17 Giugno 2019

La movida triestina

el sunto La divertente storia di un "nonnetto" ritrovatosi di colpo al "centro" di una particolare Movida Triestina

Anteprima dal libro La magia di Trieste di Erica Bonanni, uscito una settimana fa in libreria a Trieste nonché online. Il libro raccoglie 51 racconti ai quali fa da sfondo il mare di Trieste. L’ironia, il sarcasmo, la nostalgia, la poesia, lo humor si alternano con andamento ondivago, creando un caleidoscopio di emozioni. Collante: il morbin triestino che affascina e seduce quanto un incantesimo domacio “made in Trieste”!

LA MOVIDA TRIESTINA

Dicesi movida “il termine di origine spagnola usato per descrivere quella particolare situazione di animazione, divertimento e vita notturna giovanile all’interno di una città” e dicesi triestina “l’aggettivo qualificativo di Trieste, città capoluogo della regione autonoma Friuli Venezia Giulia”.
Movida triestina, fino a qualche anno fa era solamente un ossimoro, per non dire una bestemmia, mentre oggi è realtà! Eccitante realtà, direbbe qualche giovane abitante del capoluogo; sconcertante realtà, invece, direbbe la maggior parte della popolazione –tra pensionati, nonni e aspiranti tali.
Pietro faceva parte della maggior parte della popolazione. Aveva compiuto da poco settantanove anni e aveva inoltrato, proprio nel giorno del suo compleanno, l’ennesima denuncia per disturbo della quiete pubblica. Il reato che contestava ai giovani del luogo, però, non era quello di schiamazzi e rumori notturni, bensì quello di schiamazzi e rumori mattutini. Pietro, infatti, non era infastidito dalla musica dei bar, dei ristoranti, dei pub e delle pizzerie o dalle risate sguaiate di chi aveva perso l’inibizione e il rispetto a causa dell’alcol, di quel baccano non conosceva neppure l’esistenza. Ciò che non sopportava era di essere svegliato alle cinque del mattino dal rumore dei motoscafi che sfrecciavano nel golfo e dal rumore gracchiante degli altoparlanti con cui sedicenti allenatori incitavano una pletora di ragazzi volitivi durante gli allenamenti di canottaggio.
Il nonnetto viveva in una piccola casa d’epoca appena fuori città, sul lungomare di Barcola, dove, ogni giorno, il suo dolce dormire veniva bruscamente interrotto da Danilo, Bruno o Ettore -addirittura da tutti e tre insieme nelle giornate di festa– ex olimpionici degli anni settanta che allenavano le nuove promesse del canottaggio triestino. Quella era la movida che Pietro non tollerava, lo sport! Ovvero, la danza dei remi sulla superficie del mare e le volgarità che i tre cavalieri dell’Apocalisse, così li chiamava, lanciavano nell’etere a tutto volume.
Pietro reclamava semplicemente il diritto di godere della vecchiaia in tranquillità, sia in senso fisico che monetario. Voleva poter risposare sereno e, soprattutto, disteso per il tempo necessario al suo corpo di rigenerarsi. Non tollerava dover essere costretto ad alzarsi alle cinque del mattino per sporgersi dalla finestra sbraitando in preda a una furia accesa d’odio ma inconcludente, rischiando pure un malanno, e poi voleva poter spendere i soldi della pensione in cibo, libri, viaggi, teatro e perché no, donnette, non certo in medicine. Invece, negli ultimi tempi, metà della pensione se n’era andata fra ansiolitici, antinfiammatori, sciroppi per la tosse e lassativi -il nervosismo lo aveva reso pure stitico.
A differenza di quel che si dice, infatti, certi anziani dormono ancora bene e pure a lungo -come bambini- e strapparli alle canoniche otto ore di sonno è un sacrilegio, oltre che la violazione di un diritto fondamentale dell’uomo, questo sosteneva Pietro nelle sue denunce per disturbo della quiete pubblica. Durante l’estate, poi, quando il caldo impone di tenere le finestre aperte, Pietro riusciva addirittura a sentire il fruscio della pala del remo di quelle sottilissime imbarcazioni sull’acqua e quando si trattava di barche lunghe, come l’otto o il quattro di coppia, quel fruscio diventava un rumore molesto che assomigliava terribilmente all’eco di un animale marino alla ricerca di cibo, almeno nella sua immaginazione. Questa sensazione lo faceva impazzire, tanto che un giorno decise di vendere casa.
Da qualche mese Pietro ha lasciato Barcola ai vogatori e ai tre cavalieri dell’Apocalisse per trasferirsi in centro pensando che Trieste fosse ancora la città che aveva conosciuto quando era giovane -da anni non frequentava il capoluogo dopo le cinque di pomeriggio. In principio, lo shock fu terribile. Notò che in via Torino, per esempio, così come in via San Nicolò e lungo il canale di Ponterosso, il classico bicer de bianco era stato sostituito da calici raffinati colmi di bollicine di Prosecco e dagli aromi di cocktail esotici come il Mojito, il Daiquiri e la Caipirinha. Notò che il silenzio della sera, quello che da giovane aveva rappresentato la colonna sonora dei suoi pensieri, letture e riflessioni, era stato sostituito da qualcosa che i ragazzi chiamavano musica ma che a lui sembravano solamente decibel impazziti. Notò che tre quarti del centro cittadino era diventato zona pedonale trafficatissima, ricca di locali e attività di ogni genere.
Con il tempo, per fortuna, le cose cambiarono e il suo atteggiamento subì una svolta. Scoperta una nuova realtà, infatti, scoperta la vivace vita notturna e scoperta, o meglio, accettata l’inutilità delle sue denunce all’autorità, Pietro anziché cedere allo sconforto, reagì come il migliore dei trasformisti.
Oggi il nonnetto dorme solo sei ore per notte, ma in modo profondo; i drink esotici hanno sostituito i mix di ansiolitici per conciliare il sonno; va di corpo con regolarità e prende lezioni private di zumba. In fondo, lo sappiamo tutti, fare sport aiuta a mantenere in forma il corpo e lo spirito!

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Un commento a La movida triestina

  1. fiora ha detto:

    …s’el riva a “convertir” la Porfirio a mojito e zumba, i diventa una coppia cussì trendy che i Ferragnez pol sconderse

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