16 Dicembre 2006

Blogger, chi era costui?

Sarà che c’era la partita ( per la cronaca il Bologna ha vinto 3 a 1 ); sarà che i bloggers non leggono IL PICCOLO ( per la cronaca, domani non esce ); sarà che il tema caldo “PARTITO DEMOCRATICO” è stato imposto all’onorevole Gianni Cuperlo dalla presenza massiccia (beh, insomma: saletta piena, comunque) di ex PCI – PDS, di DS, ULIVISTI, UNIONISTI et similia. Si sarebbe dovuto trattare, infatti, di un incontro dell’on Cuperlo con i bloggers triestini, MA DI BLOGGER, nemmeno uno, anzi no: c’era, in incognito, ma lo ho sgamato subito…, c’era un signore che di mestiere fa il giornalista all’ANSA, ed è ben noto ai 25 lettori di bora.la con un nickname che ricorda una fortunata serie televisiva ambientata… sulle auto-strade della California. E c’ero io: io che sono solo un consumatore di blog, e pure in modica quantità e uso personale, sia ben chiaro. E così l’interessante, dico davvero, senza ironia alcuna, l’interessante intervento di Cuperlo ha suscitato emozioni e domande, interventi e micro comizi nei quali, quasi tutti hanno detto che tutto deve cambiare, purchè a cambiare non siano loro per primi. L’effetto straniante era tale che nemmeno sior Strehler gavessi savù far meio, e la commedia non era di Bertold Brecht. Ah, Sofri Giovane, la tua invettiva ( vedi WITTGENSTEIN.IT del 14 dicembre e seguenti commenti citati ) sarà anche stata una “provocazione” ( che poi: sono stufo di sentire dire da chi non sa come rispondere a una buona domanda ‘ la tua è una provocazione ‘: sì, dico io, E’ UNA PROVOCAZIONE, ma solo perchè mi sono stufato anche di non ottenere risposte alle domande educate fin qui poste… ), ma mi sa che hai dannatamente ragione: fuori tutti e forse si combina qualcosa di buono! Vabbè, forse sono un po’ troppo caustico, sono un lib lab, sono un rocker, sono stato un nerd… E poi almeno una roba bella me la sono portata a casa, andando al 5° piano di via donota 1, Trieste, ex sede del comitato elettorale di ettorerosato(non)sindaco: la fotocopia di un fantastico articolo di Sofri il Vecchio, su un bellissimo libro di cui vi ha già brevemente detto qui su bora.la, quello di Spadaro e Karlsen, ” L’altra questione di Trieste ” (LEG), tratto dal PANORAMA in edicola. A proposito: le robe più giovani le hanno dette Stelio Spadaro e Fulvio Camerini. Devo chiedere loro su quale blog scrivono di solito!

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4 commenti a Blogger, chi era costui?

  1. enrico maria milic ha detto:

    spetta, fermo.
    l’argomento interessa ma qua non te ne dà dettagli. chi e come devi cambiar, secondo cuperlo?
    tell us…

  2. valerio fiandra ha detto:

    l’intervento de Gianni Biondin Cuperlo era praticamente questo qua ( e qua devi mettere il testo che trovi sul sito http://www.giannicuperlo.it ) . Oppure lo incollo qui di seguito, anche sè è lunghetto. Per chi fosse interessato va detto che a Trieste non ha letto le parti più specificamente diessine, ma ha aggiunto qualche considerazione locale.
    Comunque, eccolo qua:

    INTERVENTO AL CONSIGLIO NAZIONALE DEL 13 DICEMBRE

    Pubblicato il 14/12/2006 alle 10:28 – INTERVENTI
    Segue il mio intervento di ieri al Consiglio Nazionale.
    Aspetto le vostre considerazioni.
    Buona giornata.

