21 Aprile 2015

“Trieste xe per bici” L’intervista a Giulio Venier, cofondatore di BorderBike

el sunto BORDERBIKE è una start up che produce biciclette in bambù. L'intervista a uno dei fondatori, Giulio Venier.

Ricreare un rapporto di fiducia tra cliente e produttore e stabilire un dialogo tra loro basato sulla fiducia. Tutto questo offrendo un prodotto utile che rispetti l’ambiente. E’ questo l’obbiettivo di due amici ingegneri che hanno fondato BorderBike. Incuriositi da questa singolare esperienza, abbiamo intervistato Giulio Venier, uno dei due fondatori.bikes-7

Giulio, racconta in breve la tua esperienza con le bici, com’è cambiata dall’infanzia a oggi.
Ho iniziato ad andare in bici un po’ come tutti i bambini intorno ai 4 anni. Come ciclista ero un vero disastro. Ora, alla veneranda età di 31 anni lo posso confessare: ho avuto una certa difficoltà ad imparare a stare in equilibrio sulle due ruote e quindi mi sono dilungato un bel po’ con le ruote aggiuntive dei bambini, cioè quelle che si attaccano ai lati. Naturalmente i miei amichetti del tempo mi prendevano in giro non poco per questo e io ci soffrivo parecchio.
Poi, la svolta! Ho capito che era meglio evitare di guardare le ruote girare –ne ero particolarmente incuriosito- ma concentrarsi nel guardare avanti. Riuscivo a stare in equilibrio! Ricordo di essermi sentito piuttosto scemo in quel frangente. Paradossalmente non avevo capito che bastava solo guardare avanti.
Successivamente ho usato la bici praticamente solo d’estate al campeggio. Abitando in città in miei genitori non se la sentivano di lasciarmela usare. Le rare volte che usavo la bici, era per fare qualche uscita con mio padre su sentieri “sicuri”. Intorno ai 14 anni da quando ho smesso di andare al campeggio mi sono praticamente scordato della bici: era arrivato il motorino e, distrutto il motorino, la Vespa.

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Paolo Bottos, cofondatore di BorderBike

E poi?
Arrivato all’università, mi sono iscritto ad ingegneria ed ho iniziato ad essere molto più sensibile al tema ambiente. Mi sono reso conto che il motore a due tempi non era poi questa figata come mi sembrava alle scuole superiori. Puzza, inquina e fa pure un gran casino.
Tuttavia è stato solo iniziando a frequentare Paolo Bottos, amico, socio e co-fondatore del progetto BORDERBIKE che mi sono reso conto del vero potenziale della bicicletta. Ero rimasto affascinato dal senso di libertà che riuscivano a trasmettermi i racconti dei viaggi in bici di Paolo, a volte vere avventure. La cosa che apprezzavo di più era il fatto di essere completamente indipendente.
Insomma, è stato come quando ho imparato ad usare la bici da piccolo. E’ bastato che qualcuno mi facesse guardare avanti per farmi aprire gli occhi, invece di continuare a guardare le ruote ipnotizzato dal loro moto. Da lì è stata un’escalation al limite della malattia: ora sogno telai anche di notte.
Ho fatto un po’ di chilometri, qualche viaggio più lungo ed impegnativo. Ho ancora tanta voglia di fare strada con una bici, mi piacciono le sfide, soprattutto quelle complicate e sogno di partire per fare un giro che mi porti lontano. Staremo a vedere.

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Giulio Venier, cofondatore di BorderBike

Cos’è Borderbike, come nasce e quali obbiettivi si pone?
BORDERBIKE nasce dal sogno di due amici ingegneri che avevano voglia di un po’ di senso pratico dopo le ore passate in ufficio a compilare carte. BORDERBIKE potrebbe essere la risposta alla banalità del mondo in cui viviamo, fatto di oggetti prodotti in serie chissà dove e chissà da chi. Oggetti senza un’anima, progettati da qualche designer sottopagato.
La nostra società è riuscita a conformarsi su tutti i livelli: oramai ci sediamo a tavola a casa di amici e notiamo gli stessi identici mobili di qualche centro monomarca. Trovo tutto questo un impoverimento intellettuale, perché viene a mancare una diversificazione.
A noi di BORDERBIKE non piacciono le etichette e neanche il fatto che a decidere sui nostri gusti debba essere qualcun altro. Non consideriamo un valore uniformarsi alla società e siamo fieri di sentirci diversi ed indipendenti.

