29 Ottobre 2006

Dalle avventure di Don Paolo e Sancho Fiandra: le panchine decollate

“Che Dio li stramaledica. E stramaledica anche quelli che tacciono di fronte a una porcheria simile. Parlo delle panchine di piazza Venezia, segate dal Comune per impedire a quattro innocui barboni di riposarci ogni tanto. Avevo letto di questa storia sui giornali nazionali, fuori Trieste. Ci avevo anche riso su, avevo pensato tra me La mama dei mone xe sempre incinta.

Con questo maledicente attacco Don Paolo ‘Quizote’ Rumiz apre sulla prima del PICCOLO di domenica 29 ottobre. E così continua:

“Ma quando – tornando a casa a piedi dalla stazione – ho visto la piazza sfregiata, i sediLa fontana di Piazza Veneziaci moncherini di ferro nel cemento, lì negli spazi dove la vecchia siepe arretra per disegnare una sorta di separé, mi è venuta una rabbia bestiale.
Mi ci sedevo da bambino su quelle panchine di legno rosso, per veder arrivare i “vapori”. Mi ci sono seduto sempre, fino a ieri. Starci era il mio modo di segnare il territorio, di dire: questo luogo è un po’ mio, fa parte della mia Trieste. Sedendomi lì, accanto alla fontana, celebravo la comunità e i valori in cui essa si riconosce. Ribadivo che lo spazio pubblico ha un valore irrinunciabile, specie oggi che tutto diventa privato, anche l’aria. E ora ero lì, come un ebete, davanti a un vandalismo vigliacco e indecente. Contrario ai valori cristiani, e anche a quelli della Civitas. Un insulto a Trieste.
Rivoglio le mie panchine. Sono nato accanto a quella piazza, mio padre mi ci portava per vedere il mare e la pescheria, che allora non era ancora un luogo della finzione e dell’inutilità. Vi ho incontrato persone straordinarie. Skipper, pescatori, artisti, comandanti del Lloyd. Mi ci sono seduto col premio Nobel Abdus Salam. Una volta vi ho incontrato il capo delle Assicurazioni Generali, il grande vecchio Randone, che prendeva il sole nella pausa-pranzo, felice come un gatto. C’era sempre qualche balordo, perfettamente integrato, come capita a Trieste, la città della bora dove “la persona” si dice “el mato”, perché normalità e follia si toccano.
Trieste non è Treviso, dove la moda delle panchine segate è cominciata con lo sceriffo-sindaco Giancarlo Gentilini, uno che voleva caricare gli immigrati sui “vagoni piombati” e faceva abbattere gli alberi secolari della città solo per aver rischiato di sbatterci contro una sera, dopo un ombra di troppo. Che c’entriamo noi con la Lega? La Destra di qua ha sempre detto di essere diversa. Lo dimostri.
Sento che l’assessore competente si assume “tutte le responsabilità” di questo atto gagliardo. Complimenti. Avesse fatto sloggiare il presidente della Repubblica… Un coraggio da leoni segare tre panchine per non dover nemmeno dire a chi ci si siede sopra di assumere, magari, un atteggiamento più decoroso. Farlo è il segno estremo di di resa, di fuga dalla responsabilità del proprio pubblico ufficio.
Diciamolo chiaro. Quella piazza stava andando a ramengo per incuria del Comune e non dei barboni. I vecchietti avevano semplicemente riempito uno spazio che i triestini stavano smettendo di frequentare a causa degli eterni lavori in sulle Rive che l’avevano trasformata in polveroso deposito di materiali edili, con le aiuole sempre più sporche e la fontana di Nettuno derubata della sua acqua. Era quella la vera indecenza, non i barboncini con valigia e radiolina. No, bisognava mandarli via per far finta che fossero causa e non conseguenza dello sfacelo.
A chi davano fastidio quei tre simpatici poveracci? Ci sono mille cose più oscene dei poveri in una città come Trieste. Le vacche per esempio. Quelle vive sui camion che passano davanti a piazza Unità per finire sgozzate dagli emiri, e quelle finte del signor Warhol, insopportabili, inutili, dipinte dappertutto e delle quali nessuno ha capito l’utilità. Le strade piene di ragazzi a ciondolare sul nulla, a bivaccare nei bar, privi di un luogo dell’identità in cui rispecchiarsi. Ma sì, diamo loro ancora concerti, birra e spinelli. Tutto purché non pensino, non sognino, non facciano politica e non disturbino il manovratore.
Trieste sta diventando un luogo finto, con un “Salone degli incanti” pieno di nulla, una piazza Unità ridotta a happening, un fronte mare che non esprime altro che gazebi e luganighe. In questo progetto di luna park permanente, i vecchietti non stavano bene. Andavano tolti di mezzo. Poi, state tranquilli, leveranno anche i pescatori dal molo, perché puzzano. Poi leveranno i cantieri alla Lanterna perché non compatibili agli yacht. Poi magari i camion dei turchi, le motovedette e i piloti. Faranno, un po’ alla volta, pulizia “etnica”. E il mare resterà per pochi.
Fossi nei partiti dell’opposizione, eleggerei piazza Venezia come luogo di resistenza e controffensiva a questa delirante de-triestinizzazione. Appenderei panchine ai lampioni, a un millimetro dal suolo per non occupare suolo pubblico e dare ai vigili l’occasione di intervenire. Organizzerei un pranzo – sempre con panchine – in piazza con i frati di Montuzza e una banda di belle mule a servire in tavola. Riempirei di panche piazza Unità, mobili ma implacabili, per organizzare partite di briscola sotto il naso del Primo Cittadino. Che al posto delle “ombrele” si sognino le panche, notte dopo notte. Saluti.”

