Gian Matteo Apuzzo continua la sua corrispondenza da Mitrovica in Kosovo, la città divisa tra albanesi e serbi, con questo pezzo scritto ieri, domenica sera.
Ore 24.00. I simboli della festa per l’indipendenza del Kosovo sono senz’altro la bandiera albanese e la bandiera americana. Anche sul palco che ha ospitato il concerto e la manifestazione della festa ufficiale a Pristina ieri sera (domenica 17) capeggiava una grande bandiera degli Stati Uniti, proprio al centro, in mezzo alle bandiere albanesi e a quelle che saranno la bandiera ufficiale del Kosovo.
Anche per le strade però la bandiera del Kosovo, la cui composizione – il Kosovo in giallo e sei stelle gialle su sfondo blu – è stata stabilita dal piano Ahtisaari, è comparsa timidamente, quasi invisibile di fronte alla predominanza del colore rosso e delle stelle e strisce.
I fuochi d’artificio a Pristina alle 23 hanno chiuso questa giornata. Il Primo Ministro del Kosovo Thaci ha proclamato l’indipendenza del Kosovo quasi un’ora e mezza in anticipo rispetto all’orario previsto (intorno alle 15.40) tra la gioia e la commozione della gran parte della popolazione – la maggioranza albanese – che, come nei giorni scorsi, si è riversata nelle strade fin dalla mattina.
A Mitrovica la giornata volge al termine sostanzialmente senza che si siano verificati i tanto temuti incidenti. Le esplosioni avvenute in serata contro sedi istituzionali internazionali, per altro senza conseguenze per persone, sono più atti dimostrativi che non una reale intenzione di colpire persone e civili.
A Mitrovica nel giorno dell’indipendenza ci si è guardati un po’ attraverso il ponte ma in realtà la presenza a ridosso del ponte non è mai stata numericamente significativa. Dalla parte serba c’era costantemente un gruppo di persone ma è stata una presenza silenziosa e pacifica, mentre nella parte sud nelle vicinanze singoli o gruppetti si sono avvicinati senza però mai fermarsi a lungo. In questo senso è stata efficace anche un’azione costante, discreta ma decisa, della polizia locale kosovara che dissuadeva le persone dal sostare in prossimità del ponte.
Poche persone hanno attraversato il ponte oggi. Quasi tutti giornalisti, pochissimi operatori civili internazionali. Mi permetto una nota personale, voglio qui ringraziare gli operatori dell’Associazione per la Pace, da anni presenti a Mitrovica con un progetto di dialogo e riconciliazione, che mi stanno guidando in questi giorni e con i quali anche stamattina mi sono recato nella parte nord della città.
La mattina è stata molto diversa tra le due parti. La parte sud di Mitrovica, quella albanese, si è svegliata con calma con piccoli caroselli di auto solo dalla tarda mattinata. A nord invece si sono radunate alcune persone nella piazza di fronte al ponte in attesa dell’intervento del Ministro Samardzic, ma c’era un’atmosfera quasi surreale, un silenzio molto evidente tra la gente e nelle strade.
Fino ad una certa ora in realtà intorno al ponte, da una parte e dell’altra, i gruppi di persone più numerosi erano quelli dei giornalisti, già sistemati con tutti gli operatori e le attrezzature video. Anche davanti alla cattedrale ortodossa, che domina la città, c’era una significativa presenza di troupe televisive pronte alle riprese dall’alto.
Lungo la salita alla cattedrale, nella zona nord, c’era la presenza più numerosa delle forze militari internazionali, sia in termini di uomini che di mezzi pesanti. In posizione meno evidente dunque, ma con un dispiegamento di forze tale da testimoniare grande livello di attenzione.
Nella parte nord le persone di etnie diverse da quella serba hanno preferito passare la giornata stando in casa o comunque in prossimità della propria abitazione. E tale atteggiamento sarà tenuto almeno per un paio di giorni ancora, giorni nei quali si continuano a temere azioni di ritorsione.
Comunque, come detto, la situazione è sempre stata sostanzialmente tranquilla. Anche al campo rom di Osterod le persone incontrate non dimostravano particolari timori pur preferendo rimanere nel campo.
Bisogna sottolineare che da parte delle autorità serbe ci sono stati continui inviti a non manifestare con atti violenti o provocatori.