In che senso vi sentite diversi ed indipendenti? Che alternativa proponete?
BORDERBIKE è una startup che intende scavarsi una nicchia del mercato di biciclette e attualmente tra le varie mille cose, sto lavorando ad un modello di business ed uno dei punti chiave è la possibilità di stabilire un dialogo tra cliente e produttore basato sulla fiducia.

Cioè? Spiegaci meglio!
Pensa ad un qualsiasi prodotto o servizio che hai acquistato per cui abbiate dovuto contattare il servizio clienti. Di solito è un calvario e ben che vi vada riuscirai ad ottenere quello che vi spetta dopo enormi fatiche. D’altra parte è il rovescio della medaglia di un mercato che gioca al ribasso. Il nostro obbiettivo è quello di vendere biciclette in bambù (ma non solo, perché abbiamo in cantiere anche una linea di abbigliamento) e di far sentire al cliente che può contare su di noi. Insomma un po’ quello che succedeva una volta nei negozi di fiducia sotto casa e che oggi nei manuali di business si trova sotto il concetto di esperienza “premium”. Non credo di sbagliare pensando che non siamo i soli a sentire questa esigenza di tornare a creare un rapporto di fiducia tra cliente e produttore, anche se scelte di questo tipo comportano indubbiamente spese maggiori.

Perchè  utilizzate proprio il bambù? Quali sono le garanzie sulla sua resistenza?
Insieme a “Ma quanto pesa?” è una domanda che mi viene rivolta spesso. Abbiamo vissuto costruendo tutto in legno per secoli. Ci sono paesi che con l’ingegneria del legno hanno creato veri e propri imperi. Non vedo perché, siccome oggi siamo in grado di mandare in orbita cose e persone, ci si debba preoccupare di mettere un numero alla resistenza del legno. Io lo faccio, questo è ovvio, ma voglio diventare un bravo telaista e queste cose devo saperle. Con il bambù, si può fare di tutto: ponti, aeroporti (date un’occhiata al lavoro fatto da Lamela e Rogers al modernissimo Barajas di Madrid!). Noi ci facciamo telai da bici.
Il bambù è un materiale sorprendentemente ingegnerizzato per essere completamente naturale.Come tutti i legni è un composito formato da una matrice di cellulosa e la fibra fatta di legnina, presente in percentuali paragonabili a quelle dei legni molto duri che però a differenza del bambù, sono difficili da coltivare, costosissimi e davvero difficili da lavorare.
In termini di resistenza al carico il bambù è un vero campione: esistono delle varietà molto resistenti che se trattate in modo opportuno possono sopportare carichi molto elevati. Potrei anche disquisire sui numeri, ma lo ritengo fuori luogo, considerando che comunque i punti più sollecitati del telaio sono fatti in fibra di carbonio e quei giunti, presi singolarmente, possono resistere a diverse tonnellate di carico. Provare una nostra bici per credere!

Ok, ma qual è il tipo di utilizzo che ci si aspetta da chi acquista una bici in bamboo?
Il tipo di utilizzo che ci si aspetta da una qualsiasi bici per la quale si rispetti la destinazione d’uso per cui è stata prima progettata e poi costruita. Nessumo si avventurerebbe con una bici da corsa in carbonio in un sentiero di montagna pieno di buche. Come nessuno cercherebbe di vincere una crono con una bici da Downhill. Insomma, come con tutte le cose nella vita ci vuole un po’ di buonsenso.

Che tipo di bici vorreste produrre?
Stiamo progettando di produrre biciclette da strada, city-bike e forse più in là sicuramente anche mountain bike, ma al momento non abbiamo nulla in cantiere in quel senso.

Al momento a chi vi rivolgete?
Ci rivolgiamo a persone che posseggono già una bicicletta e che vogliono provare un’esperienza nuova e distinguersi dagli altri utilizzando una bici artigianale. Guidare una bicicletta in bambù, poi, è molto piacevole. Lo sapevi che il bambù in termini di assorbimento delle vibrazioni si comporta molto come la fibra di carbonio? Curioso, no?

