2 Dicembre 2016

Promemoria_Auschwitz : L’esperienza di Dino

el sunto Lo scorso anno Dino ha partecipato come tutor al progetto Promemoria_Auschwitz, ed è per questo che lo abbiamo intervistato.

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Dino Perco è studente, disegnatore, attore e tutor di DEINA, l’associazione che organizza il progetto “Promemoria_Auschwitz”, un percorso di educazione alla cittadinanza che vede il suo apice nel viaggio a Cracovia e nella visita agli ex lager di Auschwitz e Birkenau.

Dino ha 29 anni, è nato a Trieste e vive a Gabrovizza. Si è laureato in “Storia Contemporanea” all’Università di Trieste e ha continuato a studiare a Pisa, in un corso di laurea magistrale in “Storia e Civiltà”, prima di partire per Lisbona dove ha conseguito un Master Europeo. E’ tra i soci fondatori di DEINA FVG e socio di RIME, associazione di promozione sociale. Lo scorso anno Dino ha partecipato come tutor al progetto Promemoria_Auschwitz, ed è per questo che lo abbiamo intervistato.

 

Prima domanda per rompere il ghiaccio, cosa fa un”tutor” di DEINA e qual è la tua esperienza?
Un tutor si occupa della parte educativa dei ragazzi che partecipano ai nostri progetti. Io lo faccio da quattro anni, insieme ad altri giovani. E’ un lavoro che ho scelto anche per il mio percorso di formazione e per i miei interessi. Ho studiato storia, prima a Trieste per la triennale e in seguito a Pisa e a Lisbona per la magistrale. Mi sono sempre interessato in particolare alla storia contemporanea e ho approfondito nelle mie tesi di laurea tematiche come la memoria storica, l’identità e il razzismo. Grazie a Deina sono riuscito ad utilizzare al meglio e per di più divertendomi questo mio bagaglio personale e culturale.

Un esempio di una tua esperienza da tutor…
L’anno scorso, grazie al progetto “Dal Confine al Fronte”, ho parlato in 5 scuole diverse della regione geografica della Prima Guerra Mondiale, e di tutti gli importanti concetti e movimenti nati all’inizio del “secolo breve” che ancora adesso influenzano i giorni che viviamo.

Qual è il tuo rapporto con il progetto “Promemoria_Auschwitz”?
E’ un percorso al quale credo particolarmente. È intenso, impegnativo ed emozionante. Emozionante non solo perché affrontiamo la più grande tragedia che ha colpito l’Europa, non solo perché andiamo a visitare il più grande cimitero d’Europa, ma soprattutto perché è un viaggio che facciamo insieme a centinaia di ragazzi di tutta Italia. Ragazzi con dialetti, tradizioni e storie diverse, lontane quanto sono i chilometri che le separano, vengono riuniti su un unico treno. Provate a pensare a quante cose possono raccontarsi un giovane della comunità slovena di Monrupino e uno di Cagliari. Vederli tutti insieme, e l’anno scorso erano quasi mille, nei momenti di assemblea in cui si discute e si riflette insieme, colpisce e non poco. Guardandoli e guardandoci tutti insieme sembra quasi di poter veramente migliorare il mondo.

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Diresti che ci si senta “in dovere” di provare delle emozioni verso la deportazione?
Si è vero, nella maggior parte dei casi la gente si sente quasi obbligata a provare delle emozioni. E se non le si prova “spontaneamente” ci si auto-colpevolizza. Molte volte si vuole andare a visitare i campi di concentramento e/o sterminio solo per provare qualcosa di “forte”. Un modo come un altro di pulirsi la coscienza. Io ritengo che questo atteggiamento sia scorretto. Le emozioni, ovviamente, sono un fatto personale e non esiste un’emozione giusta e una sbagliata e ognuno ha il diritto di esprimere come vuole i propri sentimenti o non esprimerli affatto. Piuttosto che affermare che la gente “deve” emozionarsi io direi che la gente non “dovrebbe” rimanere indifferente. Bisogna andare ad Auschwitz-Birkenau non tanto per provare emozioni, quanto per imparare ad usare la testa perché molte volte un’emozione forte può far nascere un ragionamento.

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Qual è il vostro approccio educativo e come lo valuti?
Il nostro approccio educativo si basa sulla cosiddetta “educazione non-formale”: la modalità di insegnamento complementare a quella scolastica. Cerchiamo di stimolare la partecipazione dello studente utilizzando strumenti quali workshop, giochi di ruolo, simulazioni, visite interattive. Ritengo che sia un modo di insegnamento molto efficace perché i ragazzi imparano divertendosi. Il tutor, in genere un accompagnatore di pochi anni più grande, sviluppa un rapporto di fiducia se si rivela capace di ascoltare. Solo in questo modo il più giovane riesce a trovare il coraggio di esprimersi.
Alla fine dell’esperienza ai ragazzi non si chiede “cosa hai appreso?” ma “come ti senti?”.

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Da studioso di storia, ci sono campanelli d’allarme per il prossimo futuro?
La situazione non è facile. Guardiamo alle ultime elezioni negli Stati Uniti, al rischio che l’Europa sparisca spazzata da nuovi venti nazionalisti perché scossa dalla paura della crisi economica, del terrorismo, dell’immigrazione non adeguatamente regolamentata. Si potrebbe rimanere sordi a tutti questi campanelli d’allarme. Campanelli che ricordano quelli di meno di un secolo fa perché, come ha detto qualcuno “se la storia non si ripete, spesso però fa le rime”. Ma, “don’t panic!”, come dice uno dei miei libri preferiti. Perché è la paura che fa commettere grandi sbagli, come farsi sedurre dai populismi. Meglio ragionarci sopra, studiare i fenomeni, educare e capire che il mondo è complesso e non esistono facili soluzioni. E tutto questo è sempre meglio farlo assieme, in un continuo dialogo e confronto.

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