23 Settembre 2014

A piedi da Londra a Trieste: Cambrai A.D. 1504

el sunto Continuano le puntate del diario del viaggio a piedi da Londra a Trieste di Nicolò Giraldi

Ndr. Continuano le puntate del diario del viaggio a piedi da Trieste a Londra di Nicolò Giraldi. Clicca qui per leggere le precedenti puntate.

Mi ritrovo al telefono con Guy Turpin, responsabile del Vimy Memorial: “Capisco il suo progetto, le intenzioni, la voglia di raccontare le persone che si spendono affinché la memoria della Grande Guerra venga portata avanti; tuttavia mi permetta di dirle che non posso autorizzarla a parlare con nessuno all’interno del sito. Il personale non è autorizzato a rilasciare dichiarazioni. Ulteriormente, se alla fine del suo viaggio potesse spedire il materiale video che ha registrato via email lo apprezzeremmo tanto, così potremo ispezionarlo e valutarne il suo utilizzo”.
Termini e condizioni d’uso. L’impiegata che mi fissa mentre parlo al telefono con il direttore è canadese. Off records mi dice che per lei “lavorare per il governo di Ottawa è motive di orgoglio, anche per il fatto che oltreoceano facevo fatica a trovare un lavoro, così ho deciso di volare in Europa”.

Dov’è il confine tra la fierezza ed il bisogno? Possono coincidere? Probabilmente sì. C’è un limite a tutto, credo. E questo limite, ascoltando le parole di questa giovane in uniforme, è quello di pretendere che dietro ad un lavoro sulla memoria non ci sia un bisogno materiale. Non lo trovava in Canada ed è volata qui da noi. Lo fanno tutti. Poi, c’è chi passa il tempo a pretendere.

La giornata ormai è inzuppata. Da capo a piedi. Quando finalmente arrivo ad Arras ed incontro Xavier che mi ospita, il mio livello di umidità ha raggiunto un livello non più sopportabile. Chiedo se posso farmi una doccia. Finita l’operazione lava e asciuga usciamo. Mi fa vedere Arras, finiamo in un pub irlandese che si affaccia sulla piazzetta. Ha avuto dei grossi problemi di salute, ora la sua vita è scandita dalla calma tranquilla di un’esistenza segnata. Torniamo a casa presto, la stanchezza si fa sentire anche per il fatto che l’indomani la strada per Cambrai è lunga.
Il mattino presto si presenta difficile. L’arteria che metaforicamente percorro è la vecchia strada romana. Un rettilineo lunghissimo, quasi 30 chilometri contornato da campi. I campi di battaglia sono un po’ dappertutto qui. Il primo cimitero dove mi fermo è Vis-en-Artois. Uno stormo di lapidi bianchissime, un cimitero curato come fosse appena finita la guerra e quando la tragedia della guerra era ancora ben viva.

Mi chiedo a cosa serva veramente questo centenario; quanto di vero c’è nel tener viva la memoria? Quanti soldi vengono spesi da ogni paese? Perché si tende ad identificare le commemorazioni del primo conflitto mondiale con qualcosa di occidentale? Perché tendiamo a ricordare solo i luoghi trasformati in luoghi di eroi, luoghi simbolo, luoghi persino irreali a volte. Come facciamo a distinguere la bontà di un lavoro? Quanto semplice è farsi inghiottire dal “retribuzione uguale sciacallaggio” e “volontariato uguale senza macchia”? Alcune di queste domande mi accompagneranno per tutta la durata del viaggio.

Quando arrivo a Cambrai il sole splende ancora alto. La partenza molto presto di questa mattina ha fatto in modo che io sia seduto in un caffè della piazza Aristide Briand già verso le tre di pomeriggio. La città mi riporta agli anni dell’Università, di quando sul Prosperi “Dalla Peste Nera alla guerra dei Trent’anni-volume primo” si intravedeva la Lega segreta del 1504. “Lo Stato veneziano era di tipo oligarchico: il patriziato cittadino deteneva tutto il potere e, sulla terraferma, ne delegava una parte ai patriziati delle città dominate. Ma questi non tolleravano la posizione subordinate e appena se ne offrì l’occasione abbandonarono Venezia e si schierarono con i vincitori. Invece, i contadini odiavano i signori locali e si sentivano legati a quell’oligarchia lontana che sembrava loro una garanzia di buon governo contro gli sfruttatori vicini. Le campagne scesero spontaneamente in lotta al grido di ‘Marco! Marco! Marco!’ La rovina della Serenissima fu evitata”.

Un pensiero mi attanaglia: quand’è che le campagne son diventate patriziato? ( continua )

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