    Credo sarebbe sbagliato sottovalutare le difficoltà che incontrano l’azione del governo e il disegno unitario dell’Ulivo. Del resto le due dimensioni si tengono: se il governo soffre, soffre anche l’Ulivo.
    E noi siamo alle prese da mesi con una finanziaria che il paese in buona misura non capisce e non sostiene.
    La manovra è pesante ma seria. Il problema è che a dirlo non siamo in molti.
    Per cui si rafforza la sensazione di un’occasione sprecata, anche se fa bene Bersani a ricordare che i risultati si vedranno a gennaio.
    Il punto – se posso dirlo in modo secco – è che dopo sei mesi di vita del governo si vedono molte cose positive: la politica estera, le liberalizzazioni, singoli provvedimenti innovativi anche dentro questa manovra.
    Ma non c’è un filo che riconduca questo governo al Paese: che lo metta in sintonia con una società logorata e scontenta, che attende qualcosa di più di quanto visto finora.
    Su questo piano, come altri, ho letto con attenzione la diagnosi di Amato sull’Italia a rischio di collasso. Lì c’è l’abbozzo di uno scenario drammatico e si indica nel Partito Democratico la sola risposta.
    Può darsi che abbia ragione. Ma evocare quel traguardo non basta.Perché se guardiamo al Paese, ciò che emerge è una profonda esigenza di giustizia, concentrata soprattutto nella fasce più deboli.
    Il problema è che la politica non è vissuta come strumento al servizio di quel riscatto, ma come una parte del problema.
    Credo nasca da qui il pericolo di un nuovo populismo. Nel fatto che le forme dell’esclusione sfuggono oramai alle mediazioni tradizionali della politica.
    Anche una parte dei guai della finanziaria nasce da questo (più che da un deficit degli uffici stampa).
    E dunque oggi uno dei nostri problemi è come intercettare quello scontento, sapendo che farlo non sarà indolore.
    Perché significa chiarire da dove passa lo slancio innovatore del governo.
    Chiedo: stabilizzare 200mila precari nell’amministrazione pubblica o mediare al ribasso sui diritti civili è una linea innovativa o di continuità col passato?
    E viceversa, stabilizzare chi lo merita e ragionare di produttività nella Pubblica Amministrazione, condurre sul reddito una grande battaglia per la dignità delle persone e il riconoscimento delle capacità, tutelare le coppie di fatto come sinonimo di democrazia (senza temere il confronto con chi respinge i valori di un umanesimo laico), è forse più rischioso ma anche più coerente con l’ innovazione che serve al paese.
    Il percorso dell’Ulivo è parte di questa discussione. Nel senso che la divisione non è tra chi spinge e chi frena.
    Certo è legittimo insistere sull’asse seguito finora: un nuovo partito entro il 2009, l’impianto di Orvieto, le tappe fissate lì.
    Oppure – come fanno altri – si può contestare quell’impianto e chiedere una modifica della linea.
    Comunque sia, il nostro congresso avrà al centro il destino della sinistra in Italia.
    Per quel che vale, sono tra quanti considerano la nascita del nuovo partito una necessità del Paese.
    Penso che la crisi italiana rivela tutta la nostra inadeguatezza: in termini di consenso, di respiro ideale, di cultura di governo.
    Le percentuali di voto dicono che non siamo in grado, da soli, di colmare il vuoto tra le aspettative di settori interi della società e l’accesso alla politica.
    Il punto è come il progetto di un nuovo partito si misura con questa frattura.
    In questo senso è quasi stancante ripetere che non basta la somma di Ds e Margherita.
    Siamo d’accordo: non basta.
    E non basta neppure l’aggiunta di altre sensibilità, come nel caso dello Sdi.
    La mia impressione è che l’aspetto decisivo sia l’idea che milioni di persone si sono fatte e si faranno di questa operazione.
    Detto nel modo più semplice, se la vivranno come una novità o come la prosecuzione di qualcosa che esiste già. E che per una serie di ragioni decide di cambiare nome, simboli, bandiere.
    Posso sbagliare, ma se questo è uno dei problemi che rallenta uno slancio e un entusiasmo maggiori, allora è un errore – su questo ha ragione Fabio – descrivere quel progetto in continuità con le scelte che abbiamo compiuto per arrivare fino qui.
    Prima di tutto perché non è vero.
    Personalmente non credo che il traguardo del Partito Democratico fosse iscritto nella nascita dell’Ulivo, undici anni fa, o addirittura nella svolta dell’89.
    Certo, da lì viene la necessità di dotare anche l’Italia di una forza in grado, per cultura e consenso, di svolgere quel ruolo che altrove spetta ai grandi partiti socialisti o democratici.
    Ma è altrettanto vero che noi, per una lunga fase abbiamo pensato che le esigenze oggi assorbite nel progetto del Partito Democratico dovessero trovare soluzione dentro il solco e l’evoluzione della sinistra italiana.
    Ed è su quello che abbiamo investito.
    Con generosità. Anche se con risultati alterni. E soprattutto senza riuscire mai nell’impresa.
    Che poi è la ragione per la quale adesso siamo davanti a una situazione nuova e a problemi in parte diversi.
    Perché, dall’estate del 2003 (dall’intervista con la quale Prodi avanzò la proposta di una lista comune dell’Ulivo), abbiamo accolto una sfida che va oltre i confini della sinistra e coinvolge identità sorte e maturate altrove.
    La differenza non è banale. Ma tanto più retrodatare le scelte dell’oggi, a mio avviso, è una contraddizione.
    Perché a fronte di un messaggio nitido che dice, “cambiamo noi stessi perché il paese ha bisogno di una cosa nuova”, si affianca un secondo messaggio che dice, “stiamo completando un’opera iniziata molto tempo fa”.
    E però una innovazione profonda, per essere credibile, non è mai un atto di continuità.
    Presentarla così, finisce col fiaccarne la carica, la spinta, la forza.
    Capisco che quella continuità è anche la conferma di una classe dirigente che ha meriti enormi nella vicenda di questi anni e persino – lo dico senza enfasi – nella salvezza del paese.
    Ma noi dobbiamo distinguere.
    E sapere che il successo del nuovo partito sarà frutto di un balzo, di una rottura rispetto alla nostra identità, alle nostre priorità e a quanti si assumeranno l’onere della guida.
    Ora siccome noi – nella divisione dei ruoli – siamo e restiamo la sinistra, non basta dire che andiamo lì perché quella è la condizione per far pesare la nostra storia e le nostre idee.
    Diverso è dire che portiamo lì la parte migliore di quella storia, ma sulla base di una autonomia critica e innovando la cultura di un partito che nell’ultimo decennio ha vinto molte elezioni ma non ha vinto la sfida decisiva: quella con la modernità e con una società radicalmente mutata.
    Quindi, se lo scopo è generare passioni, più che discutere su ciò che non va disperso dovremmo ragionare di quello che intendiamo cambiare: nei contenuti, nella partecipazione, nel modo di esercitare la leadership.
    Senza timori di sorta: perché ha ragione D’Alema a dirci che la questione cattolica non nasce oggi. Il punto è che i temi etici (sui quali è vero, il Pci si muoveva con massima cautela) oggi hanno un rilievo completamente diverso. Sono centrali, nel dibattito pubblico e nell’identità di un nuovo partito. Per cui oltre a sapere come la pensiamo noi, è bene conoscere il pensiero degli altri (almeno dei nostri compagni di viaggio). Non per fare della demagogia, ma all’opposto per sano realismo.
    Se la fase costituente per il nuovo partito si occuperà anche di questo ne trarrà giovamento il progetto. Lo sbocco poi si vedrà: ma dipenderà non da una soluzione organizzativa. Sarà il risultato dei contenuti e delle forze che avremo coinvolto.
    Per quanto ci riguarda, non mi appassiona il dibattito sullo scarto generazionale. Direi che più dell’anagrafe conta l’autonomia del pensiero.
    Diversa sarebbe una riflessione serena tra noi sul bisogno di dare a un progetto politico nuovo una classe dirigente che gli corrisponda.
    Personalmente apprezzerei una piattaforma congressuale attenta a questi temi.
    Penso ci aiuterebbe a discutere sulle virtù e i limiti della lunga transizione di questi anni. Quindi un congresso con al centro un’idea forte del paese e una riflessione coraggiosa su di noi.Anche per un ultimo scopo, che provo a dire così.
    Se dopo uno sforzo tanto intenso, i veti dovessero rallentare la marcia, noi non potremmo accettare che quanto abbiamo detto e fatto su questa frontiera si riveli un’occasione sprecata.
    Ma appunto per questo conta la percezione che avranno di noi le persone fuori da qui.
    Perché se immagineremo una grande forza attrezzata sul piano politico e culturale a stare dentro la società italiana e i suoi caratteri, allora – anche al di là del calendario – noi avremo investito sul paese e sull’avvenire della sinistra.Non avremo disperso sentimenti ed energie.
    Il che, per mille ragioni, è in assoluto il bene più limitato e prezioso a disposizione di tutti noi.

