprattutto.

  47. Andrea Luchetta ha detto:

    Demetrio,

    hai ragione: la comparazione sta alla base di una discussione seria. Scusami, ma non mi sembra molto serio dire che non si è liberi di ricordare Grilz.

    Il problema è che questa comparazione è diventata una formula rituale, una sorta di slogan. Ogni volta in cui qualcuno propone di fare qualcosa per ricordare Ota, D’Angelo, Hrovatin e mio papà, salta subito fuori qualcuno a dire “e perchè non Grilz”, a denunciare la condizione di oblio in cui la sua memoria sarebbe stata relegata, a differenza degli altri celebratissimi quattro.

    Non ho nulla contro chi vuole ricordare un proprio amico, una persona che stimava. Solo che mi piacerebbe se queste persone riuscissero a motivare la loro posizione senza ricorrere, per la milionesima volta, ad un approccio così oppositivo.
    E’altrettanto ovvio che su questa persona ho le mie idee. E’vero, noi non possiamo pretendere di eliminare il nome di mio papà da nessun tipo di dibattito. Possiamo chiederlo, però. Specialmente quando si tratta della miliardesima ripetizione, trita e ritrita, di uno slogan inutilmente polemico.
    E abbiamo pure il diritto, credo, di non accettare un accomunamento, un’associazione automatica che non ci piace. Che non sarebbe piaciuta per primo a mio papà, direi.

    Per concludere: la morte non ci rende affatto simili. E’quello che si è fatto in vita, a determinare il ricordo di una persona. Qua, invece, ci si concentra solo sulla morte, prescindendo da tutte le differenze pregresse.
    E non è che in vita ci fossero tutte queste somiglianze con mio papà e, credo, con gli altri tre.

    Detto questo, veramente basta, almeno per quanto mi riguarda. Mi sa che ho già sbagliato a intervenire ieri. Saluti

  48. Demetrio Filippo Damiani ha detto:

    @ andrea (e con questa chiudo anch’io)

    premesso che rispetto nel modo più assoluto le tue posizioni, mi permetto di aggiungere due righe. certo, è quanto fatto in vita che rende le persone degne di essere ricordate (come potrebbe essere altrimenti?!). però avrai notato che esiste un motivo per cui queste persone sono sulla bocca della gente: non certo per la loro professionalità o competenza (che di sicuro non mi permetto di porre in discussione, soprattutto non avendo conosciuto di persona nessuno dei giornalisti “in causa”), ma per essere caduti facendo il proprio lavoro. quindi, in questo caso, è proprio la morte (purtroppo) il trait d’union. aldilà delle divergenze politiche, delle militanze e di fatti terzi che possono essere riconducibili all’una o all’altra parte. l’accostamento (da parte mia assolutamente privo di intenzioni polemiche) risulta quindi abbastanza normale. scorretto finché si vuole, in quanto accosta persone molto diverse, ma non illogico.

  49. enrico maria milic ha detto:

    @demetrio:

    sai qual è la logica conseguenza di una mancanza di memoria condivisa? il conflitto. possibilmente armato.

    non ti arrabbiare, ma il problema della memoria condivisa me lo sono studiato anche io.
    arrivare a una memoria condivisa significa salvare dei valori e dei sentimenti che hanno animato dei personaggi del passato per costruire un futuro, appunto, condiviso.
    le memorie condivise si devono fare – per come le capisco io – rispetto alle motivazioni culturali e sentimentali da salvare (solo quelle da salvare) di più di una parte.
    non vedo cosa ci sia da salvare nello squadrismo di grilz per costruire una società futura.

    concordo, infatti, con quanto scrive andrea:

    la morte non ci rende affatto simili

    per fare un esempio:
    sarei d’accordo a salvare la memoria degli esuli e comprendo molto del loro nazionalismo. non comprendo la violenza che alcune delle loro storie hanno generato in alcuni personaggi, come grilz. penso che la dolorosa memoria dell’esodo vada salvata, non lo squadrismo degli irrendentisti degli anni ’70.

  50. La Mula ha detto:

    Forse Demetrio non hai letto bene…ti starebbero sugli zebedei quelli che parlano del tuo lavoro e del tuo ambiente di lavoro e dei tuoi colleghi senza sapere di cosa parlano. Tu non mi stai sugli zebedei per questo, anzi non mi esprimo proprio in tal senso.

    Io non entro, nè mai l’ho fatto nelle questioni dei familiari (che peraltro comprendo senza dover troppo sforzare la fantasia), parlo da persona che fa un certo lavoro, che sa quali sono i rischi del mestiere, che li ha affrontati e che ha avuto più fortuna di altri. Parlo da persona che ritiene che anche su testate politiche si debba fare solo semplice informazione, che il lavoro del cineoperatore e fotoreporter è essenziale e molto più rischioso di quello del giornalista. Dopo di che aspetto di vedermi segnalato qualcosa di Grilz per aver modo di giudicare (sono anni che mi piacerebbe venirne edotta sul serio e non da un libro di altri presentato, anche coi soldi miei, da un’associazione a cui non mi sono reiscritta proprio per questo: la passerella dei miei libri, se necessario, la faccio a spese del mio editore, non degli altri). Per inciso: quando morì Edo Giammarughi(collega degli esteri e inviato di guerra)raccogliemmo in un libro i suoi articoli, limitando a poche frasi di ricordo i nostri interventi. Ben diverso da un libro ‘in memoria di’ per autoincensarsi. E mi fermo qui sul tema professione.

    Ah sì, oltre a una via cosa deve tributare Trieste a Grilz? Il problema siamo noi giornalisti con la lapide in Corso Italia? Tranquillo. Aspetta che qualcuno metta la lapide a Grilz e, non per motivi politici, ma semplicemente professionali si dimezza l’Ordine. Già si spera scompaia, sarebbe proprio l’occasione giusta!

  51. La Mula ha detto:

    E adesso, siccome lunghissimo, vi beccate questo capitolo (il libro è stato recensito in tutta Italia e Mario Cervi su Il Giornale gli ha pure dedicato l’apertura della prima di pagina cultura, dissociandosi su cinque punti, che peraltro non fanno parte di questo specifico capitolo, ma lodando l’onestà della ricerca).

