18 Agosto 2015

Magna come che te parli

el sunto Dialogando con la comunità su quanto sia importante nutrirsi in maniera sana, una riflessione sul valorizzare prodotti semplici. Con un invito special

Ndr. Questo articolo è già uscito nel secondo numero de #laboradecarta, il cartaceo trimestrale di Bora.La, in distribuzione gratuita a Trieste (per sapere esattamente  dove clicca qui).  L’immagine, a cura di Jan Sedmak, è tratta anche dal cartaceo. Buona Lettura!

Anche nel XXI secolo, il dialetto triestino gode di una notevole vitalità, trasversale ai ceti sociali e alle composizioni etniche. Non è raro sentire sugli autobus abitanti africani, balcanici e persino cinesi esclamare “Eh, cos te vol” o “’ndemo dei”, ed è quasi leggendario l’attaccamento al dialetto degli impiegati di uffici pubblici e privati. Senza bisogno di tutele esterne, e senza troppa considerazione per i foresti, il triestino è la lingua che si parla a casa – per una popolazione che è abituata a chiamare casa tutto il territorio della provincia.

Ti faccio una cortesia a parlarti in lingua, ma quando parlo con te in dialetto vuol dire che con te mi sento a casa, anche se non ti conosco. E anche se tu non lo conosci, dovresti apprezzare il fatto che mi esprimo nel mio linguaggio privato, dedicato alla famiglia, agli affetti, alle cose importanti. Io triestino, penso che tu foresto dovresti apprezzare questa parlata che non è grezza e volgare, ma schietta e specifica – come ben sa chiunque abbia letto anche una sola poesia di Virgilio Giotti.

Agli stessi principi, mi insegnava nonna Augusta, si ispira la nostra cucina. Sapori schietti e specifici, magari importati da cucine di mezza Europa, ma che qui finiscono per evocarti i caratteri di un territorio fatto di pochi elementi di marcata identità. Com’è una buona Malvasia, sofisticata? Il segreto di una buona pinza, ma anche di una jota, sta forse in mille ingredienti? Penso ai bolliti in caldaia o al panino con prosciutto cotto, senape e cren o ai sardoni impanai e realizzo perché non sopporto la “cucina inventata dalla televisione” con i reality show sui ristoranti, le sfide fra i cuochi, gli antipasti gioiosi per gli occhi, parole come finger food, o appetizer che sembrano aver colonizzato il nostro immaginario gastronomico.

L’invito magna come te parli è una scelta di campo. Un invito rivolto a chi vuole conoscere questo territorio anche per come si riflette nei sapori che propone. Certo, ci sono anche qui piatti e dolci e vini più complessi, e vale la pena di conoscerli. Ma credo che l’anima dei nostri luoghi fatta di pietre e di vento, prima che di terra e di acqua, si rifletta meglio nella robustezza di un terrano, nell’onestà del formaggio tabor, nella modestia della minestra de bobici, nella sapienza degli insaccati delle osmize, nei modi spicci dei chifeletti che nei piatti della cucina degli chef, siano pure bravissimi. E credo che coltivare le espressioni dell’anima di questi luoghi (il cibo locale, il dialetto, l’edilizia in pietra a secco) sia un modo sincero di nutrirsi, importante per gli abitanti quanto per gli ospiti.

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1 commenti a Magna come che te parli

  1. Fiora ha detto:

    leggere quest’articolo mi ha rimessa “a bolla” per il mio privato. Un sedativo/antidepressivo, autentico balsamo per le mie ansie.
    Basta de storzerme in mille contorsionismi verbali e culinari a pro de amati discendenti stra foresti ( regno unito )ospiti in casa mia per le vacanze estive.
    Corn flakes sospesi. palacinke de matina, pranzo golas e chifeleti…gnam ecumenico de aprovazion! Radicio no like? bon femo de meno, picio!
    E ‘pena che rivo farghe capir che volentieri vol dir tuto el contrario, semo a caval!

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