24 Novembre 2014

Quale futuro per l’informazione digitale?

el sunto Informazione digitale: quali le prospettive per il futuro? Ce lo racconta Fulvio E.Bullo, fotoreporter triestino che ha partecipato al festival GLOCAL

Ndr. Cosa è cambiato nell’informazione digitale e quali le prospettive per il futuro, in relazione con i giornali di carta? Ce lo racconta Fulvio E.Bullo che ha partecipato a GLOCAL, festival del giornalismo digitale, come fotografo volontario. Approfondimenti, tavole rotonde, workshop e serate a tema hanno animato la città di Varese dal 13 al 16 novembre 2014. 

Logica del campo minato fiorito
 

Ogni click conta, anche se guidato da noia, falsi proclami o basso ventre. Mentre le sette sorelle del giornalismo nazionale continuano a mantenere l’egemonia anche sul web, scambiandosi risorse e dividendosi una nicchia già colma da almeno vent’anni, la vera battaglia per l’informazione si sposta sul locale. E’ nell’informazione di provincia, nel suo colpirci con notizie tanto personali e immediate (e nel suo fluire indeterminato sui social) che si decidono le nuove linee guida tra qualità e propaganda; coi nostri click noi – spesso inconsapevolmente – obblighiamo le testate ad abbassarsi a uno standard che non meritiamo; analfabeti del web (come già lo eravamo per la televisione e per la fotografia), cadiamo volontariamente nella trappola di chi, con quei click, gratta qualche euro eliminando il contenuto: si pubblicano orrori di cronaca, falsi titoli, gattini coccolosi. E noi – ma ora dobbiamo impararlo – clicchiamo, condividiamo e ci rendiamo complici. Tutto nasce da quel gesto, minimo e rivoluzionario che ci hanno insegnato innocuo, ma che nasconde nell’era dei social un (‘assenza di) ragionamento e una volontà che dobbiamo imparare ad esplicitare e – perché no – riportare nei ranghi dell’autocontrollo.

Digital gangbang

Alle ore 9 di giovedì 13 novembre la Protezione Civile dirama l’allerta meteo per Milano. Prima ancora che i telegiornali annuncino l’imminente arrivo del nubifragio sul Nord Italia si sospendono i collegamenti ferroviari, già scarsi, e la Lombardia sprofonda poco a poco nel suo personalissimo maelstrom; il nostro arrivo a Varese in perfetto orario ha del miracoloso: ci presentiamo così, valige in spalla, allo staff del Glocal – festival del giornalismo online che dal 13 al 16 novembre racconta le novità dell’informazione digitale guardando il mondo “dalla prospettiva locale”. Miracolosa è stata anche la selezione che ha portato noi due – triestini e colleghi – in quel di Varese, per far parte del team di giovani destinato a raccontare dall’interno la kermesse più sorprendente del panorama giornalistico italiano.

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Il nostro lavoro inizia nel pomeriggio, mentre le prime gocce di pioggia bagnano le corti e i giardini dei domini estensi: dalla sala conferenze della Camera di Commercio passiamo a un piccolo anfiteatro a scaloni, scarno ma accogliente; il relatore singhiozza tra la luce scarsa delle vetrate sul soffitto e il buio della sala. Intorno a lui file di punti luminosi a semicerchio – smartphone, portatili, tablet – sembrano incombere in un’ammucchiata digitale con un unico, smarrito protagonista. Tutti i presenti sono immersi in un silenzio religioso di frasi da segnare, citazioni da twittare taggando il relatore, sperando in un retweet o in un like di qualche vip lungimirante.
 Guardo Giulia seduta poco distante e confusa quanto me; l’unica differenza è che io, lavorando nel team fotografico, gioco al piccolo Giovanni Cozzi mentre lei, in quanto parte del social team, dovrà abituarsi a quel compito frenetico e caotico di memorizzazione, segmentazione, condivisioni lampo e instagrammate furiose.
 «Sembra di stare su un altro pianeta», confesso a fine conferenza a una collega.
 «Forse siete voi che venite da Plutone».

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Inizia così una tre giorni senza sosta tra rivoluzioni digitali (all’italiana), nuove frontiere dell’informazione e dibattiti sui limiti e sull’etica del giornalismo di provincia, considerato spesso più spregiudicato e pulp di quello nazionale.