    Cinquant’anni di Trieste italiana

    “E’ vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma del disciolto partito fascista”. Recita così il primo capoverso della Dodicesima disposizione transitoria che assieme ad altre chiude la Costituzione della Repubblica Italiana, entrata in vigore il primo gennaio del 1948.
    Il 20 dicembre 1946, nello studio da avvocato dell’ex federale di Roma, Arturo Nichelini, veniva fondato il Movimento Sociale Italiano (Msi) per iniziativa di un gruppo di giovani reduci (tra i quali anche Almirante, già segretario di redazione, tra le altre cose, di “La Difesa della Razza”) della Repubblica Sociale Italiana (ragazzi di Salò quindi), sostenuti da ex gerarchi fascisti di lungo corso. Il nuovo partito si dichiarerà da subito erede del fascismo nella sua ultima versione, cioè quella sociale.
    “Disfattismo costituzionale e processo alla Resistenza sono due facce dello stesso fenomeno – scriveva Pietro Calamandrei, uno dei padri della Costituzione ed ex azionista – la Costituzione infatti non è altro che lo spirito della Resistenza tradotto in formule giuridiche. Il programma legalitario di rinnovamento democratico al quale si sono impegnati tutti gli uomini liberi che durante la lotta antifascista si trovarono a combattere contro l’oppressione straniera ed interna”. “E la Costituzione italiana – scriveva ancora – potrà riprendere la sua strada verso una democrazia sempre più piena e diventare una realtà politica, se le nuove generazioni sentiranno il dovere di andare in pellegrinaggio con loro pensiero riconoscente in tutti i luoghi di lotta e di dolore dove i fratelli sono caduti per restituire a tutti i cittadini italiani dignità e libertà. Nelle montagne della guerra partigiana, nelle carceri dove furono torturati, nei campi di concentramento dove furono impiccati, nei deserti o nelle steppe dove caddero combattendo, ovunque un italiano ha sofferto e versato il suo sangue per colpa del fascismo, ivi è nata la nostra Costituzione. Se essa può apparire alla decrepita classe politica che lotta vanamente per salvare i suoi privilegi come una inutile carta che si può impunemente stracciare, essa può diventare per le nuove generazioni, che saranno il ceto dirigente di domani, il testamento spirituale di centomila morti, che indicano ai vivi i doveri dell’avvenire”.
    Nell’immediato dopoguerra, in pieno Gma (Governo Militare Alleato) sorsero come funghi a Trieste una miriade di associazioni patriottiche ed ex combattentistiche e d’arma che ebbero una “funzione di sostegno – come si legge nel primo volume di “Nazionalismo e neofascismo nella lotta politica al confine orientale 1945-1975, redatto a più mani, edito dall’Istituto per la storia del movimento di Liberazione nel Friuli-Venezia Giulia e ormai introvabile – a favore delle posizioni più intransigentemente nazionaliste e, via via, con il passar degli anni, a favore delle posizioni assunte dalle forze politiche di destra”. In queste associazioni, infatti, massiccia divenne la presenza, nei loro organi direttivi, di personaggi legati alla destra triestina o direttamente come esponenti del Msi, del partito monarchico, del blocco nazionale e dell’Uomo Qualunque. “In alcuni casi – si legge nel volume – risultano presenti anche personaggi che avevano svolto funzioni di rilievo sia nel ventennio fascista, sia durante gli anni dell’Adriatisches Kustenland”.
    Attraverso lo studio dell’attività delle varie organizzazioni (mozioni, petizioni, manifesti, ecc.) che vengono pubblicati con grande rilievo sulla stampa locale triestina risulta che l’asse portante è la polemica antislava e anticomunista, nel senso della contrapposizione della superiore civiltà italica al mondo slavo. Le associazioni poi furono anche strumento importante della mobilitazione di piazza che fu un aspetto specifico della lotta politica tra il 1945 e 1954, e che provocarono gravi incidenti e aggressioni.
    La crescita della destra e del Msi in particolare a Trieste, nel secondo dopoguerra, ha – secondo gli storici che hanno scritto i due volumi dedicati al nazionalismo e al neofascismo – varie e molteplici cause, non ultima la possibilità di sviluppare le proprie attività attingendo a una larga disponibilità di mezzi finanziari. Indirettamente, infatti, con la sua forte presenza nelle organizzazioni patriottiche e combattentistiche il Msi godette dei ricchi finanziamenti che ad esse erano erogate dall’Ufficio zone di confine, che dal 1947 dipese direttamente dalla Presidenza del Consiglio italiana.
    Accanto a esponenti del Msi, siedono nei consigli direttivi di questi organismi, e spesso in stretta collaborazione, persone legate alla Dc, al Partito liberale e al Partito repubblicano. “Questa convivenza nelle varie associazioni di uomini della destra neofascista e nazionalista e di esponenti degli altri partiti ‘italiani’ costituisce- si legge sempre nel primo volume dell’Istituto – un connotato specifico del panorama politico triestino tra il 1945 e il 1954”. Fin da subito quindi il Msi divenne uno dei partiti più gettonati in città e mantenne poi per decenni tale posizione fino al suo convergere in An, sempre in una posizione leader.
    Se dopo il Memorandum di Londra l’importanza di tali associazioni nel mobilitare la piazza sui temi a loro ‘cari’, subì un certo ridimensionamento, fino al 1965 i circoli patriottici riuscirono ancora a mobilitare la cittadinanza su parole d’ordine ispirate al battage politico ed ideologico dell’estrema destra fascista, come l’ormai sempiterno “No al bilinguismo!”.
    Nel 1965, infatti, in occasione della nomina al Comune di Trieste – la Dc, al governo della città, aveva fin dall’inizio degli anni ’60 cercato la via delle intese di centro-sinistra anche per escludere i comunisti ‘antitaliani’ – di un assessore socialista di lingua slovena, il “caso Hrescak”, la Lega Nazionale si fece promotrice di una violenta campagna antislava che portò a manifestazioni e scontri di piazza. In questa occasione si determinò anche una grave frattura tra la nuova dirigenza Dc affermatasi alla fine degli anni ’50 (promotori Guido Botteri e Corrado Belci) e la Lega Nazionale stessa.
    In realtà la campagna per la difesa dell’italianità di Trieste prima, e per la tutela del territorio e istriano e dalmata poi, furono tra le campagne che più di ogni altra permisero al Msi di trovare legittimazione politica non solo a livello locale ma anche in altri contesti, se è vero che certe posizioni venivano di fatto appoggiate seppur, in chiave meno nazionalistica, da parte della Dc. “Proprio quest’ultima – si sostiene in una storia del Msi1 – si contraddistinse per una politica che seppe almeno all’inizio, farsi paladina delle posizioni italiane e dei suoi interessi in sede internazionale, soprattutto tramite l’operato all’inizio degli anni 50 da parte del governo Pella. Poi, in seguito, il prevalere di ragioni di politica estera fecero sì che quanto sostenuto dai vari capi di governo democristiani, da Scelba a Martino, da Moro, Andreotti e Fanfani, venisse mutato dal corso degli eventi e dalla rinuncia alla zona B lasciata alla Iugoslavia. Ciò non impedì alla Democrazia cristiana di monopolizzare la scena politica fino alla comparsa dirompente della Lista per Trieste alla metà degli anni ’70, dopo l’approvazione del Trattato di Osimo”.
    Intanto il 3 maggio 1965 l’Isituto di studi militari Alberto Pollio organizzava a Roma, all’Hotel Parco dei Principi, un convegno sulla “guerra rivoluzionaria” finanziato dallo Stato Maggiore dell’esercito. La presidenza del convegno era composta dal consigliere della Corte d’Appello di Milano, Salvatore Alagna, dal generale dei paracadutisti Alceste Nulli- Augusti e dal colonnello di artiglieria Adriano Magi Braschi. La relazione introduttiva fu svolta da Enrico de Boccard, ex gerarca della Rsi. Fra i relatori ci furono Guido Giannettini su “La varietà delle tecniche nella condotta della guerra rivoluzionaria”, Pino Rauti su “La tattica della penetrazione comunista in Italia”, Giorgio Pisanò (per il quale, negli ani ’90 la Risiera di San Sabba fu solo un’invenzione del Comune di Trieste) su “Guerra rivoluzionaria in Italia 1943-1945”, Giano Accade, collaboratore di Pacciardi, su “La controrivoluzione degli ufficiali greci”. Pio Filippini Banconi, impiegato all’ufficio cifra del Ministero della Difesa, propose la creazione di piccole squadre addestrate a “compiti di contro terrore, in modo da determinare una diversa costellazione delle forze di potere”. Tra gli altri partecipanti ci furono Ivan Matteo Lombardo, dirigente della Squibb, autore con Saragat della scissione del Psi del 1947, Vittorio De Biase braccio destro di Giorgio Valerio. Tra gli osservatori erano presenti Stefano Delle Chiaie e Mario Merlino. “Un raduno fra fascisti, alte cariche dello Stato, e imprenditori – scrisse qualcuno allora – che in maniera molto lucida getteranno le basi ideologiche e organizzative della ‘strategia della tension’”.
    Nella sua relazione introduttiva Enrico de Boccard affermò, tra l’altro, che “qualsiasi violazione compiuta dai comunisti, nel quadro della loro guerra rivoluzionaria nei confronti del ‘santuario’, come per esempio il riuscire, da parte loro, sfruttando opportunità d’eventi e debolezza dei governi, di inserirsi in una nuova maggioranza o peggio ancora a penetrare, non fosse che con un sottosegretario alle poste e telegrafi in un gabinetto ministeriale, costituirebbe un atto di aggressione talmente grave contro lo spazio politico vitale dello Stato, da rendere necessaria l’attuazione nei loro confronti di un piano di difesa totale. Vale a dire l’intervento deciso e decisivo delle Forze Armate”.
    Basta sfogliare la vastissima cronologia di manifestazioni, incidenti di piazza, aggressioni, uccisioni, attentati (chi ricorda ancora la strage di Peteano o il dirottamento di Ronchi conclusosi con la morte di un attivista friulano di Ordine Nuovo? O la nascita di Gladio dalla non messa in quiescenza degli ex partigiani delle brigate ‘bianche’ della Osoppo?) che conclude i due volumi di “Nazionalismo e neofascismo nella lotta politica al confine orientale, 1945-1975” per comprendere come mai ancora oggi, a ogni piè sospinto, non si faccia che rivangare foibe e slavo comunismo, bilinguismi integrali e difesa integrale dell’italianità di queste terre.
    Così si arriva al Trattato di Osimo del 10 novembre 1975 con il quale Italia e Jugoslavia stabilirono la definizione dei confini tra i due paesi, ponendo fine alla suddivisione delle terre di confine in Zona A e Zona B, affidate all’ amministrazione – ritenuta da molti ‘provvisoria’ – dei due paesi. L’accordo prevedeva anche forme di collaborazione economica, l’istituzione di una zona franca a cavallo del confine (poi non realizzata) e l’adozione di misure di tutela della minoranza italiana in Jugoslavia e di quella slovena in Italia. Molti a Trieste, subito dopo il Trattato parlarono di ‘cessione’ della Zona B (che comprendeva una piccola parte dell’ Istria slovena) e gridarono al tradimento. In città, entro la fine dell’anno furono raccolte 60.000 firme di cittadini contrari al Trattato e con quelle firme si diede vita, per tradurre in fatto politico la protesta, alla Lista per Trieste che, presentatasi alle elezioni comunali del 1978, ottenne la maggioranza relativa e guidò per molti anni la città. Da movimento di protesta, uscite le componenti liberale e socialista, il ‘Melone’, come viene soprannominato per il simbolo, si trasformò in movimento antipartitico, autonomista, anticapitalista e, ma che caso!, anti slavo-comunista.
    Da qui cominciò un’altra stagione per Trieste che portò Lista, Msi, esuli, Lega Nazionale e altri enti patriottici e combattentistici a chiedere a gran voce la restituzione dell’Istria e, in subordine, dei beni abbandonati. Neanche la dissoluzione della Jugoslavia li fermò visto che Slovenia e Croazia subentrarono nei trattati bilaterali di cui era parte l’ex Federativa, tra cui quello di Osimo.
    Lo storico Galliano Fogar, disse, parlando nel deserto, che era falso che il Trattato di Osimo avesse ‘definitivamente ceduto’ alla Jugoslavia la Zona B assieme all’Istria. Innanzitutto – affermò perché l’Istria venne assegnata alla Jugoslavia con il Trattato di Pace del 1947 e l’ assegnazione fu decisa dalle Grandi Potenze e non dall’ Italia, sul banco degli accusati a causa della guerra fascista, malgrado i sacrifici compiuti dalla Resistenza. L’ Italia – rilevò Fogar – non poteva ‘cedere’ niente. Lo stesso vale per il Memorandum del 1954, voluto da Inghilterra e Usa, a cui si affiancò la Francia. Il Memorandum – concluse – non fissò una ‘linea di demarcazione’ ma un ‘confine’. Osimo perciò registrò una realtà confinaria esistente da più di 20 anni”.
    Ancora nel 1991, mentre la Jugoslavia si stava disgregando, per il 15/o anniversario di Osimo, la direzione nazionale del Msi-Dn approvò un documento con il quale si chiedeva “la revisione dei confini imposti dal diktat di pace del 1947 e di quelli definiti con il trattato di Osimo del 1975, con il conseguente ripristino della sovranità italiana nelle terre d’Istria, Fiume e di Dalmazia”. “Il Movimento sociale si è così impegnato – come precisò il consigliere regionale del Msi che diffuse la nota a Trieste, Sergio Giacomelli – alla revisione dei confini e allo schieramento dell’ esercito lungo la fascia confinaria per impedire la prevedibile ondata di profughi dalla Jugoslavia (sarebbe paradossale accogliere quelli che hanno scacciato dalla loro terra 350 mila giuliano-dalmati) e contestuale richiesta di intervento, sotto l’egida dell’Onu, per la creazione di una ‘fascia di sicurezza’, simile a quanto avvenuto per i Curdi”.
    Il resto è presente, fatto di foibe contrapposte alla Risiera, italianità e slovenitudine, beni abbandonati richiesti da governi di sinistra con maggior foga che non da quelli di destra, campagne elettorali all’insegna di cinquant’anni di ‘saldi’, di conti da saldare. Trieste è una città di vecchi, assistita, che nella storia cerca la giustificazione del suo mancato decollo e di coperture a piccoli potentati ormai incancreniti. Un solo brevissimo interregno, inaugurato nel novembre 1993 dal neo- sindaco di Trieste, Riccardo Illy, col saluto in italiano e sloveno ai suoi cittadini. L’impossibilità di arrivare al terzo mandato, la mancanza di ricambio, tolse a Trieste il suo ‘Piccolo Principe’, l’imprenditore che guardava, più che al passato al futuro. O almeno a un futuro sgravato da troppi odi consolidati.
    Scomparse le partecipazioni pubbliche, defilatesi le compagnie d’assicurazioni (rimaste più per facciata che per sostanza), persi negli anni ’60 i cantieri, decentrato il porto la città vive di cultura e di caffè. E, ad ogni campagna elettorale, si ritrova a guardarsi alle spalle. Colpa anche dell’ennesima strumentalizzazione nazionale, questa volta firmata da Luciano Violante e Gianfranco Fini.