Negli ultimi anni c’è stata una notevole crescita nel mercato della bici, che nel 2014 ha superato anche quello dell’auto. Pensi sia una moda o è la risposta a nuove esigenze?
Direi in proporzioni diverse, entrambe. Da una parte c’è l’esigenza di mobilità indipendente di chi vive gli spazi urbani, dall’altra il settore automobilistico sta attraversando una crisi epocale. Insomma, in poche parole automobili in calo e biciclette che si stanno ritagliando un mercato in forte crescita. Fortunatamente le amministrazioni stanno gradualmente chiudendo l’accesso ai centri urbani alla macchine ed ai mezzi motorizzati in genere, creando zone pedonali. Le bici saranno sempre di più protagoniste della mobilità in città ed è naturale che questo porti alla nascita di nuove sottoculture urbane (vedi le bici a “scatto fisso”) e tendenze. Ma poi, dobbiamo salvarla a tutti i costi questa industria dell’automobile? Non sarebbe ora di cambiare qualcosa?

Dunque secondo te Trieste xe davvero per bici?
Altroché! Sarebbe ora che lo capisse anche il “palazzo” e la categoria automobilisti (non sempre proprio simpatica nei confronti di noi ciclisti). La politica in Italia ha fatto e sta facendo davvero poco in tal senso e Trieste di certo non brilla per iniziative di questo tipo. Alcuni miei amici continuano a sostenere che abitando su uno dei tanti colli di Trieste, non ce la fanno a muoversi in bici. Lo capisco bene, ma in realtà anche questa è una questione che non si vuole risolvere. Le soluzioni esistono e costano anche poco. E poi, esistono tante città con salite e discese, proprio come Trieste, dove però al contrario si investe sulla mobilità due ruote.

Facci un esempio!
Beh, l’esempio di San Francisco è fantastico. Se non ce la fai con la salita puoi sempre caricare la bici sugli autobus cittadini che sono dotati di un portapacchi. E ce ne sono molti. Ma a Trieste purtroppo è tutto difficile. Tutto un “faremo”. Sarebbe ora di cambiare. Capisco che l’elettorato cittadino tipicamente anziano sia più interessato ad altre tematiche, ma mi piacerebbe vedere una pista ciclabile in città che non sia semplicemente un marciapiedi condiviso coi pedoni.

Come si comportano gli automobilisti triestini con i ciclisti urbani?
Molto spesso in modo scorretto, direi. A volte sanno essere anche piuttosto pericolosi. Manca un’educazione stradale che insegni da una parte che le bici hanno pari diritti di qualsiasi altro mezzo circolante e, dall’altra che anche chi va in bici ha dei doveri. Sono tanti i ciclisti che guidano di notte senza uno straccio di luce. Ovviamente rimango dell’idea che tra un’automobile ed una bicicletta, la prima sia ben più pericolosa della seconda. Le conseguenze di un impatto con una bicicletta che ha una massa ed una velocità inferiori sono potenzialmente molto meno pericolose di quelle con mezzi che si aggirano intorno la tonnellata. Insomma l’automobile perde di nuovo!

Da qua al 2020, come ti piacerebbe che cambiasse la mobilità triestina? Cosa si può fare?
Credo si possa fare ancora molto. Io inizierei con la rimozione del divieto di accesso alle biciclette alle corsie che adesso sono riservate solo ai bus ed ai taxi. Mi piacerebbe una linea di cortesia tracciata a terra, almeno in centro, per delimitare uno spazio ben definito in carreggiata per le bici.
Inoltre sarebbe costruttivo aprire un tavolo con Trieste Trasporti per capire le reali possibilità di installare dei portapacchi sugli autobus per le zone residenziali che si trovano in collina. Tutte cose che non richiedono investimenti enormi ma solo la volontà di cambiare le cose.
Per ora a mio avviso nessuno nel panorama politico ha veramente il coraggio di dare un segnale di cambiamento. Non so quanta voglia io abbia ancora di rimanere qui ad aspettare che le cose cambino. Sono un po’ stufo delle promesse di questa classe politica di cui il nostro sindaco non è certamente esente. Lo ricordo durante un incontro a seguito di un critical mass per sensibilizzare il tema delle bici in città organizzato da UlisseFIAB l’anno scorso, in cui definì “faziosa” la domanda in cui gli si chiedeva a che punto fosse la creazione della rete di piste ciclabili promesse in campagna elettorale. Se ne andò imprecando senza voler rispondere. Le stesse piste ciclabili “che offrano ai cittadini l’opportunità di muoversi in maniera sicura con la bicicletta in tutta la città”, parole estratte dal programma politico con cui proprio Lei, caro Sindaco Cosolini, si candidò nel 2011 (e che sono facilmente reperibili nel web). Noi non ce ne siamo dimenticati e stiamo ancora aspettando con ansia queste sue iniziative.