Tigri di carta e droni-reporter 

«Crisi della carta? Notizia vecchia di dieci anni. Si resiste zoppicando». Roberto Bernabò, direttore de Il Tirreno, è categorico. Accanto a lui Marco Bardazzi de La Stampa e Diana Letizia de Il secolo XIX commentano i progressi dell’integrazione carta/web.
 «Oggi dobbiamo prendere atto che gran parte del nostro traffico è online, che sempre di più arriva da mobile (in alcuni casi addirittura pareggiando l’accesso da desktop, ndr) e che sono ancora pochi i lettori, soprattutto per realtà di informazione locale, che visitano l’home page ogni mattina».

italiano

La presenza massiccia delle testate sui social – vero cavallo di troia per le notizie – ha creato così nuovi esperti, social media manager con una responsabilità non solo per quanto riguarda la diffusione del pezzo, ma anche per la reputazione web della testata stessa.

L’esempio più efficace applicato quotidianamente anche nella realtà triestina riguarda il click-baiting, arma affilata in mano al giornalista malizioso e che prevede, nel titolo o nella foto condivisa sui social, una provocazione tale da far leva sulla curiosità morbosa del lettore costringendolo al click; ne parla il vicedirettore di Wired Italia, Federico Ferrazza, che ai suoi correlatori offre una provocazione: «Il clickbait non dev’essere per forza visto come un demone, finché presenta la notizia per quella che è in maniera allettante; è un po’ come quando, in televisione, si lascia l’evento importante in sospeso e si lancia la pubblicità».
 clickbaitPurtroppo sul web basta poco per trasformare il clickbait in una pietosa farsa, tramite titoli tendenziosi o foto irrilevanti di signorine in bikini: strategia che a lungo termine diventa controproduttiva per la cattiva reputazione della testata o dell’autore.
Ugualmente, sono noti i nomi di testate che sfruttano i temi caldi creando polveroni mediatici di indignazione attorno a notizie montate ad arte (pensiamo all’immigrazione, tema su cui nessuno sa nulla eppure riempie facilmente le bocche – e le tasche – di tanti rotocalchi digitali soprattutto locali anche nel nostro territorio). 
Cambiano i mezzi, ma l’importanza della credibilità rimane la stessa; per usare le parole di Barbara Sgarzi, giornalista e membro dell’ONA (Online News Association), “chi non è amato offline difficilmente sarà amato online“.

Tra le nuove tecnologie presentate al pubblico, indispensabile la lectio di Rosa Maria di Natale sui tools gratuiti per il giornalismo: oltre ai programmi di scrittura e scanning per mobile (Audionote, Jot Not e Dragon Dictation) si affermano sempre più le app di editing (foto e video) per smartphone e tablet, sorelle minori dei software professionali e sempre di più utilizzate per la realizzazione dei reportage in situ; altri programmi, come HootSuite, Klout e JustUnfollow, sono invece dedicati alla gestione dei social media e forniscono uno strumento per controllare la propria influenza e presenza sul web.
 Per ultimo spunta anche il drone, presentato da Roberto Morandi (Varesenews) come un futuro possibile per il reportage giornalistico; la platea di addetti ai lavori si anima nell’immaginarsi sostituita da quel piccolo affare volante, dimenticando che lo strumento aereo non ha mai rimpiazzato la fotografia, dai tempi pionieristici della mongolfiera di Nadar in poi, e che quindi non lo farà nemmeno per il giornalismo digitale, che di commenti ragionati oltre che di immagini si nutre e vive.

Per chi suona la ca(ra)mpana. 

Dalle finestre di villa Ponti Varese scompare sotto la pioggia sempre più fitta; già dal tardo pomeriggio di venerdì rimbalzano i tweet e i comunicati con oggetto Milano, un altrove – nemmeno troppo distante – che risuona dei gorgoglii dei tombini e delle piene del Seveso. M., un ragazzo dello staff, mi raggiunge flûte à la main e ci perdiamo tra i tavoli imbanditi durante un’iniziativa per l’Expo 2015, mentre tra i presenti mi sembra di scorgere la famosa maschera della morte rossa.