  52. Julius Franzot ha detto:

    Strana città che vive di cultura, con un Pahor che aspetta 40 anni per aver tradotto il suo romanzo, un Magris che si fa vedere solo a 1000 Km di distanza, una miriade di microeventi culturali, spesso organizzati da “associazioni” di 1 o 2 persone a caccia di sovvenzioni, nessuna casa editrice che arrivi con la distribuzione nemmeno a Sesana e Portogruaro…

  53. La Mula ha detto:

    Scusate i refusi, ma ho preso la prima stesura…e se volete vado avanti, tanto il libro so che non lo comprerete e se lo facessero alcuni di voi si rifiuterebbero di leggero. Non si sa mai quanta disinformazione possano fare i comunisti (che mangiano solo i bambini!)

    L’incontro Fini- Violante e la sinistra revisione della Storia. A sinistra

    14 marzo 1998. Al Teatro Verdi di Trieste, su organizzazione dell’ateneo giuliano, Gianfranco Fini, leader di AN, e Luciano Violante, all’epoca presidente della Camera, s’incontrano. Chissà perché un capo istituzionale incontra un leader politico. Violante parla degli errori del comunismo ed in particolare delle responsabilità comuniste per gli eccidi nelle foibe e nell’esodo degli istriani e dalmati (che peraltro ‘esodano’ in quanto occupati dall’Italia fascista durante la guerra, non perché già sotto l’Italia prima- a meno che non si vada a rivangare la Repubblica di Venezia). Fini ammette gli errori del fascismo nella Venezia Giulia, ma sottolinea che d’ora in poi non si potrà più contrapporre la Risiera di San Sabba alla Foiba di Basovizza e che la storia va scritta senza omissioni.
    Sui palchi del Verdi, quel giorno, due donne di opposti credi politici stavano sedute vicine. Una è stata, dalla prima ora, seguace di Almirante, istriana tutta d’un pezzo e fascista mai pentita. L’altra aveva avuto una tessera del Pci, mai rinnegata, nemmeno dopo la svolta della Bolognina. Era, era stato e basta. Se ne andarono assieme da quel Teatro, cornice di un dolore sordo, condividendo un’amarezza infinita, una vergogna che porta a chinare la testa, in nome e per conto, al pensiero dei ‘propri’ morti, dei loro valori. Della Storia e basta. Non volevano fare pace e non l’hanno fatta, anche perché per loro la guerra era finita da tempo e si trattava solo di rispettare memorie in condivisibili. Nella Storia non esistono piani unici. Ma la Storia è un ‘è stato’ immodificabile e non sacrificabile alle ragioni del presente, la si affida agli storici e basta. Poi si sceglie una parte perché ci si riconosce nei valori che essa rappresenta. C’è chi adora Robespierre e chi tifa per Maria Antonietta, chi osanna Garibaldi e chi al nome Savoia va in sollucchero!
    Cronaca di una giornata, affidata all’Agenzia Ansa: “L’Italia e’ riconciliata da tempo e ognuno ha diritto alla sua memoria”. Nelle parole di Luciano Violante, a Trieste per un dibattito con Gianfranco Fini, c’e’ il senso della fine del dopoguerra. Ma e’ lo stesso Violante a ricordare che a Trieste e’ ancora carne viva, in gran parte ignorata dal resto dell’Italia. Il presidente della Camera ha fatto l’elenco di almeno dieci cose che ”l’Italia non sa” della storia triestina: ”Non tutti sanno – ha spiegato – che la storia tragica del ‘confine orientale’ comincia 80 anni fa, alla fine della Prima guerra mondiale. Non tutti sanno che oltre alle tragedie di San Sabba e delle foibe, c’e’ stata la tragedia di Gonars. Pochi sanno che questa terra ha avuto la deportazione, l’esodo e l’esilio. Che l’oppressione del fascismo fu fatta nei confronti di italiani che per il solo fatto di parlare una lingua diversa furono presi ed eliminati. Non so quanti sanno che la Rsi fu fantoccio qui piu’ che altrove, e che tuttavia il dominio nazista si e’ presentato qui in modo diverso da altrove, come portatore di un mito mitteleuropeo che ha anche acquisito dei consensi”.
    ”Non so – ha proseguito Violante – se nel resto d’Italia si sa che questa terra e’ quella che ha pagato di piu’, in termini di vite umane, di violenze. Durante e dopo la lotta di liberazione. Qui si sono sentite due liberazioni: quella degli Alleati e quella dell’esercito jugoslavo”.
    ”Non tutti sanno – ha continuato Violante – che la sconfitta della Seconda guerra e’ stata pagata qui e solo qui. E che mentre nel resto d’Italia si vivevano i giorni della pienezza della democrazia e della costruzione piena del proprio governo, qui il governo militare alleato e’ durato altri dieci anni circa. Ancora: non tutti sanno che mentre gli altri italiani sono stati risarciti per i danni di guerra, qui no e il problema resta gravissimo. E c’e’ anche il problema dei problemi dei beni oltre confine. Infine c’e’ la tragedia degli istriani, che quando vennero da questa parte furono considerati dagli italiani dei traditori, e insultati’. Sono solo dieci cose e altre se ne potrebbero aggiungere. Qui c’e’ stato un dolore non condiviso dall’altra parte d’Italia. Un dolore che si e’ separato e che e’ stato separato”.
    Niente da dire, ma l’ambizione fu quella di costruire una memoria unica nazionale. Sempre dall’Ansa: “Lo dice chiaramente Fini, il primo a prendere la parola al Teatro Verdi davanti ad una platea selezionatissima, lo dice Violante, preoccupato anche di evitare interpretazioni sbagliate di questo evento: ”La legittimità ognuno se la conquista -premette il presidente della Camera – per i valori che ha, per le cose che fa e per il consenso che ha. Non esistono ‘ego te absolvo’ in politica. Ne’ nella storia. Nessuno puo’ avere l’arroganza di assolvere un altro”. E nessuno dei due interlocutori, del resto, cerca assoluzioni: ne’ il post-fascista, ne’ il post-comunista. Entrambi, anzi, ammettono gli orrori, non solo gli errori, di una parte e dell’ altra. ”Le memorie possono essere divise – sottolinea Violante – e’ la storia che non puo’ essere divisa, e’ la storia che deve essere unitaria”.
    Fin qui abbiamo riportato testimonianze orali, ma chi scrive è testimone a sua volta. Ed è proprio di questa unitarietà forzata della Storia che dubita, da questa unitarietà dissente.
    ”Ci sono state – ha sottolineato Violante – delle responsabilita’ gravi del movimento comunista e responsabilita’ gravi del movimento fascista: non si tratta di contrapporre una memoria all’altra, ma di capire e poi di misurarsi con l’altro sulla base della propria memoria. Ma guai a dire non si discute. Dobbiamo cercare di connettere e costruire valori condivisi”. La platea del teatro triestino e gli studenti universitari impegnati nel seminario sul ”ruolo della memoria nella politica contemporanea” hanno accolto bene il tentativo dei due esponenti politici, anche se e’ stato il presidente di An, che a Trieste e’ il primo partito, a raccogliere piu’ applausi al suo arrivo sul palco. Un tentativo comune nel quale Violante ha pero’ sottolineato i valori della Liberazione e Fini quelli
    dell’italianita’. Per Fini (che si e’ presentato in sala con due libri: quello del ministro di Salo’, Piero Pisenti, ”Una Repubblica necessaria”, e quello di Padre Flaminio Rocchi, ”L’esodo dei 350 mila istriani, friulani e dalmati”, senza pero’ mai citarli), e’ necessario ”definire una memoria storica
    condivisa”, in mancanza della quale ”errori e orrori non compresi” possono tramandarsi alle nuove generazioni. Per Fini, rendere inscindibili ”identita’ nazionale e democrazia” significa ”ricucire una memoria strappata”.”Oggi che il muro di Berlino e’ caduto”, secondo Violante, l’Italia puo’ rileggere le pagine storiche ”girate in fretta o addirittura cancellate”, anche ”quelle che non fanno piacere”. Come quella di Trieste e del confine orientale, che non si esaurisce – con San Sabba, con le foibe e neppure con il ‘campo’ per gli sloveni di Gonars. Le foibe: una pagina ”terribile”, secondo Violante, ”dimenticata per convenienza nazionale”: non incrinare il rapporto con Tito negli anni in cui si schierava contro l’Unione sovietica. Torna cosi’ il problema delle memorie divise: ”La memoria – ha detto Violante – puo’ essere una gabbia o un motore, cosi’ come il futuro puo’ essere un alibi o una costruzione. Noi che siamo qui, evidentemente, crediamo che la memoria e’ un motore e il futuro una costruzione”. ”Non parlare di San Sabba contro le foibe, e viceversa, sarebbe un passo avanti”, ha sottolineato Violante ricordando l’uso delle foibe contro chi protestava per la prima sentenza Priebke. ”Oggi – ha aggiunto – siamo qui non per risolvere i problemi, ma per cominciare a discutere. Un autorevole politico diceva: non importa la verita’, ma da che parte stai. Ora spero sia possibile dire il contrario. Spero – ha sottolineato citando l’Ecclesiaste – che il tempo della separazione sia finito e spero che siamo riusciti a portare una scintilla di luce in piu’ nel buio”. Parlano di valori condivisi, ma nel leader di An e’ forte e ricorrente il richiamo alla Patria, alla necessita’ di costruire una sintesi tra democrazia e nazione. Citando le tesi di Fiuggi, Fini ha ribadito la condanna di fascismo e nazismo, il riconoscimento del ruolo positivo della Resistenza, ma anche la critica a quella parte non democratica dei movimento partigiano. Il presidente di An finisce cosi’, in nome della Patria, a spiegare anche la scelta dei ”ragazzi di Salò”: ”Volevano difendere l’onore dell’Italia, stretti com’erano tra i tedeschi e i richiami pangermanici di queste terre, da un lato, e una Resistenza che qui assumeva connotazioni anti-italiane”. Comunque, per Fini, se ora non c’e’ piu’ il rischio di un ”razzismo tragico”, fatto di stragi e genocidi, c’e’ invece quello di un ”razzismo strisciante”: ”Nessuno dice piu’ ‘sono ariano e quindi ti sono superiore’, invece questo razzismo strisciante comincia con questa frase: ‘Premesso che non sono razzista…’, e poi giu’ insulti”. Ed e’ d’accordo Violante: ”Si’, di solito costui aggiunge: ‘ho un amico ebreo…”
    Qui è quanto. Le due donne uscirono per piangere fuori dal Teatro, assieme, odiando in cuor loro sia Fini che Violante e chiunque avesse voluto quella incredibile pantomima. Che fu fischiata da destra e sinistra. Ma erano solo triestini.
