22 Marzo 2007

Noi che andiamo a Bruxelles

Noi che veniamo dalle estreme regioni del continente, dalle remote province, dalle periferie più lontane rispetto al centro pulsante dove tutto si decide, andiamo a Bruxelles con il rispetto e l’apprensione di chi s’introduce nella stanza dei bottoni e sgrana gli occhi per registrare ogni dettaglio, per imparare la lezione.

Noi che veniamo dalle città inquinate, incapaci di dotarsi della raccolta differenziata dei rifiuti, sbattute dal vento che sparpaglia l’immondizia dappertutto, arriviamo nel centro Europa, nell’ombelico dell’Unione Europea, per assaporare cosa sia l’eccellenza sociale, cioè il senso civico. E troviamo marciapiedi tappezzati da ciò che non è bene calpestare, marciapiedi ingombri di poveri alberi e abeti malconci e in attesa che qualcuno, con calma, li porti alla discarica.

Noi, che non abbiamo una coscienza ecologica, non faremmo mai una simile strage di piante per un albero di Natale in casa. Ci hanno insegnato che finite le feste l’albero, che abbiamo tenuto in un vaso con terra, va ripiantato nel terreno da cui è arrivato. E se proprio non lo facciamo, col senso di colpa e lo sguardo attento all’eventuale arrivo degli ambientalisti, abbiamo il pudore di trasportare il povero albero fino a un centro di raccolta rifiuti, piuttosto che lasciare la prova fuori dal nostro portone.

Noi che non abbiamo abbastanza rispetto per tutte le religioni, andiamo a Bruxelles e verifichiamo che, nella capitale d’Europa, non solo il Natale cristiano è stato solennemente festeggiato. Per le strade possiamo infatti trovare, insieme agli abeti ormai morti, un buon numero di pelli di pecora, residuo della festa del Sacrificio che si è tenuta il 30 dicembre. Gli agenti della pulizia pubblica di Bruxelles quest’inverno ne hanno raccolte cinquecentotrentaquattro in città. Dato che sta a significare che la macellazione a domicilio, proibita per legge, è una pratica tuttora in uso.

Tutto questo impariamo camminando per le strade della Città dell’Unione Europea noi che veniamo dai reconditi angoli sottopopolati del continente. Dai giornali locali invece scopriamo che in Belgio, al momento, c’è un vivace dibattito pubblico che divide i cittadini sull’uso o meno del nucleare. Di tutto si parla e di tutto si discute apertamente e tranquillamente in un paese che intanto conta già tre siti nucleari sul suo territorio: due centrali di produzione elettrica a Doel e a Tihange e un centro per la ricerca a Mol. Noi che veniamo dalle regioni delle minoranze andiamo a Bruxelles per accertarci di come si convive e di come si costruisce una società moderna. Ci facciamo un’idea sull’ambiente che ospita l’Unione Europea, su quello che vedono fuori dalle loro finestre i funzionari e i commissari incaricati di gestire le nostre sorti. Si impara sempre, e comunque, qualcosa.

5 commenti a Noi che andiamo a Bruxelles

  1. arlon ha detto:

    adesso.. no xe che semo province tuto sto estreme.. cmq xe de tignir de conto che da quanto go visto el Belgio no ga la civiltà dei paesi vizini (Olanda, Germania, ..) almeno la parte francese, me ricorda per tanti versi l’Italia.

  2. enrico maria milic ha detto:

    ve consiglio una gita a roma o in calabria e dopo ne riparlemo…

  3. Paolo Gozzi ha detto:

    Certo è questo Bruxelles; è anche questo. In più è urbanismo dissennato, scempio di edilizia borghese d’inizio ‘900 sacrficata per far posto a parallelepipedi di cemento e/o vetro, con un ciclo di vita di 10-12 anni. Interi quartieri di soli uffici, quartieri “fantasma” per tutto il fine settimana, attraversati da strade in cui si circola a velocità autostradale. Eccetera
    Poi Bruxelles è anche la città di cattedrali, sinagoghe, moschee, chiese di culti vari. Di mercati rionali col pescivendolo fiammingo e il formaggiaio vallone. Di quel suk impazzito che è il mercato ortofrutticolo della domenica mattina alla stazione sud. Dei visi di ogni colore che incroci dappertutto e che sono anche quelli di assessori delle amministrazioni comunali. Di una vita culturale che abbraccia lingue diverse. Le stesse lingue – tantissime – che senti appena ti muovi. O ti fermi a bere una birra. O vai a mangiare qualcosa in un ristorantino balcanico, o orientale, o sudamericano, o andaluso, o piemontese, o…
    Anche questo è Bruxelles. Melting-pot nel bene e nel male. Città moderna, nel bene e nel male. Luogo multiculturale e multietnico, nel bene e nel male.
    Quello che probabilmente è stata Trieste ai tempi della crescita e del fulgore. Quella che vorrebbe forse ancora essere.
    Ma potrebbe, saprebbe esserlo?

  4. Giulia ha detto:

    Mi riesce difficile immaginare una città più sporca di quella in cui vivo. Sotto casa mia c’è un Punto Snai: gli scommettitori stanno lì tutto il giorno, fumano (e buttano le cicche per terra), scommettono (e buttano i foglietti delle scommesse per terra) e in generale riducono il marciapiedi una schifezza. Le macchine parcheggiate rendono impossibile pulire. E poi: cacca di cane ovunque, che i padroni dei cani si guardano bene dal raccogliere. Se gli abitanti sono i primi a sporcare, come si può pretendere che il Comune possa far fronte in maniera adeguata all’ondata di merda che si riversa ogni giorno per strada?

  5. morbin ha detto:

    per la cronaca, aggiungo al post di giulia:
    giulia vive a roma (se non sbaglio)….

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