8 Gennaio 2007

La scoperta dell’Europa

Nei giorni dell’ingresso ufficiale della Slovenia nell’area dell’euro, si è assistito a Trieste a una sorta di brusco risveglio collettivo. In quei giorni si è manifestato alla luce del sole il ritardo culturale accumulato dalla città nei decenni trascorsi. E in forma più grave negli ultimi anni, quando si faceva urgente un ragionamento realistico sugli avvenimenti in via di maturazione e chi di dovere, invece, trascorreva il tempo a curare le aiuole.

Non si era neppure finito di invocare la proroga per privilegi fuori tempo e fuori mercato, come quello della benzina agevolata, e d’improvviso la Slovenia integrata nell’euro ricordava a Trieste che l’Europa significa competizione e concorrenza, capacità d’innovazione e progettualità, dinamismo. E che l’Europa è un albero ricco di frutti, ma nessuno può sopravvivere da seduto aspettando che gli piovano in testa le mele. Il vicino sveglio le raccoglierà per primo e per la fronte degli imbambolati resteranno solo quelle marce.

A qualcuno, finalmente, deve essere risuonato chiaro un ammonimento che circolava già da un pezzo in città. E cioè che in questa fase sarebbe stato deleterio governare Trieste senza un progetto di vasto respiro, in una parola senza essere equipaggiati culturalmente e politicamente per farlo. Qui, si badi, il discorso non investe solo l’amministrazione di centrodestra in sella da sei anni ma pone un problema di classe dirigente presa nel complesso, salvo isolate eccezioni.

Quella che si ritrova Trieste, a conti fatti, è la classe dirigente di una media città di provincia italiana, più o meno mediocre e più o meno arretrata all’incirca come quella di tutte le altre. La sua agenda politica e la sua mentalità sono inscritte in binari ristretti e periferici, semplicemente perché nell’ambito nazionale italiano Trieste è da sessant’anni una città geograficamente ed economicamente ristretta e periferica. Dall’altra parte invece, oltre la frontiera che non c’è più, agisce e si muove un intero Paese. La gara che si è aperta in questi anni non è fra Trieste e Capodistria, ma fra Trieste e la Slovenia, fra una vecchia città di periferia e una nazione, piccola ma seria ed energica.

È ovvio che le forze in campo sono impari. Tanto più che Trieste non può dire di aver dietro di sé l’Italia perché quest’ultima, come in altri momenti della storia, anche questa volta non si è dimostrata particolarmente vigile e partecipe di ciò che accade al suo confine orientale. O meglio, anche questa volta non è riuscita a coinvolgere il suo confine orientale in un progetto nazionale di largo raggio. E così, da un giorno all’altro, Trieste si è trovata obbligata a scoprire da sola l’Europa.

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