    Nei giorni a seguire, già abbondantemente preparati dall’ottimo professore di storia di un liceo scientifico e segretario provinciale dei DS di Trieste, Stelio Spadaro – aduso a scrivere della sua materia da tempo, salvo diventare utile e venir ascoltato quando i temi discussi potevano coincidere con gli interessi di linee astruse, quanto meno per Trieste, ma funzionali alla politica nazionale- un appello di studiosi e cittadini espresse un netto dissenso dall’ambigua campagna di “pacificazione” sostenuta dall’On. Violante. “La storia d’Italia è unitaria. Le sole divisioni dipendono dal rifiuto degli eredi politici del fascismo di riconoscere le enormi responsabilità di un regime reazionario”. Riporta l’agenzia Ansa: “I firmatari di questo appello vogliono dichiarare il proprio netto dissenso dall’iniziativa pubblica di Trieste con la quale l’On. Luciano Violante ha inteso spendere la propria autorità istituzionale a sostegno dell’ambigua campagna di “pacificazione” che lo vede impegnato sin dalla sua elezione alla presidenza della Camera dei Deputati. In quanto studiosi e cittadini della Repubblica non intendiamo entrare nel merito del senso politico di proposte del genere; ci sta a cuore invece sottolineare l’infondatezza storica dell’argomentazione e l’inconsistenza delle richieste avanzate.
    Le foibe, come l’espulsione delle minoranze di lingua italiana da vaste zone dell’Istria e della Dalmazia, rappresentano certamente un dramma storico di vaste dimensioni, uno dei frutti avvelenati della Seconda guerra mondiale. È giusto quindi che esse vengano studiate e che in proposito si apra una seria discussione; tuttavia è tanto semplicistico quanto unilaterale far ricadere la responsabilità delle foibe, secondo quanto l’On. Violante ritiene, soltanto sui partigiani dell’esercito popolare di liberazione jugoslavo.
    Non si può dimenticare, infatti, che la responsabilità della trasformazione di frizioni e conflitti interetnici, consueti e scontati in zone di confine, in contrapposizioni politiche irriducibili e risolvibili solo con la violenza ricade prima di tutto sul regime monarchico-fascista che resse l’Italia dal 1922 in poi. Un regime caratterizzato da un violento spirito antislavo, che per un ventennio fece di tutto per snazionalizzare le minoranze slovene e croate con deportazioni in massa, con i deferimenti al Tribunale speciale e con numerose condanne a morte di irredentisti slavi. E che poi, nel 1941, aggredì la Jugoslavia per smembrarla e ne invase significative porzioni annettendosi la provincia di Lubiana e instaurando un regime d’occupazione durissimo che ben poco ebbe da invidiare a quello che l’Italia avrebbe subìto dopo l’8 settembre 1943.
    Trentamila sloveni furono deportati in campi di concentramento non dissimili da quelli nazisti di Dachau e Mauthausen (tristemente famoso quello dell’isola di Rab). Regio esercito e camicie nere si resero responsabili di veri e propri crimini di guerra: fucilazioni in massa, incendi di villaggi, rappresaglie analoghe alle Fosse Ardeatine; a ciò va aggiunto il tentativo degli Alti Comandi di strumentalizzare le tensioni interetniche tra i diversi popoli jugoslavi, per esempio in Bosnia, armando milizie locali reciprocamente ostili. In questo senso, delle foibe e delle espulsioni di massa deve essere considerato almeno corresponsabile il fascismo mussoliniano con la sua politica imperiale ed aggressiva. Se c’è una questione di cui la Repubblica deve farsi carico è, semmai, il non avere mai fatto entrare nella propria memoria collettiva i crimini di guerra di cui l’Italia monarchico-fascista si è macchiata in Jugoslavia e non solo (anche in Etiopia e in Grecia, per esempio), e il non aver mai processato alti ufficiali e gerarchi del regime che emanarono ordini criminali di rappresaglia contro la popolazione civile.
    La storia d’Italia è unitaria. Le sole divisioni dipendono dal rifiuto degli eredi politici del fascismo di riconoscere le enormi responsabilità di un regime reazionario, imperialista e razzista che tolse al paese libertà e dignità per poi gettarlo dal 1935 in poi in una guerra praticamente ininterrotta che culminò nell’intervento a fianco di Hitler. Iniziative come quella di Trieste sono incompatibili con la verità storica e con i valori fondamentali della Costituzione, e suonano offesa alla memoria di quanti hanno pagato con la vita la costruzione della democrazia in questo paese e nel resto dell’Europa. Non dimentichiamo che il discrimine vero tra antifascisti e fascisti sta nel fatto che i secondi difendevano – di fatto – il sistema che aveva prodotto le camere a gas e i forni crematori di Auschwitz, che i primi invece volevano cancellare dalla faccia della terra. Questa verità storica e questa memoria intendiamo difendere senza cedimenti, e perciò faremo di tutto per impedire che delle mistificazioni diventino il fondamento della nuova memoria collettiva degli italiani”.1
    E lo diventano, lo stanno diventando. Si parla di pagine oscure, mai chiarite. Ma la bibliografia esistente parla chiaro. A livello nazionale esistono quintali di libri, più o meno seri a disposizione di chiunque volesse veramente sapere. Ma si vuole veramente sapere? O la Venezia Giulia è la plateale dimostrazione dello scollamento e delle strumentalizzazioni di cui un elettorato, questa volta nazionale, può restare vittima? Non è ciò l’insegnamento da trarre, con rabbia, da questi quasi cento anni di Storia al confine?
    Scrive sempre l’Ansa, anno 2004: “La decisione del sindaco di Roma, Walter Veltroni, di recarsi con una delegazione della capitale, accompagnata dai rappresentanti della comunità giuliano-dalmata nei luoghi teatro della tragedia delle foibe, rappresenta, per la sinistra triestina di Rifondazione Comunista “un attacco che il sindaco di Roma porta alla verità storica sulle vicende che la guerra fascista ha causato in queste terre nel 1945”.
    La sinistra del Prc accusa Veltroni di “ignorare volutamente il dibattito storico in corso su quelle vicende”. “Facendo propria la versione da sempre patrimonio della destra più estrema – osserva la nota – il già comunista Veltroni si accinge a ripercorrere le strade già segnate da Luciano Violante e da Riccardo Illy, pronto a leggere pedissequamente le veline preparate sull’argomento dal signor Stelio Spadaro, il dirigente dei Ds di Trieste che per primo ha sollevato nella sinistra la questione, sostenendo la necessità di una rilettura di quelle pagine di storia”. Apprezzamento e parole di elogio per l’iniziativa di Veltroni sono invece giunti, tra gli altri, dal sindaco del capoluogo giuliano, Roberto Dipiazza, a capo di una giunta di centrodestra, dal consigliere comunale di An, Fulvio Sluga, e dal deputato di Intesa Democratica (Ulivo) Ettore Rosato.
    Fu il 21 agosto 1996 che, con un articolo sull’Unità, l’allora segretario del Pds di Trieste, Stelio Spadaro, sollevò a livello nazionale il problema delle foibe, auspicando una “severa autocritica” della sinistra “colpevole – a suo dire – di aver rimosso la tragedia delle foibe e i crimini di Tito”.
    Alcuni giorni dopo, in un’intervista al Corriere della Sera, Spadaro, rilevò che “la sinistra italiana ha rimosso a lungo tale vicenda e ora deve fare i conti con la storia”. Queste dichiarazioni furono duramente criticate da Rifondazione Comunista e dagli storici triestini. Gli storici, soprattutto, sostenevano che a Trieste delle foibe e delle conseguenze anche tragiche dell’occupazione della Venezia Giulia da parte delle truppe del maresciallo Tito, tra il maggio e il giugno del 1945, si era parlato da subito, con articoli, saggi, libri che inquadravano storicamente tale vicenda, la quale invece, da destra, veniva presentata come una sorta di effetto dell’odio “sviscerato” degli “slavo-comunisti” per tutto ciò che era italiano, senza tener conto delle colpe del fascismo in queste terre.
    Era il periodo del processo a Priebke per le Fosse Ardeatine e la querelle sulle foibe portò, sopratutto negli ambienti della destra locale e nazionale, ad equiparare i due eventi, frutto di “altrettanti totalitarismi”.
    L’anno successivo, le dichiarazioni di Luciano Violante, allora presidente della Camera, sui “ragazzi di Salò” e sul bisogno di “costruire valori condivisi” furono di nuovo al centro di polemiche e accuse, da sinistra, di revisionismo. Il 14 marzo 1998 si svolse al Teatro Verdi di Trieste un incontro di Luciano Violante e Gianfranco Fini con gli studenti sulla storia della Venezia Giulia. “Ci sono state – disse Violante – delle responsabilità gravi del movimento comunista e responsabilità gravi del movimento fascista: non si tratta di contrapporre una memoria all’altra, ma di capire e poi di misurarsi con l’altro sulla base della propria memoria”. Per Fini era necessario “definire una memoria storica condivisa”.
    L’ultimo strappo diessino è avvenuto nel febbraio scorso (2004, nda), sempre a Trieste, quando il segretario dei Ds, Piero Fassino, e Luciano Violante aderirono all’iniziativa di An per la creazione, il 10 febbraio, di una giornata della memoria per ricordare l’esodo degli istriani, fiumani e dalmati. Nell’occasione, Fassino inviò una lettera agli esuli in cui sosteneva che “oggi nessuno può dire più di non sapere e ognuno ha il dovere, morale prima ancora che politico, di assumersi le proprie responsabilità. Anche la sinistra deve assumersi le proprie – scrisse – e dire con chiarezza e definitivamente che il Pci, in quegli anni, sul confine italiano sbagliò: sbagliò perché pesarono su i suoi orientamenti e sulle sue decisioni il condizionamento dell’ Urss e della Jugoslavia di Tito, in particolare negli anni della guerra fredda”.
    Recentemente Fassino ha attribuito colpe al Pci. Ha taciuto sulle foibe. Peccato che Enrico Berlinguer avesse autorizzato la federazione triestina del Partito a parlare e scriverne. Continua…Continua? Continua.