A Mitrovica nord, oltre alle bandiere serbe, sulle vetrine di alcuni negozi e per la strada si notavano immagini di Putin e richiami all’amicizia con la Russia. Le vie che portano al ponte erano abbastanza animate, i giovani erano per strada, e diverse persone, anche per curiosità, andavo fino alla piazza davanti al ponte e poi tornavano indietro. Non molti sono rimasti lì a lungo. Sembrava però di stare in una città silenziosa, forse spaesata e triste più che arrabbiata. Anche la manifestazione con il ministro serbo si è svolta senza grandi clamori e alla fine c’è stato un corteo silenzioso che ha risalito la strada che dal ponte va verso l’interno di Mitrovica nord.
Nel pomeriggio il ponte è stato in pratica chiuso e il passaggio è stato permesso solo ai giornalisti. Comunque, anche per precauzione, avevamo deciso di passare il pomeriggio nella parte sud. Come detto non ci sono stati eccessi né momenti di tensione. Si potevano vedere molte persone commosse fino alle lacrime, soprattutto nei minuti successivi al discorso ufficiale di Thaci. Ci sono stati continui caroselli di auto e una grande manifestazione nella piazza vicino alla Moschea, dove musiche tipiche albanesi, organizzate e spontanee, hanno accompagnato la folla fino a notte fonda. I giovani poi hanno riempito i locali centrali per ballare e festeggiare, anche per ripararsi dal freddo gelido che ha caratterizzato tutta la giornata.
“E adesso?” questa la domanda che a Mitrovica gli operatori dell’Associazione per la Pace condividevano con i pochissimi internazionali presenti e alcuni ragazzi locali, consapevoli che dopo l’indipendenza ci sarà molto da lavorare, sia per lo sviluppo del Kosovo, per dare lavoro ai giovani e meno giovani, sia anche nel senso del dialogo e della riconciliazione, affinché il paese possa vivere in una situazione di normalità. Oggi il Kosovo voleva solo festeggiare e tra l’euforia, la gioia e la commozione non c’era molto spazio per le preoccupazioni.
pesante:
Io capisco il desiderio dei kosovari albanesi e le loro ragioni: costituiscono il 90% della popolazione, sono stati minacciati di sterminio, hanno poco o niente da condividere coi serbi sia per lingua, che per religione, che per tradizione nazionale; e, soprattutto, non vogliono perdere l’occasione storica di farsi foraggiare dagli americani, che sono pur sempre americani. C’è ovviamente in questo atteggiamento del chiaro opportunismo, ma è inevitabile che sia così. Ogni popolo ha pieno diritto a lottare per l’indipendenza e nessuno glielo può impedire: del resto, è ancora assai dibattuto fra i giuristi internazionalisti cosa sanzioni realmente la nascita di un vero Stato sovrano; non può esserlo soltanto il riconoscimento di Stati esteri, in quanto proprio così si negherebbe la vera autonomia del nuovo Stato, costretto, per esistere, a chiedere il riconoscimento agli altri. Pertanto, è difficile dire se, oggi, Cipro Nord, piuttosto che la Transnistria, siano o no Stati a tutti gli effetti.
Detto questo: non capisco la fretta degli Stati Uniti e di alcuni Paesi dell’Unione europea nel riconoscere l’indipendenza del Kosovo. Gli unici motivi razionali che vedo sono: 1) dare un senso a un’occupazione militare che dura ormai da nove anni e che non si sapeva più come gestire; 2) equilibri geopolitici ed economici. Mi verrebbe da dire, sicuramente banalizzando, che agli americani piace sempre passare per liberatori. Trovando un interessante punto d’appoggio nei Balcani; interessante anche perché sostanzialmente privo di vincoli, essendo il Kosovo assolutamente incapace di gestire l’ordine interno, se non ricorrendo al potere dei clan. E mi sembra folle affidare a tali clan la gestione di uno Stato sovrano, una specie di Secondigliano extraterritoriale, da dove far partire i loro traffici…
Sul piano dell’ordine internazionale non sono particolarmente allarmato e non credo che questa secessione potrà seriamente innescare nei Balcani violenze pari alla guerra dei primi anni ’90; il tutto si risolverà – presumibilmente – in qualche dimostrazione (giustificatissima e pienamente legittima) dei serbi, sia del Kosovo che della madrepatria, in quanto i loro diritti sono stati vergognosamente negati. Non credo che avremo reazioni dei serbi in Bosnia, perché là i serbi hanno ottenuto ben più di quanto fosse lecito, avendo la comunità internazionale avallato il genocidio dei musulmani e dei croati. Già ci sono state reazioni, anche se per il momento più che pacifiche, da parte di altri popoli che lottano per l’indipendenza, come gli abkhazi, gli osseti e i transnistriani, ma residue logiche da guerra fredda (la Russia si è ritirata definitivamente dai Balcani, ma nel Caucaso è incontrastata) faranno insabbiare ogni velleità.
