7 Agosto 2007

C’è qualcosa di Nuovo, oggi, nel PICCOLO…

Pubblicato in contemporanea, qui.
“Sono un friulano di neanche trentanni. Ho il privilegio…”

Così l’attacco dell’intervento di Lorenzo NUOVO, oggi in prima pagina sul PICCOLO.

Un lucido, e nemmeno lungo articolo, che esprime un punto di vista ragionato e ragionevole, sulla vexata quaestio del Friulano.
Ah, c’è speranza! , se questo avviene in Via Guido Reni, stesso luogo dove speculazioni e diritti si scontrano, ad armi impari, sul corpo vivo della Città, fra metri cubi e piani (s)regolatori.
Ci sono altri Nuovi, in giro, a farmi rinnovare il Principio Speranza ?

PS Ringrazio Julius per il suo post. La Fiaba continua, altro che la Lotta…

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6 commenti a C’è qualcosa di Nuovo, oggi, nel PICCOLO…

  1. Julius Franzot ha detto:

    Ho appena letto l’ articolo in questione. Si tratta veramente di un commento ragionato, con motivazioni sicuramente sentite e non politiche. Comunque, almeno nelle mie orecchie, l’ autore suggerisce la necessità, secondo lui inevitabile, di assecondare la globalizzazione. Io questo non lo posso condividere: la globalizzazione come è praticata oggi è fonte di disparità sociali, di sfruttamento della mano d’ opera, di delocalizzazioni che preludono a disoccupazione e sono figlie dello sfruttamento, di appiattimento delle culture, non solo di quelle localissime, sull’ idolatrato mondo del web, quel mondo che fu alla radice dei crolli di borsa del 2001. Dobbiamo difendere Bill Gates ed i suoi epigoni ad ogni costo? L’ autore forese non sa che si può salvare capra e cavoli, come è stato fatto in Veneto, traducendo Windows in Veneto? E che studioso inglese di Shakespeare avrebbe interesse a cercare materiale in Friulano, ma anche Italiano o Francese, lingue che oltre Manica normalmente si ignorano?
    La questione di “che Friulano?” è senza dubbio degna di attenzione. Però l’ autore si ricordi che anche l’ Italiano nacque dalla lingua Toscana, senza che per ciò si fossero manifestati movimenti di rigetto, come quelli che lui minaccia per se stesso (“questo friulano non lo voglio nè insegnare nè imparare”). Manzoni, quando si rese conto che i promessi Sposi respiravano un po’ troppa nebbia “lumbard”, ebbe la modestia tipica dei grandi di andare a “risciacquare i panni in Arno”.

  2. patrick ha detto:

    Lorenzo oltre che un bravo insegnante è un mio collega dottorando in storia dell’arte. Cerco di condurlo qui, magari partecipa al dibattito e magari non solo a questo 😉

  3. Lorenzo Nuovo ha detto:

    La mia intromissione è colpa di Patrick Karlsen, che si prende tutte le responsabilità, ma mi pare abbastanza appassionato per resistere..
    Non è chiaro dove io assecondi la globalizzazione, che è abbastanza forte per fare a meno di me e dei giornali. Leggere quello che non sta nel testo è una operazione complicata, specie se i sovra-sensi sono inquadrati dentro una griglia (anche questa anteriore al testo) che prevede una distinzione ready-made di buoni e cattivi..
    è una questione di prospettiva, non di con o contro la globalizzazione. dentro una prospettiva ultralocale chiunque è liberissimo di denunciare la disparità o tutte le altre verità che hai pronte da parecchio e che grosso modo condivido (pure io distante anni luce da toccare questioni politiche, anche se Gates mi è quasi simpatico).
    Tanto per chiarire (Patrick svela la mia formazione) è impossibile leggere l’arte italiana dagli anni Cinquanta del Novecento senza l’apertura del tavolo di discussione dei rapporti Roma-New York; ciò fatto, puoi dire quanto ti pare che le americanissime Biennali di quegli e di questi anni sono ributtanti e imperialistiche, non è un problema per nessuno, o almeno non lo è per me.
    Ultimo punto (lascio stare Windows in Veneto, vale lo stesso che per il friulano): utilizzare categorie moderne per giudicare la origine dell'”italiano” è pericoloso, come esemplificare per anaologia accostando fenomeni culturali così distanti nel tempo. è probabile che i roghi oggi ci sembrino immorali, ma sono spiegabili con il cannochiale della storia. Di più: quell’italiano serviva per comunicare, era lingua “alta”, faceva circolare testi tra il nord e il sud, il centro e le isole. Un pò come il francese in precedenza o il latino pregalileiano.
    La lingua la fanno le esigenze: Goldoni alterna francese e dialetto, e non è un caso che la locandiera parli dialetto e non inglese o francese.
    La comunicazione di rete è inglese per motivi di semplicità e immediatezza comunicativa, ma ti assicuro che io impreco ancora in friulano. Se arriva prima la grammatica rispetto all’uso (ricordi la “toeletta”? sarebbe lo stesso di “barcòn”, finestra in friulano), ti assicuro che è lì che nasce il problema.