  54. Matteo Apollonio ha detto:

    Dovrò licenziarmi per avere il tempo di leggere i commenti di questo sito. Da un certo punto di vista sono molto triste vedendo questa querelle infinita, in cui timidamente ma con determinazione è intervenuto addirittura Andrea Lucchetta per mettere una parola fine a questo post, a questa gara di rivendicazioni e distinguo. A quando un po’ meno di istrie, dalmazie, memorie condivise e perdute, fascisti e comunisti, e un più sviluppo, economia, arte, geografia, storie contemporanee e territorio? Non vi sembra un po’ troppo? Prima o poi…

  55. furlàn ha detto:

    La conciliazione tra queste anime, parlo delle due signore che uscirono da quel teatro, richiederà generazioni, sempre che tutto non venga gettato al vento prima da nuove follie. E’ bene metterselo in testa. Tutti quanti.
    Poi si può parlare di tante cose, ma i Sudeti in Germania non sono la stessa cosa dell’Istria, Gorizia non è paragonabile minimamente a Berlino. Lo penso dal 1° maggio 2004, quando veramente cadde quella rete infame sul piazzale della Transalpina, la Germania è stata messa in ‘salamoia’ per 40 anni ma è sempre stata la Germania non era quel contorno sfumato di popoli che sono queste zone. Qui accanto alla caduta formale degli steccati ideologici è caduto un confine che si è voluto “etnicizzare” negli passati decenni. Sono cadute anche altre cose.
    PS. consiglio la visione del bellissimo film “Il mio confine / Moja meja di N. Veluscek e A. Medved”

  56. Marisa ha detto:

    Grazie La Mula. Belli e molto interesanti i tuoi interventi.