 

Le foto in questo articolo sono di Alba Zari.

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7 commenti a “Trieste xe per bici” L’intervista a Giulio Venier, cofondatore di BorderBike

  1. Davide ha detto:

    cusi’ i ciclisti podera’ dir de gaver el big bamboo!

  2. Paolo Stanese ha detto:

    Giulio Venier ha ottime ragioni per pretendere di più dalla politica locale… ricordiamo però che:

    1) in via sperimentale Trieste Trasporti sta sperimentando un servizio di bike bus, qui i dettagli:
    http://www.triestetrasporti.it/index.php?servizio-bike-bus

    2) fino al 30 settembre, chi vuole comprare una bici a pedalata assistita può approfittare di un’agevolazione regionale:
    http://www.fvg.camcom.it/contributo-per-l-acquisto-di-biciclette-elettriche-a-pedalata-assistita

  3. Giulio Venier ha detto:

    L’intervista è stata scritta prima di sapere del progetto bici sul bus! Quindi…la cosa mi entusiasma molto e spero che sia l’inizio di una serie fruttuosa di interventi a favore di una mobilità urbana più attenta alla salute dei cittadini!

  4. Furio ha detto:

    Anche mi stago ancora spetando due promesse in campagna elettorale de Cosolini: piste ciclabili e chiusura della ferriera.
    P.S. : ciclisti, rispettè semafori e attraversamenti pedonali!

  5. Chiara Meriani ha detto:

    Me piasi, tropa roba, le vojo provar!!! Bravi muli 😉
    TheLadyBike – la siora in bicicleta

  6. Federico Zadnich ha detto:

    Paolo Stanese va detto che le 2 novità che tu giustamente ricordi non sono azioni del Comune ma della Provincia (BiciBus) e Regione (bonus e bike). Io sono quello che era stato etichettato da Cosolini come “fazioso” alla Critical Mass del dicembre 2013 e devo dire che nel frattempo praticamente nessuno dei tanti impegni presi sono stato mantenuti (tranne uno, ovvero l’installazione dei bicipark).

    In 4 anni di governo della città ne un metro lineare di ciclabile ne un metro quadro di zona 30 è stato realizzato a fronte di impegni e annunci ripetuti. Faccio solo un rapido e parziale elenco degli annunci fatti da Cosolini (tutti ufficiali e che posso certificare):

    – nel 2011 veniva lanciato il progetto del Pi Greco (la nuova rete ciclabile portante) e il bikesharing (con 21 ciclostazioni e oltre 200 biciclette) ed era stato preso l’impegno a portare “con urgenza la velocità a 30km/h in ambito urbano”;
    – nel 2012 viene annunciata la stesura di un biciplan (un piano quadro della ciclabilità) e la realizzazione della ciclabile delle Rive;
    – nel 2013 presentazione del documento “Andare in bici a Trieste” in cui si annunciava una ciclabile in viale D’Annunzio,
    e nel dicembre del 2013 all’indomani della Critical Mass citata nell’articolo in un tweet Cosolini aveva scritto “recupereremo ritardi: nel 2014 2 nuove ciclabili (precisando poi che si riferiva alla ciclabile di via mazzini e quella da campo marzio a via orlandini) e limite 30kmh in numerose vie”

    Oliate le catene perchè se a breve non avremo da Cosolini risposte chiare sull’impegno preso su via Mazzini e sulla Campo Marzio-Orlandini si organizza a breve un’altra Critical Mass

  7. Paolo Stanese ha detto:

    Federico, fai bene a puntualizzare: il mio intento non è quello di difendere un’amministrazione comunale troppo cauta, ma quello di dare informazioni ai ciclisti urbani, sempre più numersi e organizzati. Alla prossima critical mass spero di esserci, con la mia bici nuova! 🙂

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