30 Dicembre 2013

Il pensiero di Franco Basaglia, per un filosofo e due psichiatri

Venerdì 20 dicembre è stato presentato a Trieste Restituire la soggettività, il libro che raccoglie le lezioni universitarie di Pier Aldo Rovatti dedicate al pensiero di Franco Basaglia, tenute per il corso di Filosofia teoretica 2008-09. Il libro è pubblicato nella collana “Legge 180” delle edizioni Alphabeta Verlag, dedicata alla storia e all’attualità di esperienze legate a Basaglia e alla salute mentale.

A discuterne con il professore di filosofia da poco in pensione, e fondatore della scuola di filosofia di Trieste, c’erano due collaboratori e successori di Franco Basaglia, gli psichiatri Franco Rotelli e Peppe Dell’Acqua (che è anche direttore della collana citata); la presentazione, ospitata da Impact Hub Trieste, ha attratto un pubblico vario e numeroso.

Restituire la soggettività, che prende il titolo da una parola-guida dell’operare di Basaglia, non ha la canonica forma del saggio, e appare irrituale anche come corso di filosofia teoretica. Per il suo oggetto (il pensiero di Franco Basaglia non è comunemente considerato, fra gli addetti ai lavori, ‘filosofico’ in senso proprio), e anche per la forma: Rovatti costituisce il corso dialogando con una serie di ospiti che con Basaglia e il suo pensiero hanno avuto e hanno a che fare.

Alla fine della lettura si ha la sensazione di aver percorso un cammino, ascoltato un paesaggio, osservato punti notevoli da angolazioni varie e con lenti diverse. Anche se l’ultima parola del libro non viene pronunciata da Rovatti (né viene lasciata a Basaglia), ed è per di più seguita da un punto interrogativo.

Non c’è una verità sfuggente che viene identificata, inchiodata e sezionata, non c’è un distillato di parole d’ordine del pensiero basagliano né delle pratiche che da esso sono scaturite, ma senza dubbio avvertiamo che leggendo avviene una riflessione sul restituire la soggettività – passando per questioni problematiche come quella del corpo, della salute, delle istituzioni, del potere, del ruolo della psichiatria.

Questo circa il libro. E la presentazione? Sebbene il testo segua volutamente una piega filosofica, nell’introdurlo i due psichiatri si sono concentrati più sul versante della loro pratica. Rotelli ha, con una punta di polemica, asserito che oggi al nome di Basaglia si attribuisce un po’ di tutto, ma che per lui Basaglia è soprattutto chi ha trasformato un’istituzione e aperto nuovi spazi là dove prima c’erano muri, e che contro un’idea di filosofia che “riduce il molteplice a uno”, Basaglia ha sempre lavorato tenendo conto che si agisce sempre “tra due”. E ha ricordato che lo psichiatra stesso è “ritornato un soggetto” grazie all’azione di Basaglia, smettendo di essere un semplice funzionario della medicina e dell’ordine pubblico.

Peppe Dell’Acqua ha affermato che questo testo gli ha fatto riprendere un filo che forse nell’“urgenza delle pratiche” aveva  smarrito, quello della riflessione su quanto veniva fatto mentre si smantellava il manicomio lavorando con Basaglia. Ha poi spostato l’attenzione all’oggi, paventando un “rischio del grigio” per la generazione attuale di operatori della salute mentale, se di quanto è accaduto ai tempi della lotta per chiudere i manicomi si costruisce un ricordo fatto solo di luoghi comuni.

Ricordiamo che la morte improvvisa di Franco Basaglia, poco dopo l’approvazione della Legge 180 e il conseguente smantellamento dei manicomi, è stata una cesura drammatica per il movimento che aveva in Basaglia il teorico, il primo sperimentatore e anche (per quanto atipico) un leader carismatico. Ma, come ha sottolineato Peppe Dell’Acqua rispondendo a un’osservazione dal pubblico, “quegli anni non erano l’El Dorado: quella che tu ricordi con nostalgia è la tua giovinezza”. E tantissimo è stato costruito da allora a oggi, fino a fare di Trieste una città-modello per l’OMS circa i servizi di salute mentale.