  57. Marisa ha detto:

    Per La Mula: mi precisi per cortesia il titolo del libro, casa editrice, ecc. Vorrei comperarlo, ma se senza titolo e autore, è un po’ difficile. Grazie

  58. La Mula ha detto:

    Matteo Moder e F.L. “Storia della Venezia Giulia. Da Francesco Giuseppe all’incontro Fini Violante” Baldini, Castoldi & Dalai editore (2004)

    🙂

    La Mula

  59. Marisa ha detto:

    Grazie. L’ho già letto ancora nel 2004. Ma non ricordavo questo capitolo. A proposito, se ti può interessare, questo libro è incluso nella bibliografia elencata nelle ultime pagine del libro “La Venezia Giulia. La regione inventata”. Ed un autore, nel suo saggio, ne ha anche riportato, come citazione, alcune righe.

    Credo faccia sempre piacere essere citati.

  60. La Mula ha detto:

    Fa sempre piacere, soprattutto quando pensi di aver scritto un libro che non ha grandi presunzioni, solo quella di diffondere tra i non addetti ai lavori informazioni e strumenti ulteriori per conoscere la storia. E’ il libro a cui sono più affezionata e forse il più difficile che ho scritto (no, il più difficile uscirà a ottobre ed è un racconto per bambini di 8 anni). Volevamo fare un’introduzione ragionata a una bibliografia ed è stato scritto pensando ai ragazzi dei licei italiani.
    Visto che sono mesi che ci accapigliamo, facciamo la pace? Questa mi sembra una riconciliazione molto più sensata di quella Violante Fini, visto che veniamo da una memoria sul serio condivisa.
    🙂

  61. Marisa ha detto:

    Certo che facciamo la pace. Del resto mi pare che abbiamo in comune due caratteristiche: caparbietà e una buona dose di aggressività. Doti o difetti, dipende dal punto di vista, a volte ingombranti (per gli altri ovviamente..).
    Era impossibile non scontrarsi su temi su cui la pensiamo in maniera diversa. Ma sulla storia del “confine orientale” credo si sia dalla stessa parte. Io non credo nella storia condivisa: è una grandissima cretinata. Credo invece nella ricerca storica seria e documentata. E non ci possono essere temi tabù. Solo accettando i risultati della ricerca storica (quella seria ovviamente) si potrà guardare al futuro.

  62. Demetrio Filippo Damiani ha detto:

    @ marisa

    chiedo scusa, avevo promesso che quello precedente sarebbe stato il mio ultimo commmento su questo tema. tuttavia, non trovi che vi sia una contraddizione in quanto affermi nel precedente post? da un lato non credi nella condivisione della storia e dall’altro affermi l’importanza dell’accettazione dei risultati della ricerca storica. mi pare piuttosto evidente che l’accettazione collettiva determini una condivisione di fatto. come francesca, anch’io cito cossiga: “gli italiani di fatto non esistono. è come diceva d’azeglio, con la differenza però che sono gli italiani a non volersi fare (questi erano i concetti)”. ergo, accettando questa tesi, non accettando la ricerca storica (quella seria, come giustamente sottolinei) rifiutano a priori una condivisione. correggimi se sbaglio interpretazione.

  63. Marisa ha detto:

    Spiego meglio. Oggi, secondo me, spesso per “condivisione” s’intende “patteggiare” la storia. Questa è la “condivisione” che non accetto. Altro è riconoscere la documentazione presentata e/o la validità di una ricerca storica.

    Se per “condividere” si intende: riconoscere il risultato di una ricerca storica fatta da altri: allora O.K., mi sta bene il termine “condivisione”. Solo che oggi mi pare si tenda a contrapporre “torti”: ossia, io ti riconosco le foibe (ma è meglio se non si approfondisce…) e tu mi riconosci l’invasione della Jugoslavia nel 1941 (ma lasciamo tutto nel vago…). Io credo invece che questi due temi vadano investigati separatamente e non contrapposti per un “volemose bene” che in definitiva non aiuta la ricerca storica.

    La relazione della commissione storica italo-slovena, non è un “patteggiamento”: abbiamo più storici che lavorano separatamente e poi presentano agli altri componenti la Commissione i risultati della loro ricerche: che li valutano sul piano storiografico.
    Quanto poi ritenuto effettivamente “documentato” anche dagli altri, poi finisce nella relazione finale. Questo tipo di “condivisione” mi sta bene.

  64. personalità politica ha detto:

    “Spiego meglio. Oggi, secondo me, spesso per “condivisione” s’intende “patteggiare” la storia. Questa è la “condivisione” che non accetto”.

    Perfettamente d’accordo con Marisa, che sarà anche una dipendente-pubblica-amante-dei-borghi-ecc., ma ha assai spesso ragione. Inoltre, sono sempre ammaliato da LaMIaMula (ovviamente ora …….individuatissima).
    Pensa, cara Mula, che ho stampato i tuoi interventi lunghissimi di ieri e me li sono letti a tarda ora.
    Hai ragione, è un testo per ricevere una infarinatura sulle questioni di cui esso tratta, utile a chi non possiede una conoscenza diretta, letteraria o personale.

    I fatti sono ormai noti e chiari. Stabilire nessi di causalità (snazionalizzazione 1941-foibe, per es.) per “spiegare”, non è opera dello storico ma postura storiografica e quindi, checché se ne dica, inclinazione politicamente condizionata (e condizionante).
    Allora ciò che rimane è questione di gusti, di bisogno personale di auto-assolvimento, di strategia politica di parte.
    Per cui io mi astengo.
    Conosco i fatti e ho le mie idee sul rapporto causa-effetto. Ognuno si tenga il proprio, perché non c’è contributo che può essere fornito dalle “interpretazioni”.

    A latere, vorrei farvi sapere che il segretario regionale del PD, tale Bruno Zvech, ora mi filtra i commenti nel suo blog e non li pubblica più…….a me che sono una “personalità”, in quanto segretario regionale di un movimento culturale e politico ed iscritto al PD.
    Ma vi pare?

    (Non c’è nemmeno una punta di ironia, ma neanche la minima possibilità di un futuro per un partitino come il PD del FVG la cui esplosione è attesa fragorosamente a breve, dopo le scelte udinesi e l’inconsistenza culturale e politica complessivamente dimostrate).

    Voi che ne dite?

  65. La Mula ha detto:

    Marisa è stata chiarissima. Aggiungo che l’ignoranza della storia del confine orientale riguarda esclusivamente chi non vive al confine orientale (ossia tutto il resto d’Italia). Al confine orientale la storia la sanno benissimo e la strumentalizzano in duplice chiave politica: una è funzionale al voto locale (per caratterizzare gli opposti schieramenti), l’altra funzionale alla politica nazionale (vedi tesi Violante- Fassino, probabilmente suggerite da Stelio o discorsi di Fini).

    Anni fa- doveva essere fine 2004 o 2005, non ricordo bene e non riesco a ritrovare gli articoli nel caos generale prodotto nel mio studio dalla nascita di quattro gattini- Fini venne al Verdi a Trieste a bacchettare i suoi. Era una manifestazione di esuli, alla presenza di Tremaglia, ministro degli italiani all’estero. Fini, che ricicciava le tesi già esposte nella stessa sede anni prima con Violante, venne fischiato, ma alla fine applaudito. Menia sempre al suo fianco plaudente. Le agenzie volevano solo Fini e quindi in teoria nel pomeriggio non avrei dovuto essere in teatro per il proseguo dei lavori.

    E invece tornai, sconfiggendo la nausea. Ero l’unica giornalista presente. Tremaglia disse esattamente tutto il contrario di quanto asserito da Fini, ci furono tanti bei cori da stadio e la Rsi trionfò in uno sfavillante sventolio di tricolori. Ovviamente alle agenzie non interessava nulla di Tremaglia e quindi scrissi la cosa solo per il manifesto. Il Piccolo uscì solo con le manifestazioni della mattinata (essendo assente, assieme al collega dell’Ansa nel pomeriggio e si sa che, se l’Ansa non dà la notizia, la notizia non c’è).

    Questo è solo un esempio di doppiogiochismo e strumentalizzazione, non di gente come me che non vota An, complice un’informazione spesso assente. Accade così che si tacci di essere di parte il giornale che ne parla, anche se si limita solo a descrivere fatti.

    E’ l’informazione, bellezza, lo so. Ma penso alla rabbia di gente come Fogar che da cinquant’anni ripete sempre la stessa cosa e se la vede riportare correttamente solo sul manifesto. E ai danni che fa la superficialità di Repubblica quando spara cifre su profughi e foibe da urlare vendetta al cielo. Però lo dice Repubblica, perchè credere a Fogar, ai suoi libri e al manifesto che li scopiazza?

    Non io, ma chi beve come verità certe fesserie è strumentalizzato. Non io o Marisa siamo ‘ideologizzate’, ma chi si fa ingannare da superficialità e ignoranza.

    Matteo Moder è da circa 40 anni il referente dei giornalisti italiani in materia di storia del confine orientale. Forse non sapete che quando un inviato deve fare un servizio si rivolge a qualcuno che conosce il territorio per informazioni. Non va dalla firma celebre, potenziale rivale. Va dai più misconosciuti giornalisti d’agenzia, che non hanno firma, che vivono di ‘basso profilo’. Moder a suo tempo seguì l’intero processo della Risiera e via via tutto ciò che riguardava esodo, foibe ecc. Io vivo con lui e ho imparato da lui. Vi racconto due episodi di cattiva informazione.

