10 Dicembre 2013

Visti dall’estero 3 – la caserma di via Rossetti

Foto di Marko Civardi

Passato san Nicoló, le Primarie del PD e l’albero striminzito di piazza della Borsa, torniamo ad occuparci di un tema leggermente piú importante per la città di Trieste: la situazione della caserma Vittorio Emanuele III di via Rossetti.
La caserma che ha ospitato per decenni il I Reggimento san Giusto ( reggimento che puó vantare di essere il piu antico d’Italia ndr ) ora è in stato d’abbandono. Nelle scorse settimane si sono verificati alcuni blitz guidati da forze autonome per sensibilizzare l’opinione pubblica triestina ( sempre difficile da rendere partecipe ) sulle pietose condizioni in cui versa l’area.
Intendiamoci, molte palazzine erano state ristrutturate da poco. Il sottoscritto ha svolto il servizio militare lì dentro tra l’autunno del 2004 e quello successivo, terza compagnia Draghi. Durante l’anno avevano messo a nuovo, ad esempio, la palazzina dietro la piazza d’armi, quella attaccata allo spaccio dove durante le pause si andava a prendere il caffè. Ed era fatta molto bene.
Per quanto riguarda le altre, già all’epoca erano malconcie. Gli ultimi militari del I Rgt. San Giusto se ne sono andati dal 2008, anno in cui l’area è stata dismessa, chi trasferito in giro per l’Italia, moltissimi finiti tra il commando di via dell’Università, il reggimento Piemonte Cavalleria ad Opicina, o comunque in zone limitrofe. Un determinato garantismo tipicamente triestino aveva contagiato ovviamente anche il Ministero della Difesa.
Il Rgt. San Giusto negli ultimi anni era considerato, dai militari di carriera, uno dei posti peggiori dove venir assegnati. Con palazzine capaci di ospitare centinaia di persone ( le leggende parlavano di oltre 2000 persone in tempi in cui l’Italia gestiva un esercito di leva permanente pari a 2 milioni di militari ), nel passaggio lento dalle reclute ai volontari ( proprio a cavallo tra il 2004 e il 2005 ) la caserma di via Rossetti ha visto il suo peggior momento.
Il Centro di Addestramento Reclute ( poi cambiato nel nome ) riceveva pochissime persone da adddestrare. La capacità di ospitare centinaia di soldati strideva quando arrivavano blocchi ogni 7 settimane di 30 persone. L’iter programmato dal reggimento era quello solito: vestizione, visite mediche, e tour annesso per mostrare la loro casa per i due mesi successivi. E poi via a marciare, imparare a montare e smontare l’AR70, andare in poligono e conlcudere il tutto con il giuramento.
Ricordo che militari di carriera, provenienti da altri reggimenti della regione ( Pozzuolo del Friuli, Genova Cavalleria, Elicotteristi di Casarsa o per finire alpini ) e spesso impegnati in missioni in giro per il mondo, quando arrivavano in via Rossetti mostravano tutto il loro sconforto. Si sentivano come animali in gabbia, professionisti legati ad un sistema che mostrava tutti I suoi limiti.
C’erano tanti ufficiali e sottoufficiali che passavano il loro tempo a far passare il tempo. “Non passa un c….” era divenuto il manifesto di una caserma dove nessuno avrebbe voluto finire. Lo Stato Maggiore dell’esercito e il Ministero della Difesa avranno pensato che in fondo, mantenere una caserma enorme per quattro gatti, non ne valeva la pena.
C’erano tante leggende che aleggiavano nella caserma. Quella di un sottufficiale che faceva normalmente benzina in caserma a gratis, quello che passava le giornate a ingerire liquidi non propriamente ammessi durante il servizio, o le foto degli ufficiali che praticavano il nonnismo a ufficiali appena arrivati. O ancora la rete di gallerie sotterranee che proprio da sotto la piazza d’armi partivano per giungere in città, costruite per garantire la difesa di Trieste in caso di un attacco jugoslavo.
Ce n’era una poi che in paricolare suscitava la curioisità delle reclute e che sembrava sfortunatamente esser entrata nel tessuto sociale della caserma. Era quella di una recluta messa dai “nonni” a fare “il termometro” fuori dalla finestra, sul cornicione, al freddo d’inverno. Sempre secondo la leggenda, il ragazzo non ce la fece, e cadde nel vuoto, morendo sul colpo. La storia, come veniva raccontata da chi l’aveva sentita raccontare anni prima, sembra venne insabbiata per garantire l’impunità ad un sottoufficiale di servizio quella sera e che avrebbe dovuto essere responsabile della caserma essendo il piu’ alto in grado in quel momento.
Molti indicano la storia come una leggenda. Online non si trova niente. Effettuare una ricerca piú approfondita potrebbe rivelarsi un fallimento o comunque impresa ardua, sempre che si dia per vera la leggenda, o la vox populi dei soldati.
Seguendo la situazione odierna c’è da dire che trovare la soluzione per sbloccare l’area dovrebbe essere tra le priorità di una giunta comunale impegnata spesso in altri dibattiti. I blitz effettuati le scorse settimane sono stati funzionali a porre l’attenzione su di un problema di grandi dimensioni. L’idea di creare un polo scolastico sarebbe fantastica. L’investimento necessario dovrebbe aggirarsi intorno a non meno di qualche decina di milioni di euro. Ed il Comune di Trieste in questo momento non li possiede. Aprire ai privati? Sarebbe un’idea, ma successivamente il pubblico potrebbe non avere piú lo stesso controllo. Il recupero dell’area è fondamentale come lo è il porto vecchio. Si parla di 12 ettari abbandonati nel cuore di Trieste e che potrebbero dar nuova linfa alla città.
Che le prossime elezioni segnino finalmente l’abbandono della propaganda sul porto vecchio e l’inizio di quella sulla caserma? Troppo presto per dirlo, anche per il fatto che durante il blitz, a rappresentare la classe politica c’era il solo De Carli.
Saba diceva che via Rossetti era la via della gioia e dell’amore. Di esse, dentro la caserma, sembrano essersene definitivamente perse le tracce.

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