11 Agosto 2014

La pace del 18

el sunto Fabio Marson, autore del blog mezzinudi, ci racconta il suo viaggio sulla linea 18, che collega Corso Italia con via Cumano

Linea 18 (Corso Italia – Via Cumano)
L’altro giorno mia nipote Sarah è uscita di casa intonando i canti degli alpini; pareva una di quelle ricostruzioni propagandistiche per reclutare nuove leve per il fronte russo. Dove li ha imparati? A scuola? Alla tv? No, da suo cugino Matteo, che di anni ne ha 6 ma già li conosce a memoria. “Bene”, mi son detto, “è tempo di farmi una cultura”. E così mi sono incamminato verso Corso Italia e sono salito sull’autobus numero 18, quello che porta al “Museo della Guerra per la Pace Diego de Henriquez”. È un museo appena aperto, e raccoglie una parte della vasta collezione bellica del triestino Diego de Henriquez. È gratis fino a settembre, quindi cogliete l’occasione.
targa sabaA bordo, in attesa di partire, mi incontro con il viso sorridente di Umberto Saba; è una targa, dritta davanti a me, posta a ricordare che lì, dove ora c’è un negozio di scarpe, sorgeva piazza San Giacomo con l’antico Caffè Tergeste, (“caffè di ladri, di baldracche covo”) di cui Saba era frequentatore. Ed è curioso pensare che l’autobus dove mi trovo fa capolinea proprio a Montebello, dove il poeta abitava (pare in Strada di Fiume, 141) e dove ha composto una delle sue poesie più famose: “A mia moglie”.
Mi volto per cercare qualcuno cui rompere le scatole, ma mi accorgo di avere davanti solo un branco di colli chini sui cellulari, come schiene di delfini al sole. Chiedo a una ragazza vicina a me dove si trovi il Museo Henriquez (non conosco la fermata esatta), quello di cui tanto si parla, e lei sgrana gli occhi come se le avessi chiesto dove poter acquistare un feto umano: “non lo so, non lo so!” mormora alzandosi e prenotando la fermata. Mi volto e rivolgo la stessa domanda ai restanti: nessuno, a bordo della 18, sembra averlo mai sentito nominare. L’autista, una tipa sorridente con un paio di occhiali da sole parcheggiato tra i capelli, guida fischiettando lungo Viale d’Annunzio, e sono felice che ci siano note di allegria su un mezzo mitragliato da tastiere di cellulari. Almeno lei mi sa dire dove scendere, anche se tradisce qualche titubanza. Mi domando come sia possibile, nell’anno del centenario della Grande Guerra, nel periodo dell’inaugurazione di un museo nuovo, impantanarmi in questa indifferenza. henriquez2L’anziano che si siede dietro di me mi rotea addosso gli occhi, così azzurri da sembrare tessere di mosaico. Domando la stessa cosa anche a lui, si china e mi ripete: “Rilke?”. “Non Rilke, Henriquez” gli sottolineo. Non ci sente molto bene e devo parlare forte. Lui annuisce, districandosi con lenti movimenti del capo in una ragnatela di ricordi. Non sa di preciso dove si trovi il museo, ma quel nome, Henriquez, lo conosce. O meglio, “l’ha conosciuto”. Ecco, sull’autobus che mi porta verso la collezione Henriquez, mi imbatto in un anziano triestino che l’ha conosciuto di persona. Per questioni d’ufficio, mi racconta sintetizzando, perché era interessato a quei cippi che stavano sul Carso, e che segnavano il confine con la Jugoslavia. Poi si sporge verso il mio orecchio per confidarmi qualcosa, reggendosi a un bastone da trekking: “un tipo strano, pare dormisse in una bara”. Scuce un ghigno divertito, e mi chiede di dove sono. Appena gli comunico che sono di Trieste pure io, ma che vivo a Roma da qualche anno, mi guarda pieno di compassione: “l’hai persa, la parlata di qua”.
Si alza a fatica e conficca il dito nel pulsante rosso della fermata. Solo ora vengo a sapere che ha 94 anni, portati magnificamente. “Ne ho passate tante durante la Seconda Guerra Mondiale” mi dice infine, in una stoccata decisiva da finale di scherma. E scende. Scende trascinandosi dietro una lunga scia invisibile intessuta di chissà quante storie che non conoscerò mai. L’invisibilità della Storia, penso, è ciò che la rende così maledettamente affascinante. E questi anziani testimoni, che come un branco di gatti se ne stanno per i fatti loro, ti regalano un biglietto per il passato solo se sai porre loro le domande giuste. Altrimenti niente, torna sul tuo smartphone e non rompere i coglioni. Al ritorno ritrovo la stessa autista dell’andata. Mi domanda scusa, perché forse mi ha dato l’indicazione sbagliata per il museo. Non lo era, e scopro in lei, dentro alla divisa della Trieste Trasporti, una triestina appassionata di musei, che guida la vettura descrivendo il Museo Revoltella e ricordando il Museo del Mare. All’Henriquez ci andrà presto, promette.
“Ora sulla 18 vedo anche giovani e turisti” dice accostando in Corso Italia “e credo sia una buona cosa, no?”