    Il primo riguarda Santoro. Decide di fare una trasmissione sulle foibe e gli autori si rivolgono a Moder e me. Stiliamo due liste: una di persone da chiamare per avere una trasmissione seria, una di persone da non chiamare perchè ne sarebbe uscita inevitabilmente una trasmissione strillata. Indovinate un po’ quale lista è stata usata?

    Secondo episodio: sono a Roma, Liberazione, e sto per prendere il treno per rientrare a Trieste quando esplode il ‘caso foibe’. Non posso scrivere per via del rientro, ma comunque non si può ignorare la cosa. Scendo dal treno la mattina successiva e compro il giornale: aveva scritto il vecchio Canciani un articolo in cui negava l’esistenza delle foibe. Mi son sentita male. Poi Manisco ha convenuto con me che era una cazzata e per mesi Liberazione è andata avanti (in parallelo il manifesto con Moder) con una disamina onesta della vicenda storica. Io mi sono beccata letteracce dai compagni romagnoli, ma comunque il giornale mi ha dato carta bianca.

    Ecco. Così a sinistra. Mi farebbe piacere sapere cosa ne pensa non Cervi, che è persona super partes pur dichiarando la sua parte, quanto i colleghi che sparano cifre assurde prive di conferme storiche(20.000 infoibati, 350.000 esodanti, ecc.).

  66. furlàn ha detto:

    Espistemologia della storia. Se qualche archeologo mi venisse a dire che in realtà nelle guerre puniche sono morti più cartaginesi di quanti ne sono stati conteggiati fino ad oggi devo dire qualcosa? Sospettare che quell’archeologo è mosso da Gheddafi per qualche strumentale doppio fine? Un archeologo è uno storico che utilizza i metodi scientifici. Insomma si faccia una chiarezza il più possibile e lo si lasci fare a storici che hanno un minimo di cultura alle spalle. Il resto è solo fuffa. Qui la rivalsa di parte , quand’anche politica, ha sputtanato completamente l’accademico. E’ vergognoso.

  67. La Mula ha detto:

    Va da sè che il buon Moder ogni volta ricomincia da capo coi colleghi, con la certezza che tutti i dati che fornisce verranno travisati dal momento che il meccanismo dell’informazione (disinformazione) è senza pietà. Repubblica e Corriere devono andare in fotocopia, il Giornale esorbitare ecc.
    Però, se ha sempre ricominciato Galliano, sappiamo che dobbiamo sempre ricominciare anche noi.

    @personalità politica
    Non so cosa dirti. Non c’è niente da dire. Solo continuare a lavorare per le cose in cui si crede. Verranno tempi e persone migliori

  68. personalità politica ha detto:

    verranno? o li dobbiamo trovare noi?

  69. Marisa ha detto:

    “Insomma si faccia chiarezza il più possibile e lo si lasci fare a storici che hanno un minimo di cultura alle spalle”: scrive Furlàn.

    Questo significa forse che la ricerca storica deve essere campo esclusivo di chi ha in tasca una laurea in storia? A questo punto anche F.L. -La Mula, è fuori gioco e non avrebbe mai dovuto fare ricerca storica o scrivere un libro di storia.

    La ricerca storica è, al contrario e a mio avviso, un campo multidisciplinale: e a volte un economista, un sociologo, un geografo, un linguista, ecc., può riuscire a vedere ciò che un laureato in storia, o un accademico, non riuscirà mai a vedere o a capire.

    Secondo me, quello che manca oggi alla ricerca storica è proprio questo approccio multidisciplinale. La lettura storica del confine orientale è quasi sempre fatta in chiave etnica o di scontro ideologico/politico. Manca una lettura in chiave “sociale” o “economica”.

    Prendi il tema “esodo” degli estriani: quanta parte ha avuto in questa scelta la difficile situazione economica della Jugoslavia di Tito (lettura economica del problema)? Quanta parte ha avuto in questa scelta l’aver perduto lo status di classe dirigente (lettura sociale del problema)?

    La ricerca storica è sempre multidisciplinale e non esclusiva di chi ha in tasca una laurea in storia.

  70. La Mula ha detto:

    Marisa, non so come sia oggi lettere a Trieste (le mie figlie sono comunque scappate entrambe a gambe levate in meno di un anno), ma una volta negli anni ’70 anche a chi come me studiava linguistica si affiancavano esami di storia. E i docenti (penso a Cammarosano) più che nozioni pretendevano la conoscenza dei metodi di ricerca storica. Al pari del corso obbligatorio di critica letteraria con Petronio, sin dal primo anno ti mettevano nelle condizioni di avere gli strumenti per qualsiasi ricerca. Poi toccava a te scegliere il metodo più utile per il tuo lavoro.

    Anche in questo caso è questione di metodo, anzi, proprio sul metodo della ricerca si finisce per alimentare lo scontro politico. C’è tanta gente che sa molte cose della storia del confine orientale, ma non tutti sanno raccoglierle con metodo scientifico.

    Prendi ad esempio i racconti sull’esodo: una cosa è strutturarli secondo le metodologie previste dalla storia orale, altra tirarli giù dimenticando tutta una serie di passaggi che hanno una vera e propria valenza scientifica.

    L’importante comunque, secondo me, è dire quale metodo si è usato (nel nostro caso, trattandosi solo di un’introduzione a una bibliografia, abbiamo seguito il canovaccio della Commissione mista), quali obiettivi ci si è prefissati (essere divulgativi) e se possibile anche avere il coraggio di dire che è una lettura di parte. Se si spaccia un libro come il nostro per saggio storico che mette la parola fine a tutte le querelle visto che siamo depositari del vero, beh… sarebbe veramente il massimo del mistificatorio.

    I piani sono diversi, ma c’è sempre spazio per più piani, come dici tu. Prendi Salvi e Le lingue tagliate (tanto per ricominciare a litigare 🙂 ) : non è un saggio scientifico (come ad esempio un Devoto o Tagliavini o Francescato ecc.), ma ha avuto l’incommensurabile pregio di rendere nota a tutti una questione fino ad allora limitata ai cenacoli universitari.

    La diffusione della cultura è altrettanto importante della ricerca scientifica. Oggi come oggi lo scollamento in tal senso è sempre più ampio e credo che sia uno dei problemi ‘politici’ che bisognerebbe seriamente affrontare
    buon week end
    La Mula

  71. Bibliotopa ha detto:

    metodo scientifico in storia. Io so che esiste un metodo scientifico delle scienze fisiche sperimentali, più o meno attribuito a Galilei, e già su questo ho sentito dibattiti.
    Qualcuno mi spiega come si riconosce se uno studio storico segue il metodo scientifico? e se non è scientifico vale la pena di leggerlo lo stesso?

  72. Marisa ha detto:

    E’ vero, Salvi ha avuto il grandissimo merito di aprire un dibattito.
    Nessun litigio su questo argomento. La storica Claudia Cernigoi (foibe), ha avuto il grandissimo merito di mettere “paletti” alla all’uso propagandistico che la destra faceva di questo tema: e per questo oggi è così odiata dalla destra. Ha “documentato” e questo ha posto paletti.

    Gli storici, secondo me, dovrebbero essere “cacciatori di documenti” che poi verranno letti da chi di competenza.

    Altro esempio: sono stati trovati negli ultimi anni, non so in quali archivi europei, importantissimi documenti del IV e V secolo redatti dal vescovo aquileiese Cromazio. Poi esperti in teologia li hanno esaminati e oggi questi documenti pare stiano rivoluzionando la storia del cristianesimo in Europa. Ecco, questa per me è la ricerca storica: campo multidisciplinare.

    Ma nel caso della “storia del confine orientale”, siamo ancora lontanissimi da questo approccio “neutro”.

  73. valerio fiandra ha detto:

    Segnalo all’attenzione “Il Cigno Nero – come l’improbabile governa le nostre vite” di Nassim Taleb ( Il Saggiatore ) : contiene alcune interessanti pagine sui limiti delle ricostruzioni storiche, nonchè sui rischi che ne conseguono. Vivalàs.

  74. Marisa ha detto:

    Continuo dal commento precedente.

    Ovviamente sulla “storia del confine orientale” c’è anche chi fa ricerca storica seria e documentata…..solo che poi le loro opere finiscono “mescolate” con i libri di “progaganda” storiografica….

  75. La Mula ha detto:

    Sì, cara Bibliotopa, esiste anche in discipline umanistiche un metodo scientifico (la filologia può insegnare molto in tal senso). Il discorso è sempre lo stesso dai tempi di Galileo sulla dicotomia scienze fisiche sperimentali e scienze umane. In tal senso vi suggerisco di leggere Paolo Zellini ‘Lo gnomone’ Adelphi, matematico triestin-romano che da anni sta lavorando per integrare i due ambiti.