  4. Julius Franzot ha detto:

    Egregio Lorenzo,

    Mille grazie per l’ attenzione rivoltami nel tuo commento. permettimi però di esprimermi su quanto scrivi:

    La globalizzazione la hai realmente difesa, seppur tra le righe, sul Piccolo cartaceo: “… discutibili inquadramenti culturali che sanno di disordinato desiderio di tutela di un’ identità culturale minacciata dalla globalizzazione…”. orbene il fatto che gli inquadramenti culturali siano DISCUTIBILI e sappiano di DISORDINATO desiderio… porta ad un’ affermazione della positività della globalizzazione. Se io considero per esempio il fascismo come una cosa negativa, non dirò mai che l’ antifascismo, o un certo antifascismo, sia discutibile ed abbia un sapore disordinato. Ok, si potrebbe anche argomentare che QUESTO tentativo sia discutibile, ma ALTRI possano essere validi, ma, data l’ assenza di alternative, mi sono permesso di interpretare il Tuo pensiero nel senso che la globalizzazione sia per te un valore da tutelare. Se sbaglio, corrigemi.

    Arte: nulla tolgo a Pollock, Lichtenstein ed altri, ma mi soffermo ad ossevare Warhol, con le sue casse di Brillo, ripetute fino alla nausea, con cui ha invaso il mondo, Italia compresa. Ho l’ impressione che l’ asse di cui parli sia a rimbalzo: in Italia, in Europa negli anni 60-90 si è prodotto qualcosa di valido (De Chirico, Kiefer, il tardo Beuys…) a cui semmai si è ispirata l’ America. Le cose valide sono state lì rielaborate, sostituite con elementi locali da merchandising e da graffiti, che l’ Europa ha accolto soprattutto in grazia alla loro provenienza. Se i fumetti e le macchie di colore fossero arrivati dalla Russia, ci avrebbero riso sopra. Secondo me il contributo americano non è stato individuale, ma collettivo, come le stampe su legno giapponesi all’ origine del Jugendstil: al “bello” si è sostituito l’ “informativo”, magari il pictogramma, al duraturo, se vuoi, “museale”, l’ effimero di un’ installazione destinata alla momentanea sensibilizzazione del pubblico, ma, à la longue all’ immagazzinamento invisibile in una cantina. Certo, la mentalità “business-oriented ” degli States ha trovato un modo per ricavare soldi anche da opere effimere, fotografandole e vendendo le foto firmate a caro prezzo, ma non ti sembra che sia una presa per i fondelli?

    Passando al dialetto Toscano: il fatto che una lingua necessiti ad un certo punto di una codificazione, frutto necessario di un compromesso, non mi sembra sia inattuale. Agli albori del ‘900 con l’ indipendenza della Norvegia dalla Danimarca sorse l’ esigenza di unificare le due principali lingue norvegesi in uso, ottenendo il Nynorsk, tuttora lingua vivissima nel Paese, in sui nessuno si sente discriminato per, analogizzando, dover pronunciare “Cjargne” come “Tschargne” o “Kiargne”.

