31 Agosto 2012

“La vera crisi, per una città leggendaria come Trieste, è essersi normalizzata”

Aperto verso i Balcani, il porto è ancora impregnato di Mitteleuropa. Al Caffé Tommaseo la sua identità meticcia ha cancellato i ricordi di Gabriele D’Annunzio e dell’irredentismo degli anni Venti. Tra turisti italiani e Jugonostalgia, i suoi cittadini invecchiano e restano passivi di fronte alla crisi.

Ha appena concluso il suo discorso. Gli occhi fiammeggianti, i sottili baffetti ben lisciati, Gabriele D’Annunzio si pavoneggia, nella foto, nell’uniforme che indossa in modo eccentrico con un papillon e un pugnale appeso in vita.
La sala principale del Caffé Tommaseo, uno dei primi di Trieste, inaugurato all’inizio del 1830 nel grande porto austro-ungarico, sembrava interamente avvolta dal fumo dei sigari. All’interno, protetta dal sole dell’agosto 1919, una bizzarra riunione di nobili italiani, avventurieri e disertori dell’esercito sconfitto degli Asburgo.

Autore ammirato in tutta Europa, veterano della Grande Guerra appena conclusa, il cantore dell’”irredentismo” italiano ha convocato qui lo stato maggiore della sua “legione”. Obiettivo: riconquistare Fiume – oggi Rjieka, in Croazia – e tutti i territori della costa adriatica di popolazione a maggioranza italiana.
Fuori, sulla piazza che si affaccia sul porto, una folla eterogenea di volontari, di curiosi e di ufficiali senza dubbio preoccupati per questa eccitazione. Alle porte dei misteriosi Balcani che si aprono appena superata Opicina, Gabriele D’Annunzio va ripetendo da più giorni che la giovane Italia, potenza vittoriosa, otterrà con la forza la sua parte dallo smembramento dell’Impero austro-ungarico. E poco importa se dal promontorio di Miramare, dove si addossano le une alle altre le loro ricche ville, le grandi famiglie di armatori greci, di mercanti armeni e di banchieri ebrei lo prendono in giro. Il “poeta con l’elmetto” – di cui il giornalista francese Albert Londres tesserà ciecamente le lodi una volta che Fiume verrà conquistata nel dicembre 1920 – giura che il suo nazionalismo trionferà sulla diplomazia. Germe del fascismo che sta per nascere.

Matteo, il libraio di via San Rocco incontrato ieri sera nei tavolini all’aperto dello stesso Caffè Tommaseo, chiude il suo album preferito di vecchie fotografie. Sembra così lontana questa febbre nazionalista degli anni Venti nella Trieste meticcia di oggi, bloccata, secondo le parole dello scrittore e viaggiatore Claudio Magris, tra una “venezianità aperta e una Mitteleuropa problematica” …
Sabrina Morena ci ha raggiunti. Drammaturga, è autrice di Viaggio di Caterina, ispirato al processo, svoltosi alla fine dell’Ottocento, di una domestica arrivata dalle campagne friulane e accusata di infanticidio nella Trieste ricca e cosmopolita. Direttrice del festival culturale “S/paesati”, dedicato alle minoranze, mentre una giovane solista si accomoda al grande pianoforte a coda, ci conferma: ”Trieste resta prima di tutto una città di frontiera. Non è una città di certezze, ma di indecisioni. Il suo universo non è l’Italia, ma l’Europa centrale.”

Ma allora come ha potuto dubitarne D’Annunzio, il poeta guerriero? Nel meraviglioso contesto urbano di Trieste, costruito dai migliori architetti del fiorente impero austro-ungarico alle soglie del XIX secolo, tutto conduce a questa variopinta identità di cui il Caffè Tommaseo è testimone. Proprio lì accanto si trova la chiesa bizantina della comunità greca, i cui discendenti si dice posseggano ancora una grossa parte del patrimonio fondiario della città. A meno di duecento metri, di fronte al Canal Grande, l’imponente cattedrale della comunità serba, la principale della città. “Il Tommaseo rappresenta la Trieste avventurosa, miniera di sogni e miraggi.” Matteo, il libraio, ce lo aveva già annunciato. Il luogo ideale, quindi, per raccontare la storia di questo porto ritornato a far parte dell’Italia nel novembre del 1954, dopo essere stato per dieci anni un “territorio libero” dell’ONU. Addossato all’altro muro che divideva l’Europa, quello della Jugoslavia. Seduti nei tavolini all’aperto poco distante, quattro pensionati triestini hanno appena preparato la scacchiera. Il Piccolo, il quotidiano locale, pubblica il programma dei concerti della sera in Piazza Verdi, dove magazzinieri sloveni e croati si danno da fare. Sabrina Morena, francese da parte di madre, sorride guardando la nostra lista dei bar e dei luoghi emblematici, appena estrapolata da Microcosmi e Danubio, due delle opere di riferimento di Claudio Magris.