    Valerio giustamente sottolinea che ci sono rischi dettati dai limiti delle ricostruzioni storiche (grazie per il suggerimento bibliografico) e del resto la ricerca non andrebbe avanti se scoperti i limiti non si provasse a superarli.Il limite è il punto di partenza per continuare ad andare avanti, almeno secondo me.

    Pensate solo alla ‘rivoluzione’ fatta in Italia da Ginzburg con ‘Il formaggio e i vermi’: oltre ad aver divulgato il metodo degli Annales, ha completamente capovolto la storia del medio evo in Friuli, mettendo in luce fenomeni che sono ancora in atto.

    Oggi poi l’apertura degli archivi è pacchia pura per gli storici (che devono come dice Marisa accedere soprattutto alle fonti, con metodo). Ho un aneddoto simpaticissimo da raccontare, una di quelle cose che sogni di narrare ai tuoi nipoti…vi farò fare i nipoti!

    La Mula

  76. La Mula ha detto:

    La storia si svolge a Trieste dove ha sede una compagnia d’assicurazioni che non cito, a sua volta impelagata in una causa multimiliardaria con gli ebrei di un paese oltreoceano (che non cito).
    Da anni la compagnia cercava tracce del suo impegno, prima ancora delle leggi razziali, nel mettere in salvo gli ebrei. Serviva per gli affidavit che valgono molto nel non menzionato paese d’oltreoceano.Per cercare materiale aveva sguinzagliato un bel po’ di funzionari in giro per l’Europa, con costi spaventosi, ma in due anni non avevano trovato nulla. Niente a Praga, Varsavia, Berlino, ecc.

    A due giornalisti di Trieste venne chiesto da un settimanale milanese di raccontare qualcosa sulla vicenda.Impossibile intervistare direttamente il presidente della compagnia, ma possibile mandare domande scritte. I due contattarono una studiosa di storia dell’ebraismo a Trieste, che stava facendo ricerche proprio su quel momento storico. La studiosa suggerì le domande e fornì anche documenti. I giornalisti spedirono le domande alla compagnia.

    Poche ore dopo telefonò il capo dell’ufficio legale della compagnia nonchè ‘gestore’ del pool di avvocati che seguiva la causa d’oltreoceano. E fissò un appuntamento per le nove del mattino successivo. Una giornalista si presentò accompagnata dalla storica e con le carte (l’altro giornalista continuò a dormire).

    “Senta, vado subito al dunque. Dalle vostre domande sappiamo che voi avete in mano le carte che cerchiamo. Quanto volete?”. Stupidità frammista a onestà volle che la giornalista rispondesse “Non sono mie, ma della dottoressa che è con me”. Questa rispose che non voleva niente perchè era materiale inedito che le sarebbe servito per il suo prossimo libro. Capo staff legale e giornalista sbiancarono. Il primo assicurò che nulla avrebbe inficiato l’unicità del suo lavoro, si dichiarò persino disposto ad affidarle un incarico. Pur di avere quelle carte quella mattina stessa (la giornalista le aveva in copia in borsetta e soffriva come una bestia vedendo almeno un centinaio di milioni passarle sotto il naso e volar via).

    Finisce qui? No. Chiacchierando amenamente sulle sue ricerche la studiosa disse che aveva trovato tutto a Lubiana (indicando con una certa precisione in quale archivio), ma soprattutto nella prefettura cittadina. Il capo staff fu gentilissimo, non mantenne (ovviamente mai) la sua promessa d’incarico e probabilmente richiamò i suoi dai vari paesi europei spedendoli in piazza Unità (probabilmente a piedi).

    E’ finita? Beh, non proprio. Come ringraziamento per aver risolto brillantemente una questione che si trascinava da anni la giornalista ebbe la sua intevista (scritta) col presidente (firmata in ogni pagina). Bello scoop, pensò.

    Telefonò ai massimi quotidiani nazionali (chi se ne frega del settimanale…) e tutte le volte venne dirottata sul vicedirettore. Tutti interesatissimi. Poi il silenzio. Fu un amico dirigente della compagnia che le spiegò che loro le avevano solo promesso un’intervista, mica le avevano garantito la pubblicazione. Finì come al solito sul Manifesto (come la lista originale inglese degli italiani sospettati di crimini di guerra, poi consegnata all’Istituto a Greta)…Gratis, ovviamente.

  77. La Mula ha detto:

    A Gretta…pardon

  78. Marisa ha detto:

    Valerio, una cosa è la “ricostruzione storica”, altro trovare documenti, magari dimenticati da secoli in qualche archivio, che ti permettono di riscrivere la storia.

  79. valerio fiandra ha detto:

    Ah, ecco…

    Grazie.

  80. La Mula ha detto:

    🙂

  81. personalità politica ha detto:

    …..c’è sempre qualcosa di ostentato da queste parti. forse perché troppo vecchio?

  82. Personalità impolitica ha detto:

    ara chi parla!

  83. Stella del ciel ha detto:

    invece ha ragione personalità politica!

    ma carneade valerio fiandra, quando la smetterà di dare lezioncine?
    scrive molto poco, ma quel poco è sempre infarcito di citazioni dotte (ma ha anche qualche opinione propria?) per darti a bere che è un saggio sornione che legge tutto e soppesa, soppesa, soppesa.
    pesantissimo.
    con tre parole (Ah ecco….grazie!) sminuisce un discorso intelligente di Marisa.

    valerione, viè zsò dal fìc, che te séet un pìrla come no’ altri.

  84. personalità politica ha detto:

    Evidenzio – per tutta sostanza – che “Cigno Nero” era una delle più belle barche a vela in legno dell’intero golfo triestino, di proprietà di un noto radiologo padre di numerosi figli, i quali ne formavano il fedele equipaggio (negli anni 60-70).
    Valerione, allegerisciti. Sai qualcosa di questa barca?

  85. valerio fiandra ha detto:

    Cara s/personalità, ci ho anche passato qualche ora. Ma sei sicura che la professione del proprietario fosse quella? Oppure non era il Cigno Nero. Oppure non sono Valerione. Ah, saperlo…

    ps : gradirei che in futuro tu mi dassi del Lei. Per mantenere meglio le distanze, capisci ?

  86. Bibliotopa ha detto:

    stiamo divagando, ma dalla descrizione del proprietario, mi sembra parliate del Maris Stella. Ebbi occasione di farci un giro negli anni 70, ospite di uno dei tanti figli. C’è ancora il Maris Stella?

  87. Matteo Apollonio ha detto:

    Peccato che questo alterco radical chic sia coperto da nomignoli fantasiosi. Sarei molto curioso di sapere chi sono i vari gentiluomini della tenzone. In fin dei conti soltanto il Signor Valerio Fiandra si identifica, mentre le varie personalità, stelle alpine e stelle della sera restano nell’ombra a menar fendenti. Suvvia un po’ di più valor, miei cavalieri!

  88. valerio fiandra ha detto:

    Matteo, in altri tempi – in altri luoghi – anche io.

    Ma colgo la tua silenziosa ( e dunque nitida ) dolce reprimenda, e mi taccio, con un inchino. (Forsi).

  89. francesca ha detto:

    Bene. E’ finito anche questo week end di rancori? O meglio ancora la versione web della Trieste infrequentabile?

  90. Stella del ciel ha detto:

    … ci ha passato qualche ora, lui, il radical-tutto-meno-che-chic.

    cigno nero, cigno nero, questo era il nome della barca.
    il cognome del radiologo iniziava per R.

    comunque valerione, non fartela andare di traverso. tutti sappiamo quanto sai e quanto vali.
    infine, non serve che ti dia del “lei”, perché l’intimità no es possible trasformarla in tenzone.

    cheeryo.

  91. lucio gruden ha detto:

    Vedo che anche il “neofascismo” pone querelle personalistiche.
    Vorrei comunque ribadire il concetto che Marisa ha ragione, perché già K.R. Popper parlava, in “Miseria dello Storicismo”, dello storicismo quale pratica revisionista (dei marxisti), intenta a spiegare (leggasi: ricostruire) i mille nessi di causalità.

    Allora mi pare che il tema posto anche da Personalità Politica sia quello più corretto e sul quale andrebbero fatti dei commenti, più che sulle….barchette di legno.

  92. Marisa ha detto:

    Ogni campo culturale ha i suoi metodi di indagine. Ma è del tutto ovvio che c’è une bella differenza tra l’esaminare un campione di terreno, tanto per fare un esempio, utilizzando gli strumenti della chimica o il compiere una indagine sociologica….

  93. Marisa ha detto:

    ….e i chimici normalmente non litigano, ma anzi, se hanno dubbi, fanno esaminare una carota di terra anche ai colleghi e poi confrontano i risultati di tutte le analisi chimiche.
    …..i sociologi litigano su tutto!

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