  3. diego chersicola ha detto:

    Che palle con ‘sta storia dei bloggers, come se facessero categoria qualificata in sè. Sono preoccupato invece per la questione generazionale perchè è una questione fondamentale di percezione. Non voglio dire che è anagrafica, perchè casomai sarei dalla parte dei vecchi, ma certamente c’è una questione di sensitività quasi biologica: le nuove istanze dovrebbero essere più sensibili per gli ultimi arrivati. Temo che non sia vero, chi è maggiormente interessato al nuovo sono i poveretti di mezza età (e.g. sopra i quaranta come Cuperlo) che non hanno bisogno di procurarsi un lavoro ed un curriculum, ma che sanno cosa sia davvero vecchio.

  4. enrico maria milic ha detto:

    premessa: ho fatto politica per anni in strutture legate in qualche maniera, culturalmente o formalmente, a pci-pds e cgil. mi fa ridere o piangere (no, più spesso molta noia) tutta la forma retorica vecchia di 100 anni di cui sono fatti questi discorsi. avrebbe potuto scrivere in 10 righe quel che ha detto in 30.

    non ho ben capito se sta dalla parte della stabilizzazione dei precari nella p.a. (ma non abbiamo troppa gente che lavora garantita nella p.a.?).

    bene che si preoccupi dello scarto generazionale (che lo ciami pur come chel vol) ma molto mal che el sia ancora in un partito che xè l’emblema, molto più de altri, de partiti preistorici.

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