Ora: forse la furia di Rumiz sarà accolta con il solito sussiego, o l’abituale alzata di naso dei tiepidi commentatori di fatti giuliani, ma io plaudo al ruggito del Quizote in prestito alla Repubblica: Rumiz è vero, almeno ci prova ad esserlo. Se sbaglia sbaglia da professionista, come in quel mondo d’adulti di quell’altro Paolo, da Asti, che a me molto piace, e al quale questo Paolo, da Trieste, assomiglia anzicheno. Ugh. Ho detto. E son zà pronto per el pranzo, le panche le porto mì! Firmato: Sancho Fiandra

link: tour virtuale di Piazza Venezia (quando ancora c’erano le panchine)

11 commenti a Dalle avventure di Don Paolo e Sancho Fiandra: le panchine decollate

  1. Enrico Marchetto ha detto:

    Mah…
    Ho qualche perplessità su più fronti.

    Rumiz ultimamente pare crogiolarsi
    nel suo scranno giornalistico di fustigatore
    di costumi.
    Per carità, gli riconosco intuizioni fulminanti
    ma anche pensiero superficiale e inconcludente.

    Alcuni esempi:
    – la tirata sui giovani alimentati
    da birra, concerti e spinelli (??)
    Nemmeno quelli caro Rumiz, nemmeno quelli.
    Concerti intendo. E magari ci fossero,
    sarebbero indice di una crescita di una cultura giovanile.
    E invece capita che quando il concerto c’è, come venerdì sera,
    per esempio, la polizia capiti l’ inferocita alle 11 e 15 della sera.
    Intimorendo gestore del locale e passanti.

    Il problema non sta nelle panchine tolte.
    Sta nel fatto che nessuno le usa quelle panchine.
    E sono in centro città, non di fronte alla stazione§
    come quelle di Treviso.
    E indovina un po’, caro Rumiz, cosa ci inventammo
    all’epoca di Gentilini per protestare? Un concerto.

    – e le mucche di Warhol sono la cosa più interessante
    del passaggio di Warhol in città. Molto più dell’inqualificabile
    mostra. Almeno qualche commerciante ha provato
    a colorare il grigiore delle vetrine.

  2. enrico maria milic ha detto:

    effettivamente concordo su tutta la linea con enrico.

  3. valerio ha detto:

    Basterebbe leggere la ‘risposta’ dell’assessore Bandelli, oggi lunedì 30 novembre, sempre sul PICCOLO, per stare dalla parte di Don Rumiz. Va bene, lo dico io che sono Sancio Fiandra, dunque puzza di conflitto di interessi, direte… Eppure no: le ragioni di Marchetto sono ragionevoli, e forse neppure lontane dall’aver colto nel segno, ma come al solito chi vuole il meglio perde anche il bene, e a forza di tiro incrociato si crepa di fuoco amico. E se non replico ulteriormente a frasi come ” pensiero superficiale e inconcludente ” è proprio per cercare di non prendermela con gli amici dimenticando il contesto. E vado a ringraziare Nereo Rocco e la sua celebre battuta finale, “…speremo de no!” alla banale chiusa del giornalista – Vinca il migliore… -, in un’intervista al Paròn a poche ore da una partita decisiva fra il suo Padova ed uno squadrone blasonato. Io sto con chi gioca, ogni partita è La Partita. E se non siamo capaci di fare squadra, di fare spogliatoio… non ci resta che piangere. Sport fra i più popolari a Trieste, anche fra giovani, ma che io non amo praticare, almeno in pubblico. A volte pare che, pur di trovare ragioni nuove per lagrime e distinguo, a qualcuno piaccia più trovare la pagliuzza negli occhi di chi apprezza che la trave in quelli di chi detesta. Forse ci vuole proprio bora.la per spazzar via ciò che nemmeno la bora sa più fare?

