Il dato più eclatante di quelli riportati nel post precedente riguarda il rapporto tra espansione territoriale e movimentazione delle merci tanto che l’uso della parola porto a Trieste ha oggi assunto una valenza psichiatrica: dopo anni di diatribe i triestini ritengono che il porto siano i 600 mila metri quadrati fatiscenti del porto vecchio.
Recentemente ho avuto modo di visitarlo e devo dire che all’ormai congenito, quasi naturale, stato di abbandono si aggiunge un degrado inimmaginabile.
Se si escludono i rimorchiatori, i traghetti, il magazzino in ristrutturazione (quasi finale) della Maltauro, la Crismare, l’Adriaterminal e un bar possiamo dire, senza paura di venir smentiti, che a Sant’Anna c’è più vita (e soprattutto il cimitero è meglio tenuto). Merito anche della luminosa scelta di trasferire l’Autorità portuale nell’orrida palazzina di via von Bruck.
Non credo esista in Europa e o forse nel mondo un architetto che non abbia partecipato a un progetto di ristrutturazione del porto vecchio (un po’ come gli studenti di architettura di Venezia che si laureano da anni con progetti di ristrutturazione delle case popolari dietro il Ghetto). Ho persino ipotizzato che, se un architetto non ha un progetto nel cassetto sulla ristrutturazione del porto vecchio, lo cancellino dall’Ordine.
E non esiste qualcuno che non abbia nel cassetto un’idea su come ‘ritornarlo alla città’. Anzi dai cassetti saltano fuori spesso le stesse idee. La migliore è un ex parcheggio coperto che si è, negli anni, trasformato in hotel.
Esattamente come non esiste uno studio legale esperto in diritto internazionale che non abbia fornito consulenze sul porto franco o su varie altre vicende legali che, con l’avvento del nuovo presidente Bonicciolli, pare stiano scemando, almeno nell’interesse dell’opinione pubblica. E questo è un bene.
Di merci non si parla, dunque, ma di servizi sì. E una delle principali caratteristiche dell’Ap è la gestione del demanio marittimo, il celebre waterfront.
La notizia del passaggio dei parcheggi sulle rive al porto non dovrebbe stupire nessuno. E’ territorio di proprietà del demanio e quindi della Ap, esattamente come i marine e persino come i bagni e le spiagge private in costiera. La revisione delle tariffe di concessione non dovrebbe indignare nessuno, essendo un’operazione di trasparenza dovuta da un ente pubblico.
Diciamo che l’attuale Ap ha il pregio di cominciare a rimettere ordine nella deregulation che è stata praticamente una delle cifre stilistiche del porto di Trieste. Politica dei piccoli passi? No, riordino delle normali attività accessorie. Significa rimettere i puntini sulle i e rivendicare competenze.
Per anni abbiamo pensato che quel waterfront fosse di tutti. No, è dell’Ap. In Comitato portuale le altre forze in campo possono esprimersi, tutto qui.
Il ripristino di alcune regole di buongoverno è un segnale positivo. Forse sul serio, partendo dal basso, il Bronx può diventare un porto?
Per chiudere questa puntata all’insegna dell’ottimismo manca la terza puntata (che rimando alla prossima settimana): quella su operatori, imprenditori e politica.
Pensavate mica che fossi un’inguaribile ottimista?
La Mula
se annamo ad ammazzà?
concordo pienamente