    Parliamo alfine della lingua della rete. Sembra ovvio anche a me che debba essere unificata, fermo restando il merito dei Veneti nella loro traduzione, però sarebbe riduttivo, a parer mio, proiettare contenuti che si riferiscono ad una necessità tecnica puntuale sul corso normale della vita, in cui ci si pulisce il daùr in tele ciase sot la glesie prima di mangiare i ciarsons annaffiati dal vin de Latisane, vendemat su la sason.

    Mandi e stame ben reading this blog!

    Julius

  5. valerio fiandra ha detto:

    La Globalizzazione: cosa è, quanto è “buona”, quanto “cattiva”, quanto e come “migliorabile”, quanto “peggiorabile”…

    Ha ancora senso limitarsi a dire che è “CATTIVA”?

    Perchè non ci vediamo, ne parliamo e poi… ne ricaviamo un testo-cronaca delle nostre diverse opinioni?

    Se, no, tanto per usare il dialetto (la lingua?) di mia madre…“continuemo a scòvàr el mar co la forchetta”

    PS Anche su paroline tipo Arte, Rete, Politica,Friulano…

    INSOMMA: “Voci per un neo-dizionario dei termini (ab)usati”

  6. Lorenzo Nuovo ha detto:

    Mi piace questo blog, atlantico al punto giusto. Grazie per l’egregio, Julius F., ma è davvero fuori luogo, sovraproporzionato.

    Ripeto: se è tra le righe, non l’ho detto; nè davvero ho detto o ho preso posizione circa qualsiasi cosa d’altro, in quel giro di frase. Le righe su globalizzazione e minaccia sono tratte paro paro dalla legge e dalla sue premesse culturali. L’aggettivazione (“confusa” ecc.) certo che è mia, e discute, appunto, tali premesse culturali e, più in genere, gli articoli che mi sembravano cruciali all’interno della legge. Se l’ho scritto è mio, se non l’ho scritto non solo non è mio, ma non esiste e non è argomento di discussione: mi pare che su questo si può andare d’accordo.

    Io dico che il mal di testa è male, ma dico che è una reazione disordinata prendere a craniate un muro o assumere antiemetici.

    L’alternativa non è assente, ma è presente nell’ultima parte dell’articolo: è una specie di “quale friulano” e “da quale prospettiva”.

    Arte: posso anche condividere le considerazioni (la critica è materia opinabile e soprattutto studiabile), ma per dire che Wharhol è male ti serve un bene, che collochi in Europa. E allora la matrice di giudizio è di qua o di là dall’Atlantico, proprio la mia, dentro la quale compra pure i quadri che ti pare. Una sola nota: di De Chirico in quegli anni lì non parla davvero più nessuno (seguo il dibattito critico da molto vicino), e già quello degli annni 20′-30′ ha ben che sparato tutti i suoi colpi e sa a tutti di surgelato.
    I cavalli vincenti del secondo dopoguerra sono altri, ma fa poca differenza, non volevo parlare di contenuti, ma di contenitori, storici e geografici.

    In Friuli Venezia Giulia non vedo casi di lotte di indipendenza, specie figlie (non è il caso dell’esempio che citi?) di secondo letto dell’Ottocento e dei suoi miti (ancora, primo Novecento svedese e attualità friulana come le posso leggere in sinossi? Anche se apprezzo il ricorso all’esempio più vicino possibile nel tempo..). Il nostro problema, quello reale, è la convivenza, la logica della divrsità, e trovare il modo più intelligente per condurla.
    Quello che questi qui hanno scelto è il modo più stupido.

    Lasciamo che il friulano definisca come gli pare quello che gli pare, mouse, desktop o ancora attrezzi, ma che lo faccia dal basso. Tra un pò di tempo scopriremo se ce l’ha fatta, senza che ce lo dicano questi laboriosi satrapetti

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