31 Dicembre 2014

La cantada de Vermean, dalla polka bisiaca all’inno alla vinassa

el sunto Triestini, furlani, bislacchi tutti uniti dopo il mezzogiorno di vino, rigorosamente nero e de quel bon.

Triestini, furlani, bisiachi, ma a quanto pare in questa edizione anche austriaci, olandesi ed altri nordici, tutti uniti dopo il mezzogiorno di vino, rigorosamente nero e de quel bon. Il maestro sul palco, alle spalle il suonatore di Doberdò, alle cui spalle domina la chiesa di Santo Stefano nel giorno di Santo Stefano. Pagine della cantada sfogliate dall’aiutante, e la piazza canta e come canta. Una cosa del genere per capirla, la si deve vivere. Se non la vivi neanche la più illuminante immaginazione può arrivare alla incredibile realtà di Vermean di Ronchi. Le origini della cantada risalgono a tanti e tanti ed ancora tanti lustri fa. Qualcuno vocifera che gli uomini mentre aspettavano che le donne uscissero dalla messa, cantavano, altri che l’origine della cantada risale alla tradizione di cantare sul carro portato da un contadino nel bel bel mezzo della Piazza di Santo Stefano, tra giochi ed allegria nel giorno della festa, altri ricordano che un tempo le case della piazza erano tutte aperte, si entrava nelle case per sorseggiare un bicchiere di vino, la proprietà svaniva e la comunità veniva, altri che una canzone della cantada è stata censurata perché scandalizzava la sacralità della vicina chiesa ed altri, con nostalgia, ancora che un tempo si cantava “i tuoi occhi verdi”, da tanti oggi sconosciuta.

cantada2Voci di corridoio, anzi di strada, spesso accompagnate dal vino, locale e buono e viva socialità, che magari dura quanto questa giornata di allegria, però ancora esiste ed è festa senza siesta. Certo, molti lamentano che la tradizione è compromessa, che, ad esempio, non vi è più la stessa quantità di case aperte di una volta, altri che rischia di divenire una sagra comune, la tradizione merita di essere salvaguardata e sicuramente con l’impegno della comunità questo avverrà, però la cantada è un qualcosa di così unico e raro, che solo qui in Bisiacaria poteva nascere e vivere.

cantada3Chi con il foglio in mano a seguire i versi delle canzoni, il cui repertorio è vario, si parte con “Paesanella” per continuare con altre canzoni tradizionali, come “Ancora un litro de quel bon”, “La Valsugana”, “le mule de la fabrica”, da molti ricordata semplicemente con “chi che parla mal de Ronchi” il cui verso poi continua, “no xe degno del so pan, e nol pensa a quel che ‘l dise o ‘l servel no ‘lo ga san”, alla mitica “Mula di Parenzo”, che ha riscaldato gli animi della piazza, al superbo ed anche sfigato “El tran de Opcina”, per poi concludere dopo altri canti di omaggio al vino con la stupenda ma anche tragica, per il suo contenuto, “Jukeilì Jukeilà” di cui ora segue video…

Insomma la cantada è un capolavoro di socialità, dove il sentimento della comunità è vivo e dove canzoni popolari, dai contenuti variegati, tramandano nel tempo cultura, gesta, passioni di un tempo, fatti anche di cronaca ed ilarità che raccontano la vita di queste terre nel corso di epoche vive nella memoria di una moltitudine di persone che con la musica, il canto e l’allegria e qualche fiasco o bicchiere di vino vengono consegnate alle nuove generazioni che dovranno farne tesoro per non dimenticare.

 

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