Riceviamo e pubblichiamo da una cittadina questo saggio di Marco Stolfo dell’Università di Torino intitolato: “LA TUTELA DELLE LINGUE MINORITARIE TRA PREGIUDIZI TEORICI, CONTRASTI IDEOLOGICI E BUONI MOTIVI” (scaricalo, formato .doc). L’introduzione di Stolfo recita così:
Questo saggio affronta alcune delle argomentazioni che vengono utilizzate più frequentemente nel dibattito riguardante la tutela delle lingue minoritarie da parte di quanti sono contrari a qualsiasi forma di riconoscimento e di promozione istituzionale del pluralismo linguistico. In questo quadro figurano in particolare tre presunte antinomie teoriche: tra universale e differenza, tra uguaglianza e diversità e tra individuo e collettività. C’è poi un quarto argomento che viene opposto alla tutela delle lingue minoritarie e riguarda la loro utilità nella comunicazione. L’autore contesta queste posizioni, evidenziandone l’assenza di effettivo legame con la realtà e la natura pregiudiziale e ideologica, e propone alcuni «buon motivi» a favore della promozione efficace e concreta del pluralismo linguistico.
Malgrado l’impostazione esplicitamente accademica che ne rende la lettura talvolta faticosa si tratta chiaramente di un valido contributo al dibattito attualmente ‘di moda’. Che l’autore sia il direttore del Servizio per le identità linguistiche e culturali della Regione pure non è fatto di rilevanza minore.
Nel polverone alzato recentemente da esponenti del mondo politico (fatto da tanti paroloni e ben pochi argomenti) il saggio aiuta a decifrare le discutibili basi teoriche su cui si fonderebbero certi recenti interventi del Segatti, per fare un esempio, coi suoi mai ben spiegati accenni ai diritti che sarebbero individuali piuttosto che collettivi.
La relativa parte del saggio ben si abbina, quale contrappunto formale, ad un intervento assai più ‘terra terra’ di Andrej Berdon la scorsa settimana sulle pagine del Primorski dnevnik: se un diritto è puramente individuale spetta al singolo l’onere di affrontare i mulini a vento istituzionali e pretenderne il rispetto. Ogni volta, anche se qualcun’altro c’è già riuscito. Più chiaro di così…
Per fare un esempio che spero sia tanto imporobabile quanto è tirato per i capelli, se un novello Gentile volesse riproporre la disgraziata riforma della scuola del 1923 ed abolire le scuole in lingua slovena gli unici legittimati a protestare sarebbero gli alunni ed i loro genitori e tutori, tutti gli altri zitti e mosca. Tirato per i capelli? Mica tanto: proprio oggi sempre il Primorski [http://www.primorski.it/archivio/31_01_2008/TRST/TRS03.html] riassume il modo sommario con cui il TAR ha dichiarato innammissibile il ricorso contro il decreto Scajola presentato nel 2001 da cinque esponenti dell’Unione Slovena in quanto “non aventi titolo a promuovere azione legale per conto della propria comunità”.
Per analogia spetterebbe ad ogni singolo valdese, ortodosso, protestante o non credente il pretendere dal Moloch il diritto alla propria convinzione. Figuriamoci. Divorziati d’Italia, attenti: in caso di nuove nozze potreste trovarvi bigami fino a prova contraria (e la prova sarebbe a carico vostro). Parità tra i sessi? Non si regala niente, ognuna deve arrivarci da sola.
L’analogia tra l’attuale dibattito sul friulano e quanto prodotto in vari decenni riguardo all’uso pubblico della lingua slovena non è casuale: l’osservatore attento avrà notato che gli ‘argomenti’ sono letteralmente gli stessi, cambia solo il bersaglio. Visto che di questi tempi di aperture e buonismo dare contro alla lingua del ‘zakaj’ non è ‘politically correct’ (approfittiamo finchè dura) il centralismo linguistico sembra aver ripiegato sul caso più a portata di mano. Il fatto che i tanto prognosticati sfracelli in caso di uso dello sloveno non solo non si siano verificati, ma è invece successo l’esatto contrario non sembra essere ritenuto pertinente da quanti ora ripropongono le stesse oscure visioni in caso di uso del friulano. Sempre in assenza di dimostrazioni, fidarsi e basta.
Piuttosto, questo riciclare di argomenti usurati e minestrine riscaldate mi sembra la dica lunga sulle capacità intellettuali della nostra classe politica. Ed il primo che commenta ‘ognuno ha i politici che si merita’, lo mordo. Sob!