  4. enrico maria milic ha detto:

    valerio, quello che scrivi è parzialmente condivisibile …

    noi, quei ggiovani (a 29 anni son zovine?), non credo ci sentiamo così fulgidamente rappresentati nel discorso politico o dell’opinione pubblica dalle nostre parti. “nostre parti”: mi riferisco sia al luogo – trieste in particolare – che a quelle parti a cui dovremmo teoricamente appartenere.

    se mi bastasse il piccolo, o quello che dice illy o zvech, certo non starei qua su bora.la a tirar via tempo alle mie altre attività.

    ancora, vorrei che la “nostra” squadra si prendesse il lusso di sopportare le critiche sia nel merito sia quando sono poste a qualche mostro sacro, come il pur sempre enormemente stimabile paolo rumiz.
    e di rispondere a queste critiche.

    quella delle squadre come sai bene, inoltre, è una semplificazione. è utile a chi deve organizzare il consenso politico e a organizzare il potere ma è poco utile a rappresentare le idee e in particolare quelle dei singoli, dei non rappresentati o, meglio, dei poco-rappresentati… noi zovini facciamo parte dei poco rappresentati… dai 40 anni in giù, credo che questi temi siano implicitamente o esplicitamente piuttosto sentiti. e dai 40 anni in su? mhmh…

  5. Enrico Marchetto ha detto:

    Il superficiale era riferito
    solo ed esclusivamente all’articolo
    in questione.

    Ho il pedigree di Rumiziano di ferro
    fin dai tempi di Maschere per un Massacro 🙂
    A volte però il suo lavoro di etichettatura:
    “confraternita dello spritz”
    “concerti, birra, spinelli” (“spinelli” non lo usa nemmeno più la Santanché)
    mi pare facilino.
    Come mi pare facilina l’idea che
    “quando Trieste ha puntato sul mare ha sempre vinto”.
    Siamo sicuri, sicuri o è più una boutade scuoti-menti?

    Ultimamente mi sembra che il lavoro che Rumiz
    fa, per quanto utile e anzi ce ne fossero.., mi risulti
    un po’ troppo sempliciotto.
    Te lo dico perchè vedo atteggiamenti di miei coetanei
    molto più maturi del suo.
    Per la serie: maniche tirate su e, panchine o non panchine,
    ci stiamo rompendo il culo e riportare i colori in città.

  6. valerio fiandra ha detto:

    Enrichi, prima criticare/poi ripensare: d’accordo. I non e i poco rappresentati hanno diritto e dovere di rappresentarsi. Scriveva Pasolini nel suo testamento spirituale, letto al congresso dei Radicali pochi giorni dopo il suo omicidio, che i più meritevoli di aiuto sono coloro che nemmeno sanno di avere dei diritti… Scusate la citazione e anche la commozione che provo solo a ricordarmene. Anche io, che ho 52 anni ( saria vecio, secondo ti?) , non mi sento rappresentato per bene né da chi nomini né da altri cosiddetti mostrisacri, che per altro non mi paiono né mostri né sacri… E dunque nel mio piccolo (162 cm) , dopo aver inutilmente cercato di farmi rappresentare adeguatamente, cerco ancora adesso, come da un 35 anni a questa parte, di rappresentarmi da me. E a cercare ancora e sempre ogni occasione per dare (anche il mio) fiato alle voci che, adesso come 35 anni fa, cercano di soffiare via lo scirocco che continua a stagnare, e a far riscoprire i colori che la città ha. Come appunto fa bora.la . Sarà che son sempre stado un poco vecio, forsi, ma io penso che si gioca nelle regole del gioco, se si vuole giocare per vincere veramente. E che criticare chi ci piace sia la via giusta per migliorare e migliorarsi. E’ in questa logica che non solo sopporto, ma apprezzo confronti e critiche. Voglio dire insomma che non mi va proprio di fare l’avvocato non chiamato ( con quel che segue ) di persone che non sento né sono a me poi così vicine, ma che fino a quando le alternative sono quelle chiamate Lippi, Dipiazza, Bandelli….

  7. Gorillo ha detto:

    Concordo pienamente su quanto scrive Rumiz.
    Se vuole organizzare quel pranzo di protesta, io collaboro volentieri.
    La situazione è tragica, perché fatti del genere passano praticamente sotto silenzio e e a nessuno importa, tanto meno ai giovani.

  8. alessandro ha detto:

    trieste risorgi! concerti? ottimo, li organizzassero…non ci sono strutture per i giovani e la musica compatibili con le esigenze di riposo della gente! i giovani bivaccano nei bar? a parte che stà un po’ nella natura dei giovani “cazzeggiare”…predispongano altri posti e i giovani vi si riverseranno…magari senza bivaccare! alle 00 trieste chiude la saracinesca ma c’è chi vuole vivere e divertirsi…
    è vero che per certi aspetti trieste diventa un contenitore vuoto, un salotto ma c’è tempo e c’è speranza e poi piazza venezia la riqualificano per cui panchine o no…auguriamoci che trieste risorga!

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