Franco Rotelli (che ora è consigliere regionale e presidente della III commissione permanente, che si occupa di salute e servizi sociali) ha rimarcato che nelle istituzioni di oggi ci sono ancora molti muri da abbattere: quello dell’ospedale organizzato come una fortezza, quelli delle case di riposo che segregano gli anziani, quello istituzionale che pretende di separare la società in sani e malati, mentre lui auspica un modello di sanità che considera “la normalità” in un senso allargato, dove tutti siamo nello stesso tempo sani e malati, e non “al momento malati” in attesa di ritornare “normalmente sani” come ci vuole l’ideologia corrente.

Queste battaglie da combattere, assieme a quelle per difendere il modello territoriale di assistenza nato dall’esperienza basagliana, sono oggi il campo della questione secondo Dell’Acqua e Rotelli, che sembrano entrare in dialogo con la posizione di Rovatti solo fino a un certo punto. Come se cercassero nella filosofia proprio ciò che Rovatti vuole evitare che essa fornisca: un punto di appoggio, una leva teorica in base alla quale giustificare delle pratiche consolidate che, ci pare lecito immaginare, Basaglia stesso avrebbe discusso e rivoltato ancora e senza posa.

Come chiarisce nel suo intervento, Rovatti vede in questa non-chiusura e nella continua critica rivolta da Basaglia anche verso se stesso un radicale gesto di sospensione. Ciò pone il suo pensiero al riparo dalle facili appropriazioni, non solo da parte dei tecnici della salute mentale (favorevoli o detrattori che siano), ma anche della stessa filosofia, che dalle vicende legate all’ex manicomio può imparare a non avere troppa fretta nel rispondere a domande come “che cos’è un soggetto?” o “cosa vuol dire restituire la soggettività?”.

Risultando un invitato scomodo, il pensiero di Rovatti su Basaglia mette in luce le inevitabili contraddizioni nelle posizioni dei due psichiatri: dopo aver vinto in una lotta contro l’istituzione manicomiale si sono trovati a partecipare dell’istituzione stessa, per quanto criticamente. E a dover difendere da molteplici attacchi un “nome del padre” al tempo stesso ingombrante e sfuggente, facendosi custodi (e forse più custodi che eredi) della sua parola e delle sue pratiche – rischiando al tempo stesso di tradirne le intenzioni.

Ovvero, come si chiede Maria Grazia Giannichedda nella domanda che chiude il testo del corso: “Questo movimento [verso un’“utopia della realtà”] ha bisogno del sabotaggio, ma non si può vivere sempre in bilico, quindi c’è anche bisogno di una costruzione positiva. È possibile inventare istituzioni che sopportino il sabotaggio, cioè che lo includano nella loro logica?”

4 commenti a Il pensiero di Franco Basaglia, per un filosofo e due psichiatri

  1. Fulvio Rogantin ha detto:

    Spero che nel libro da qualche parte sia scritto che l’immagine di copertina è di Ugo Guarino. Piccola cosa ma di solito viene dimenticata da chi scrive libri o stampa magliette all’interno del comprensorio.

  2. Paolo Stanese ha detto:

    Sì, è citato nei crediti. Dell’Acqua ha anche detto che si farà una mostra su Ugo Guarino nel 2014… vedremo!

  3. Fulvio Rogantin ha detto:

    Lunga la storia della mostra…intanto potrebbero fargli avere i soldi che guadagnano stampando le magliette con suoi disegni o avrebbero pituto salvare la scritta “La libertà è terapeutica”

  4. Vittorio Veneto ha detto:

    “Questo movimento [verso un’“utopia della realtà”] ha bisogno del sabotaggio, ma non si può vivere sempre in bilico, quindi c’è anche bisogno di una costruzione positiva. È possibile inventare istituzioni che sopportino il sabotaggio, cioè che lo includano nella loro logica?”

    Le solite sbrodolate da anni 70 rigorosamente in psichiatrese “‘dde sinistra”sempre con il ditino alzato contro stato e istituzioni ma casualmente pronunciate da bocche che hanno sempre mangiato il pane dell’aborrito governo”borghese”.
    Nel mondo reale io da voi vedo solo produrre emarginati tristi e poveri costretti in qualche coop sociale a ramazzare strade per due soldi o con l’ipocrita elemosina delle “borse di lavoro”, e tanti baroni e baronetti e relativi cerchi magici che viaggiano in giro per il mondo a conferenze e chiacchere infinite.

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