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29 commenti a “La vera crisi, per una città leggendaria come Trieste, è essersi normalizzata”

  1. MassimilianoR ha detto:

    Nulla di nuovo sotto il sole… Se leggete “L’Espresso” della settimana scorsa, c’è un articolo simile che parla dell’indolenza di Trieste. A molti fa ancora piacere sentirsi rovesciare addosso luoghi comuni ormai ingialliti (Vienna, Caffè, Lloyd, etc.): unico modo per fingere di sentirsi grandi. Fino a che si continuerà a camminare con la testa rivolta all’indietro, andremo sempre a sbattere, dolorosamente.

  2. MassimilianoR ha detto:

    basterebbe che i giornalisti e gli intellettuali che ancora si meravigliano dello stato in cui versa Trieste, invece di farsi domande e darsi risposte su ciò che ERA Trieste, ponessero e (si) ponessero la domanda su ciò che SARA’ Trieste. Penso che avrebbero delle difficoltà a riempire anche due righe…

  3. Marne ha detto:

    Resto sempre allucinato da questi articoli su Trieste scritti da giornalisti “sui generis”. Tutti uguali, cambiano solo gli errori, sempre più improbabili. Al di là delle panzanate e del trito e ritrito, i supposti inviati a Trieste collezionano in poche righe un numero iperbolico di sbagli, assurdità, imprecisioni, che fa capire che in realtà mai sono stati a Trieste ma hanno copiato da vecchi articoli solo che essendo di madrelingua afghana han capito poco o nulla e quindi hanno copiato davvero male

  4. Bibliotopa ha detto:

    “Piazza Ponterosso, oggi un parcheggio, non ospitava un tempo uno dei più grandi mercati all’aperto d’Europa? I frigoriferi, le cucine a gas, montagne di vestiti si ammassavano sui tetti delle macchine in partenza verso il paese di Tito”. Elettrodomestici nel mercatino di Ponterosso? non ricordo, io ricordo abiti e le famose bambole, le “pupe”

  5. Marne ha detto:

    Holetto l’articolo sull’Espresso. Che la situazione della città sia quello che è sarà certo vero, ma che uno scrittore triestino per descrivere la città ai lettori della rivista si limiti alla risiera e al manicomio di san giovanni, fa davvero ribrezzo. oltretutto colle solite frasi ritrite sull’italianizzazione del retroterra e mussolini. Ciò può interessare ad anche solo 1% dei lettori dell’espresso, ??? ma per favore ….

  6. Sandi Stark ha detto:

    Irreddentismo nei anni ’20 e Impero Austro Ungarico nel 1830. Comunque el conossi Trieste più della media dei ‘taliani.

  7. Sandi Stark ha detto:

    @6 pazienza se i gavessi “italianizzà” l’entroterra, ma anche la città stessa. Primo Esodo Triestin: 40.000 cittadini dopo el 1918. Secondo Esodo Triestin: 30.000 cittadini dopo el 1954.

    Alla fine, la città ga perso 100.000 dei suoi abitanti originari, che adesso i xe stimabili tra 1/3 e metà della popolazion.

    I triestini xe “indolenti”? Sarà, ma se la maggioranza dei cittadini xe immigrati, bisogna spartir le colpe.

  8. omo vespa ha detto:

    …”e (si) ponessero la domanda su ciò che SARA’ Trieste. Penso che avrebbero delle difficoltà a riempire anche due righe…”

    purtroppo applicabile a tutta italia. paura del futuro e di qualsiasi minimo cambiamento, ormai e nel nostro DNA.

  9. Fabio27 ha detto:

    Uno che va a chiedere a un traffichino di lungo corso come Rosso Cicogna informazioni sull’economia triestina ha bisogno di una bussola. E poi i richiami al Vate, come se fosse lui il fenomeno: no, era il clima italiano drogato dalla vittoria che era così, inclusa la struttura dello Stato, che ben prima del fascismo cominciò a lavorare all’italianizzazione forzata. E poi nessuno racconta la guerra del capitalismo italiano alle imprese triestine e giuliane, guerra che non è finita, visti gli sforzi delle ferrovie statali per impedire il funzionamento del porto. Questa è la sostanza, il resto è la solita fuffa balcanico-centroeuropea.

