25 Novembre 2014

Le tre vite della bicicletta

el sunto La bicicletta ha (almeno) tre vite, che si scoprono crescendo, quando mutano le proprie priorità e necessità

In copertina, Arlandria. Foto di Alba Zari

La bicicletta, compagna di vita capace di cambiare, crescere e adeguarsi alle tue necessità. E vivere storie diverse, fasi diverse.

Il gioco
Ho imparato ad andare in bicicletta un po’ come tutti, da piccolo, a Opicina, per gioco, su una bici bonsai rossa passata di cugino in cugino, nella speranza di poter salire un giorno su quella di Marco, più grande, ammortizzata e con il sellino lungo, roba che faceva tanto “america”.
La mia bici aveva solo il freno davanti. Mi lanciavo in discesa e lo tiravo, finendo ogni volta a capriole sulla ghiaia. I segni che riportavo a casa mi valevano il “ferite di guerra!” esclamato da mio nonno, cosa che mi rendeva decisamente fiero e mi istigava a rifarlo, o per lo meno a trovare nuovi modi di ribaltarmi. L’altro grande slancio educativo di mio nonno era mollarmi 100 lire ogni volta che finivo in punizione in bidelleria, condendole con un “bravo, ben fatta!”.
Prima di poter passare alla bici di mio cugino, arrivò lei. La mitica bmx. Blu e gialla. Che mi sembrava così dignitosa da dover avere anche un nome, Kitt. Con Kitt i giri nel bosco dietro casa aumentarono, e, nonostante il cambio fisso, non c’era salita che potesse fermarci.
Finché arrivarono le prime mountain-bike, sul finire degli anni ’80, e arrivò Legolas (eh bon, leggevo il Signore degli anelli in quel periodo…), e le scampagnate domenicali assieme a mio zio ci portavano sempre più lontano, nei paesi del Carso, a Sistiana al mare, su sentieri ancora da esplorare.
E poi arriva quell’età. L’adolescenza. Quella in cui preferisci altri giochi, altri svaghi, altri giri. La bici piano piano perde il suo fascino, la sua complicità, fino a diventare qualcosa di inutile, di lento, qualcosa da lasciare in cantina a prendere polvere, perché per lei non c’è più spazio nella tua nuova vita.

Il viaggio
Ma la cosa bella della bicicletta è che lei non si offende. Lei è lì, in attesa. Non appena tornerai nella cantina, lei sarà pronta, per vecchie o nuove avventure.
E così, dopo dieci anni di attesa durante i quali Legolas non poteva avere alcun ruolo nella mia vita, ecco che invece spunta l’idea, la nuova avventura. Paolo Rumiz con il suo “tre uomini in bicicletta” fa da apripista alla scoperta di un nuovo uso della bici, la dimensione viaggio.
L’idea è partire per Berlino. Entro i 30 anni, perché da giovani si pensa che quello sia il confine della libertà, salvo poi accorgersi che in realtà non cambia niente, il confine della libertà si trova da tutt’altra parte. E l’occasione arriva, subito dopo la laurea. Esame di stato o Berlino? La seconda, senza alcuna esitazione.
Legolas resta a casa però, perché la rinata passione condivisa spinge il nostro gruppo a una serie di regali di laurea monotematici e biciclici. E così arriva lei, Arlandria. Che mi porterà a Berlino, a Praga, sul Glossglockner, a Monaco, Budapest, Bratislava, Cracovia, Mostar, Dubrovnik e Kotor.
Un modo di viaggiare unico.
Pici passi. Un viagio in bici xe fato de pici passeti. I pici passi te permeti, co te entri int’un paeseto, de entrarghe veramente, de sentirlo tuo, de respirar a pieni polmoni la sua atmosfera, de imerger totalmente i tui zinque sensi int’un novo contesto. I pici passi fa questo. Fa assaporar i loghi, fa assaporar le persone, fa assaporar la tua crescita assieme a queste. Pici passi come filosofia de vita.

La città
Finché, un giorno, uno dei miei più cari compagni di viaggio, Michele, non ha l’idea di andare al mare a Duino. In bici. In bici? Perché? Così, per fare un giro. Parto da Servola, passo per la città, incontro persone, mi unisco al gruppetto di ciclisti, arriviamo a Duino, pranziamo, e dopo qualche clanfa prendiamo la via del ritorno. Saltiamo il traffico, arriviamo in città, “parcheggiamo” esattamente a un metro da dove vogliamo arrivare, senza lo stress della ricerca di un posto libero.
Da quel giorno di tre anni fa è scattata una molla. E’ incominciata la nuova avventura da ciclista urbano. Servola-città: 20 minuti tondi. In auto 7. Ai quali vanno aggiunti i 15 per cercare parcheggio e i 10 per camminare dal parcheggio alla meta. E gli euro di benzina. E le immancabili stratosferiche incazzature. E la solitudine di quell’inibitore sensoriale su quattro ruote che ti separa da ciò che ti circonda e che potresti invece vivere. Se poi devi spostarti da un punto della città a un altro, l’auto è l’incarnazione del male.
Conti alla mano, il risparmio in benzina è di 100 euro al mese. Senza contare il beneficio fisico e il piacere di incontrare persone e poterti fermare a condividere con loro anche una piccola parte della tua giornata.
E così la bicicletta si riconquista anche il suo fascino quotidiano, la complicità persa di un tempo, chiudendo il cerchio.