Credo che Abkhazi, Ceceni, Osseti, ma anche gli Ingusci ed altri popoli che per il momento non si sono fatti sentire, abbiano in realtà motivazioni più valide dei kosovari per reclamare l’autogoverno: lingua e storia proprie, per esempio, anche se dubito che una nazione si riconosca solo da questo. I kosovari certo non sono serbi, ma è difficile individuare una caratteristica pienamente “kosovara”: sono a tutti gli effetti albanesi, una (grossa) minoranza albanese che ha la sventura di abitare un territorio che i serbi considerano “sacro”; gli unici tratti tipici sono solo appunto lo stare su quel territorio, l’aver subito violenze ed essere stati salvati dalla Nato… un po’ poco. Ma riconosciamo alle minoranze il diritto a costituirsi a Stato? Non sarebbe stato meglio intavolare dei negoziati tra Serbia ed Albania per garantire i diritti degli albanesi del Kosovo, come sempre si fa? C’era anche la possibilità – più giustificabile – di prevedere un ricongiungimento del Kosovo all’Albania, ma quest’ultima non ne hai mai fatto formale richiesta, né ha le forze per raccogliere due milioni di morti di fame entro i suoi confini.
Mi pare dunque che gli Stati Uniti abbiano fatto le cose troppo in fretta, forse solo col gusto di dar fastidio alla Russia, rimarcando ormai il loro status di unica grande potenza mondiale.
Bene, bravo, bis.
altolà per la Slesia alla Germania!! la strappò proditoriamente Federico il Grande di Prussia con una guerra di aggressione a Maria Teresa appena salita al trono: è all’Austria che deve tornare… Maria Teresa partecipò a diverse guerre con il costante intento di riprenderla, ma non ci riuscì.
🙂
@Bibliotopa: storicamente è corretto quello che scrivi, ma ti faccio presente che: il dialetto slesiano è di derivazione sassone (l’austriaco è bavarese), per annettersi la Slesia l’Austria dovrebbe prima annettersi la Rep. Ceca (non confinano, a differenza di Slesia e Germania), oggi in Slesia non troveresti nessuno che parli tedesco, i profughi slesiani sono andati quasi tutti in Germania (soprattutto a Wiesbaden)e non in Austria.
@tutti quelli che girano attorno al tema “ritorneremo”: finchè la gente rinvangherà il passato, volendo applicare le sue regole al presente, i territori di confine non avranno mai pace. Se domani l’Italia “ritornasse” in Istria, troverebbe una schiacciante maggioranza di sloveni e croati che, per vicende storiche, non sono abituati a limitarsi ai tralicci.
Secondo me l’unico modo di risolvere certe situazioni (faccio qualche eccezione: Sudtirolo, Belgio, Catalogna) è sentirci profondamente Europei e, io almeno ci credo, aiutare la formazioni di Euroregioni, che finalmente facciano sparire certi nazionalismi ormai più che superati dai fatti.
Con Alpe-Adria la questione istriana non esisterà più (e AN non avrà più il serbatoio di voti che deriva dalle promesse di restituire i beni abbandonati e, magari, di “ritornare”).
Poi più c’è una propaganda anti italiana come fate voi più monta la voglia bellica…sai?
@ Julius Franzot
concordo in pieno col suggerimento di superare queste vecchie beghe di confine e al di là delle varie euroregioni ricordo che c’è un’Europa di cui dovremmo sentirci tutti cittadini.
E mi chiedo se la costituzione di stati sulla base linguistica non sia anch’esso una forma di nazionalismo… una sorta di moderne guerre di religione; e di Stati con territori non adiacenti ce ne sono stati, anche se poi non sono finiti del tutto bene: la Prussia orientale, i due Pakistan… il mio intervento era solo per dire che se vogliamo ricordare il passato, allora la storia la dobbiamo conoscere un po’ tutta, non solo quello che fa piacere a noi.