  10. Macia ha detto:

    “ex palazzo della Lloyd Adriatica ora diventato Prefettura…”

  11. mutante ha detto:

    ancora un luogo comune, e vomito.

  12. MassimilianoR ha detto:

    Trieste “caralcore”‘…

  13. sergio zerial ha detto:

    Trieste “caralcore”‘…

    ma di chi?????

  14. MassimilianoR ha detto:

    @sergio zerial: era solo x aggiungere un altro luogo comune con cui solitamente si aprono gli articoli di qualche grande giornale.. 😉

  15. Antonio ha detto:

    Articolo stereotipato: un altro esempio di “Mitteleuropa in fac-simile”…

  16. Fiora ha detto:

    mammamia che accozzaglia di dejà vu.
    Roba da Ente Turismo…cosa s’ha da scrive ‘ppe magnà! 🙁

  17. Gnotul ha detto:

    Sogni di gloria quelli dannunziani.
    Va detto che i ricordi aiutano a sognare, non certo a vivere.
    La città, piuttosto, pensi seriamente a ritagliarsi un suo ruolo; le menti fertili che pur ci sono si impegnino a chiedere per la città e la sua provincia lo status di “Città metroplitana”.
    Solo così Trieste può pensare a un suo ruolo preciso, con lo sguardo che mira lontano.
    Diversamente, sarà un procedere guardandosi a testa bassa le scarpe; e questo comporta un lento ma ineluttabile declino.
    Di fatto, la città ha necessità di implementare le attività portuali, tanto nel turismo, quanto nelle merci.
    Può tornare ad essere una città di primordine in questo ambito, cercando in proprio i capitali e assumendosene il rischio di impresa.
    Notoriamente ora, la trippa per i gatti, la finanza statale “on demand”, signori miei, é finita!

  18. effebi ha detto:

    ogi iera cussì caldo che se podeva andar ancora in acqua

  19. stefano franco ha detto:

    dal 1918 trieste è finita!!!!!! da unico porto di un impero senza il mare a ultimo porto di una di una repubblica( si fa per dire) piena di porti!!

  20. effebi ha detto:

    oggi piovi

  21. effebi ha detto:

    go dito mi che pioveva…

  22. michele rumiz ha detto:

    Ragazzi, ripubblicare un articolo già apparso su internazionale, che a sua volta è una traduzione di un altro articolo, è la morte del giornalismo. Mi pare che bora.la abbiamo bisogno di un defibrillatore.

  23. aldo ha detto:

    ciò Michele, gavemo capì che ti te son cussì superfigo che te legi l’Internazionale, ma al popolino che al massimo legi sule Segnalazioni i articoli in dialeto de Paolo Rumiz come quel de ogi, al popolino come noi lassighe la posibilità de leger qua un articolo su Trieste

  24. MassimilianoR ha detto:

    Questo articolo(???) è una marchetta mal riuscita. All’estensore posso solo dire: cari, cari saluti.

  25. Zobi ha detto:

    A legger i commenti qui pare che ogni italiano o europeo oltre il Tagliamento non capisca nulla di Trieste! La realtà è che per l’italiano medio (ma anche non medio, anche uno che ha studiato un po’) Trieste appare proprio così, mezza austriaca e aperta sui balcani, basta la pietra bianca all’obelisco per dirlo.
    Però capisco che debba essere un po’ frustrante e dico: raccontàtecela voi trestini, Trieste. Ma non con un libro, una storia, un’autobiografia. Così sarebbe facile, non dovendo far sintesi. Provateci con un articolo, come foste un corrispondente che scrive ai suoi lettori a Milano, Roma, Parigi, New York. E’ una bella sfida, provateci

  26. GIAMPAOLO LONZAR ha detto:

    @27 ZOBI : In genere comincia così :

    ” Il 30 Settembre del 1382 Trieste fece atto di dedizione all’Austria ….
    …forbici di censura….
    poi dal 1947 al 1954 fu costituito il T.L.T.
    …forbici di censura….
    …. esuli…emigrazione in Australia…
    ….forbici di censura…..
    città cara al cuore…. italianità.
    A Trieste NO SE POL dir la verità perchè
    i ‘taljani NO VOL

  27. MassimilianoR ha detto:

    @ZOBI: c’è un esempio illustre e contemporaneo che si chiama Paolo Rumiz. mi sembra che nessuno meglio di lui riesca a raccontare veramente Trieste com’è e non com’era o come si vorrebbe fosse…

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