5s«Quest’anno i ritmi sono un po’ più lenti», mi rivela senza troppo imbarazzo. «Molti dei presenti hanno una certa età e non sono realmente interessati a seguire gli incontri. Ma per convenzione alcune conferenze attribuiscono i crediti, quindi le vedi piene di gente che sbadiglia».
 Quella dei crediti è una storia paradossale che inizia con la decisione dell’Ordine dei giornalisti di incentivare la formazione continua, adeguandosi allo standard degli altri ordini professionali in Italia.

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Ogni anno un giornalista deve maturare tot crediti tramite corsi di aggiornamento e presenziando a incontri ed eventi convenzionati; chiaro è che la novità della legge ha creato molti “corsi fuffa”, nonché una vera e propria corsa alla poltrona per seguire le attività meno faticose, primi fra tutti – per jackpot – i festival di giornalismo. 
Gli chiedo se ciò non strida con lo spirito stesso del Glocal, se non rischi in qualche modo di frenare il dibattito.
 «Certo», risponde «ma per risolvere il problema dovremmo liberarci della farsa della formazione continua; anzi, dovremmo liberarci direttamente dell’Ordine che è una realtà italiana monolitica, incapace di restare al passo coi cambiamenti – prima che del mondo – del mercato» .
Mi guardo attorno incuriosito: «Stasera non distribuiscono crediti, eppure è pieno di over quaranta».«E’ perché stasera se magna bene».
 Poco dopo, il direttore di Varesenews si lancia nel taglio dell’Expo-torta; fuori dalla Villa, un muro d’acqua trasforma in chador gli scialli di seta; la fila di taxi e navette si snoda fino ai cancelli in ferro, illuminati sotto la pioggia.

Ribelli di provincia


«Quindi voi siete di Trieste?» 
«Sì» 
«Siete davvero fortunati, è una città meravigliosa» 
«Sì, il problema è di chi ci vive»
  L’ultimo giorno di festival ci abbatte un carico di stanchezza e malinconia sulle spalle; complice l’alcool e la tarda serata, io e Giulia iniziamo un commosso discorso sulla nostra città con i colleghi del social team. Molti di loro abitano a Milano o Torino ma vengono dalla provincia e strabuzzano gli occhi quando tentiamo di spiegare loro come Trieste non sia poi così diversa dalla realtà di pianure disarmanti, mostruosità industriali e popolino che circonda le grandi città del Nord Italia.
«In termini di ricchezza culturale o storica, certamente c’è di più. La mentalità è diversa, certo. Ma chi può se ne va a cercare eccellenza altrove; è la semplice risposta a un bisogno: o ti inventi qualcosa, o scappi senza voltarti indietro o muori di noia» .
Mentre l’auto di una collega caritatevole ci riporta all’hotel, zigzagando tra nere pozze d’acqua, penso che ho ceduto nuovamente al mio provincialismo tutto triestino, trasformando la vetrina del festival in uno specchio.
 L’autoradio annuncia una domenica di tregua dal maltempo; tanto ci basterà per rientrare a Trieste in car sharing, evitando la roulette russa di Trenitalia.

Mi torna in mente l’intervento di Roberto Cotroneo, per anni giornalista all’Espresso e ora direttore della scuola di giornalismo della Luiss, in difesa della creatività di provincia: «Se è dalla privazione che nascono le migliori urgenze espressive e di creazione, allora non dobbiamo stupirci di riconoscere in chi viene dalle periferie d’Italia un potenziale così alto».
 D’altra parte il fascino ambiguo dell’informazione di provincia, la sua insostenibile leggerezza, sta in questo conflitto costante tra potenzialità ed abisso: se davvero la quotidianità dei temi avvicina il lettore al giornalismo locale e il giornalista stesso diventa parte della vita di chi lo legge, occorre da parte di entrambi un patto di onestà intellettuale che ponga al centro la qualità del raccontare, senza mezzucci ma con mezzi (tecnologici) sempre nuovi, anche e soprattutto in provincia.
 La sfida è aperta.

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Un commento a Quale futuro per l’informazione digitale?

  1. Sara Matijacic ha detto:

    Poche certezze, tante domande e tanti stimoli, su cui riflettere e lavorare. E soprattutto il bisogno di tanta tanta tanta formazione. E’ questo lo spirito giusto! Grazie e complimenti a Glocal, agli speakers e agli organizzatori!

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