Non so se questa sia la normale evoluzione di un rapporto con la bicicletta, ma di sicuro noto che ultimamente la bicicletta non è più vista solamente come uno strumento di svago, ma si è finalmente e definitivamente guadagnata la dignità di mezzo di trasporto, anche in una città difficile come Trieste. “Trieste no xe per bici” ormai ha senso solo se non si vuole guardare cosa sta effettivamente succedendo per strada.
E forse la bicicletta a pedalata assistita può essere la tappa finale di questa evoluzione urbana.
Ci sono i contributi regionali proprio ora, magari un incentivo per chi è ancora indeciso se Trieste sia o meno per bici.

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11 commenti a Le tre vite della bicicletta

  1. erika ha detto:

    Fantastici i contributi!
    Me ricordo che anni fa quei che voleva andar de Servola all’Università in bici e ritorno iera fora coi coppi e se ghe diseva che no se pol, no xe per bici!!! Iera altri tempi, desso se pol finalmente!! 😀

  2. sfsn ha detto:

    belissima la bici come mezo del locomozion urban… però ieri che son tornà dal Ariston al Politeama iera un fredo bechissimo!!!

  3. sfsn ha detto:

    (dimenticavo de dir che iera mezanote)

  4. ufo ha detto:

    E bravo merlo, te go sempre dito mi che co xe zima bisonia premunirse de antigelo. Un bič de domača e no te fa più ne caldo ne fresco.

    P.S.: ma desso voialtri me fè sentir in colpa, che mi no ghe go mai pensà de darghe anca un nome al ordegno – me ste fazendo far la figura de insensibile.

  5. Fiora ha detto:

    La bici. un’ esperienza infantile proibita da genitrice iperapprensiva, un imprinting negato. Successivi goffi tentativi fallimentari nell’arco di un’esistenza… “cambronne”!
    E ora un mix di livore e d’invidia mi ha incattivita. Col dente avvelenato vi guardo invadere i miei spazi automobilistici e pedonali sempre più protervi. andate a remengo! 😀

  6. sfsn ha detto:

    anche le mie bici gaveva un nome: la bianca, la grigia, la blu.
    anche desso lo ga: quela de corsa, quela de baba e la mountain baik…

  7. Fiora ha detto:

    cos’ te fa te provochi, sfsn?! E bon, ah! ti tre e mi gnente. come coi polastri. la statistica xè una e meza pro capite patoco, dei 😉

  8. Fiora ha detto:

    ” bicicletta a pedalata assistita”, ma sarìa che quei come mi i ghe spiega e li guanta con pazienza fin che no i se mola? Seriamente, magari ara! Perché se no me vergognassi mi zà meditavo de ciorme el triciclo. Là iero rivada e là me go incugnà… Cussì me ga tocà farme la patente…

  9. sfsn ha detto:

    come coi tre piščanci?
    per restar in metafora: un ga tre polli, un alro no ghe ne ga gnanche uno.
    Però anche se el li gavessi no li magnerìa perchè el xe vegetarian.
    Mi go tre bici perchè so andarghe… 😉

  10. Furio ha detto:

    Grazie Diego! Te me ga fato ricordar la mia prima bici, che go trovà la matina de San Nicolò sulla tavola della cusina: rossa, con le riodele. La se ciamava “Cottur” perchè mio papà me gaveva dito che cussì iera scrito sul telaio. Dopo niente per tanti anni, fin che go comprà la “gialla”: con ela nel 65 go vinto el tour de France, su per la strada per Opicina scoltando con la radiolina le tappe de Gimondi, fin al campo de Cologna. Dopo zo per via Commerciale, che adesso me fa paura anche in machina.
    E per ultima la grigia, per andar a lavorar per 23 anni.

  11. Fulvia ha detto:

    Quela che… quando papà regolava l’unico fren (quel davanti) senza gaverme avertì prima, fazeva dei svoli tipo clanfa per aterar inmancabilmente sula giarina. Quela che… ghe rubava la bici de cross a su fradel per andar a tirar strichini e impantanarse nel fango. Quela che… gà imparà a 7 ani a ripararse da sola la rioda sbusada. Quela che… lasava de parte le amiche con le bambole per cercar de imparar a impenar (forsi son ancora in tempo). Quela che… (come vol la regola) ga tradì la sua bicicleta nei ani adolescenziali per lasarghe posto a Ciao, Vespe e motorete varie. Quela che… nel’età dela sageza ga capì che la bicicleta in cità val ‘sai de più de ogni altro mezo de locomozion. Quela che… tireghe via l’aria che la respira ma non steghe cior via la bici!
    Trieste xe per bici!
    Diego… le 3 ore in Comun!?! Come farò senza vederte?

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