Fabio Marson
Scritto ascoltando “Biophilia” di Björk

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7 commenti a La pace del 18

  1. pagati ha detto:

    a parte la fantasia surreale dei titoli, questi articoli sono godibilissimi. e offrono dei validi suggerimenti per la scoperta degli aspetti meno noti di Trieste.

    se me capita un giorno de tempo mufo fin che son in ferie, fazo un salto a trieste e vegno a veder el museo

  2. sfsn ha detto:

    mi me risulta che dal 1912 al 1955 Saba ga abità in via Crispi 56 (Via Chiozza prima dela Katastrophe)

  3. skaiosgaio ha detto:

    Giusto, ma pare dal 1919, finita la guerra. Che Saba abbia scritto “A mia moglie” a Montebello è un fatto citato spesso. Ad ogni modo riporto una delle fonti: http://www.retecivica.trieste.it/new/admin/allegati_up/allegati//Saba_Low.pdf Grazie per la lettura e il commento!

  4. Dario ha detto:

    Certo il museo Henriquez no godi de una posizion privilegiada. Il triestin medio se movi in un perimetro estremamente circoscrito, e se in via delle torri xe il mondo, xe perché poco fora no xe più nissun. Ma questo no basta a spiegar la mancanza de interesse. I abitanti de ogni posto vivi una ben consapevole repulsion per i musei dela propia città, e no sa dove questi se trovi. Xe pei turisti, quasi fossi pertanto proibidi pei abitanti del posto o se vergognassi ad andarghe, che fossi da sfigai. Conosso gente che no xe mai stada al museo del Risorgimento, e magari neanche al feroviario. Iero sì, anche quel etnografico de servola e la Fondazion Scaramangà d’Altomonte, e me rendo conto de eser fra i pochi.

  5. michela ha detto:

    questione di gusti, e nient’altro. io ho cominciato ad andare per musei a 17 anni e nella mia vita ne ho visti di meravigliosi. forse, se quella volta ci fosse stato il cell, avrei passato anch’io il tempo con il collo, come un delfino al sole, chino sulla tastiera…. peccato che l’articoletto non ci racconti come ha trovato il museo. Mio marito c’è stato l’altro giorno e non ne era del tutto soddisfatto: pochi pezzi molto grandi e da interessare un esperto, non da accontentare gli occhi ad un pubblico digiuno di armi e artiglieria. A lui è piaciuto comunque, ma non crede vi sia un’esposizione di reperti dal grande appeal.

  6. skaiosgaio ha detto:

    grazie Dario, e sicuramente hai ragione. E’ fuori mano, ma se ho capito bene è stato messo a Montebello per avvicinare i turisti anche alle zone periferiche. E hai ragione anche sul resto: purtroppo è cosa comune (non solo a Trieste) non fare il turista della propria città. Pure io, che sono appassionato, non li ho ancora visti tutti i nostri musei!
    Cara Michela, non parlo del museo perché questa è una rubrica che tratta esclusivamente gli autobus (ho un blog: mezzinudi.com dedicato solo al trasporto pubblico, soprattutto romano). Sarebbe stato troppo lungo e fuori tema, e certamente ne hanno parlato altri con più competenza di me. A me non è dispiaciuto. Poi certo, come tutte le cose ha i suoi difetti: un percorso incompleto, meno pezzi di quanti ci si aspetterebbe, ecc…ecc…però non è così male come molti dicono, secondo me almeno. E il prezzo (al momento è gratis) è accessibile a tutti, cosa non da poco. Grazie per la lettura e il commento!

  7. bibliotopa ha detto:

    Sono andata un paio di volte assai comodamente con la 18 al Museo di storia naturale, al prossima volta sarà per l’Henriquez.. Entrambi i musei mi sembrano sempre in lavoro e immagino che continueranno ad esporre sempre di più col tempo.

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