5 Novembre 2016

Bora.la goes to Trieste Science+Fiction: giorno #3

el sunto Trieste Science+Fiction, recensione dei film del terzo giorno

Articolo a cura di Massimiliano Milic

Quali sono i film che i ragazzi della redazione di Bora.la hanno visto nella terza giornata del Trieste Science+Fiction 2016? Eccoli recensiti per voi.

 

APPROACHING THE UNKNOWN (di Mark Elijah Rosenberg, 2016)

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Avevamo proprio bisogno di un nuovo film che abbia come obiettivo la conquista di Marte? Dopo aver visto “Approaching The Unknown” posso dire di no.

Il film, con protagonista Mark Strong, è lento, noioso e manca di colpi di scena. La pellicola di Rosenberg vorrebbe essere un ganzo thriller psicologico ambientato nello spazio, al pari di film come “2001: Odissea nello spazio” o “Moon”, ma non lo è affatto.

La storia è molto semplice. L’astronauta William Stanaforth (Mark Strong) viene scelto per essere il primo uomo a sbarcare su Marte, ma non prima di aver affrontato un viaggio di nove mesi in totale solitudine. Stanaforth è fin da subito un personaggio molto ben delineato: è arrogante, sicuro di sé e parte alla scoperta dell’universo convinto di essere il migliore tra gli uomini, l’unico in grado di conquistare Marte.

Normalmente queste premesse farebbero ben sperare per il proseguimento della pellicola: sei un stronzo arrogante che va ridimensionato? E’ inevitabile che combini qualche casino con la tua ciurma o finisci per essere ammazzato da un consistente gruppo di alieni sanguinari. Insomma, fai la fine che ti meriti.

Ma nulla di tutto ciò in “Approaching The Unknown” accade. Anzi, non accade letteralmente nulla. Non succede niente di niente per novanta lunghissimi minuti. Seduto sulla tua scomoda poltrona della Tripcovich pensi che avresti preferito mangiare le patatine della nuova baracchetta in viale XX settembre piuttosto che essere in sala a farti le seghe mentali.

Non vorrei troppo scendere nel volgare, quindi vi linko la recensione dei ragazzi di “I 400 calci” che si sono presi la briga di scrivere un lungo post sul film di Mark Elijah Rosenberg.

L’unica cosa che ricorderò positivamente e con ammirazione sono le immagini dello spazio, probabilmente comprate dalla Nasa, che fanno da sfondo alla navicella spaziale in cui viaggia Stanaforth. Una moltitudine di forme e di colori tutti diversi che riempiono l’Universo sono una gioia per gli occhi.

Il mio è un consiglio spassionato, se proprio dovete guardarvi un film di fantascienza ,evitate “Approaching The Unknown”

 

EMBERS (di Claire Carré, 2016)

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Premessa. Il mondo è una merda. No, non sto esagerando. Il mondo è letteralmente una merda nel film d’esordio della regista inglese Claire Carré: le città non esistono più (o perlomeno non si vedono) e gli esseri umani vagano disorientati in dei luoghi con edifici fatiscenti e stanze piene d’immondizia. Ho detto disorientati perché effettivamente gli umani sono disorientati. Nel futuro distopico in cui è ambientato il film, una grave infezione virale fa in modo che le persone dimentichino tutto e perdano anche la capacità di depositare nuovi ricordi.

“Embers” è il genere di sci-fi film di cui Paolo Stanese parlava nel suo articolo di presentazione di questa edizione del festival di fantascienza a Trieste. E’ un film sci-fi che si pone il quesito al condizionale più celebre di questo genere: “What If…”, “Che cosa succederebbe se…” gli essere umani non ricordassero più niente del proprio passato? Una domanda, quello che pone la regista inglese, a cui è difficile rispondere. Ogni essere umano, probabilmente, reagirebbe alla malattia in maniera differente. Ed è proprio quello che mostra “Embers”.

La storia che ci viene narrata segue alcuni degli abitanti di questo mondo semi-apocalittico. C’è chi come Chaos (è il nome ipotetico datogli dagli sceneggiatori), a causa del virus, è regredito allo stadio animale. Rapina, uccide e stupra seguendo un comportamento istintivo e primordiale, come se la sua coscienza fosse azzerata, come se le azioni che compie siano la normalità. C’è chi come la giovane coppia di fidanzati (o sposi?), chiamati il Ragazzo e la Ragazza, lotta disperatamente per rimanere unita. Nonostante la loro memoria effimera, i due si ricordano di essere fidanzati grazie a un braccialetto di stoffa che entrambi indossano. C’è chi come il Professore, un ex-studioso, attraverso le proprie annotazioni scritte in previsione del diffondersi della malattia tenta di sopravvivere. I post-it diventano in questo modo indispensabili, anche per accendere un semplice fuoco. Tuttavia c’è anche chi non è stato colpito dalla malattia, come la giovane Miranda che ha la fortuna di avere un papi particolarmente ricco. Miranda, infatti, vive asserragliata in un bunker ipertecnologico assieme al padre senza la possibilità di avere contatti con il mondo esterno e quindi con il virus. Qui può suonare l’arpa, ascoltare musica, guardare i film e le foto di famiglia. Ma il bunker in cui ha vissuto fin dall’infanzia è diventato una prigione da cui questa ragazza vuole scappare. Perché anche se non è stata infettata dalla malattia, Miranda desidera conoscere il mondo ed entrare in contatto con altre persone.

È proprio grazie al personaggio di Miranda che lo spettatore si pone un nuovo quesito. E’ meglio vivere senza ricordarsi niente del passato girovagando per il mondo senza una meta o contemplando i propri ricordi in uno spazio claustrofobico?

C’è tanta carne al fuoco in “Embers”. I quesiti sono sicuramente molti più di quelli che vengono alla mente alla prima visione. Ma quello che la Carré soprattutto ci mostra è che le risposte a queste domande sono infinite. Il film è fin troppo lungo, ma la sensazione che ci lascia mentre scorrono i titoli di coda è che finalmente abbiamo viaggiato con la fantasia – grazie al magggico “What If” – anche a questa sedicesima edizione del Trieste Science+Fiction.

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