17 Gennaio 2008

Africa: il pensiero, le azioni

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Sabato 19 gennaio, con inizio alle ore 20.30, al MIELA di Trieste, a cura della Associazione S/Paesati, il filosofo africano Paulin Hountondji sarà ospite di un incontro pubblico.

Pubblichiamo qui di seguito, per gentile concessione del professor Giovanni Leghissa, che dialogherà con l’ospite, il testo di un suo articolo di presentazione della serata.

Se si considera il fatto che in Italia, bene che vada, di Africa si parla soprattutto in riferimento al cinema o alla musica, potrà forse sorprendere qualcuno il fatto che, nell’ambito della rassegna «S/paesati», sabato al teatro «Miela», abbia luogo un incontro con un filosofo. Non si tratta per altro di un filosofo qualunque: Paulin Hountondji da decenni ormai viene riconosciuto come una delle voci più originali e interessanti del dibattito intellettuale africano – e ben al di là dell’area francofona.
Nato nel 1942 a Abidjan (Costa d’Avorio), come molti intellettuali della sua generazione si è formato in Europa – più precisamente, all’École Normale Supérieure a Parigi. Attualmente insegna filosofia all’Università di Cotonou (Benin), ma in passato non ha disdegnato di «sporcarsi le mani» nell’attività politica: nel suo paese, sotto la presidenza di Nicéphore Soglo, è stato Ministro dell’Educazione e poi della Cultura e Comunicazione. L’esperienza è stata invero deludente: in un contesto in cui il neocolonialismo produce effetti devastanti sulle giovani democrazie africane, non è semplice cercare di combattere non solo la miseria, ma anche l’endemica corruzione che affligge quasi tutti i regimi politici africani.
Ma se dal 1993 Hountondji è tornato a fare il suo mestiere di professore, dopo essersi accorto che l’attività politica in cui era impegnato poteva portare ben pochi frutti, ciò non significa che abbia tradito i propri ideali: per lui, come per gli altri intellettuali africani, la lotta per l’emancipazione e per il rafforzamento della democrazia passa attraverso l’impegno culturale, nella convinzione che solo la nascita di una società civile indipendente e motivata potrà risollevare le sorti del continente. Ed è precisamente in questo contesto che assume rilievo la riflessione filsofica. È a quest’ultima infatti che spetta il compito di pensare l’intreccio tra modernità e tradizione. Questo intreccio costituisce uno snodo centrale, che ha una rilevanza al tempo stesso teorica e pratica. Pur riconoscendo che in Africa vi sono carenze enormi in quasi tutti i campi della vita civile, non si può semplicemente abbracciare la tesi secondo cui l’Africa avrebbe solo bisogno di adeguarsi ai modelli occidentali di sviluppo. La via africana alla modernità passa per un riattraversamento creativo delle tradizioni, cancellate o marginalizzate durante il dominio coloniale. Tale valorizzazione della tradizione ovviamente non può portare alla scoperta di un’autenticità africana perduta – e questo non solo perché, in un contesto globale, né in Africa né altrove c’è ormai qualcosa di «autentico», ma anche perché la creazione di artificiose «tradizioni autentiche» è sempre complice dei peggiori oscurantismi.
Consapevole di ciò, il filosofo può fornire un contributo non irrilevante alla nascita di una coscienza collettiva matura e responsabile, in cui la critica ai modelli di sviluppo occidentali (e, perché no, alla stessa nozione di «sviluppo») si mescola all’appropriazione creativa di quei frutti maturi della modernità che sono la democrazia e il pluralismo. Non va infine trascurato il fatto che la riflessione africana su questi temi contribuisce a produrre una reinterpretazione della modernità che costringe tutti noi a prendere coscienza di come quei principi universali di cui la modernità va giustamente tanto fiera debbano di volta in volta essere declinati secondo una prospettiva locale. E questo non per giungere a una loro relativizzazione, ma per costruire quelle premesse – filosofiche e politiche assieme – da cui possa scaturire una discussione seria sulle molteplici differenze (di classe, di genere, di cultura) che attraversano le nostre complicate società globali.
Contestualmente all’incontro con Paulin Hountondji verrà presentato anche un numero della rivista «Simplegadi», in libreria da marzo, interamente dedicato alla filosofia africana. Oltre a un contributo dello stesso Hountondji (le cui opere, da tempo disponibili in inglese o in tedesco, non sono ancora state tradotte in italiano), vi sono saggi di altri autori africani e di quei pochi studiosi italiani che hanno iniziato a far con oscere il dibattito filosofico africano. Anche questa, direi, un’occasione da non perdere, non tanto per allargare i nostri orizzonti e cadere così nella trappola del cosiddetto «dialogo milticulturale» (la cui retorica è simmetrica a quella dello «scontro tra civiltà»), ma per cominciare a comprendere in cosa consista davvero la varietà e la complicatezza del mondo globale in cui viviamo.

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