7 Luglio 2012

The Cult a Kino Siska: l’adolescenza di un ragazzo infelice degli anni 80 in scena a Lubiana

Era il 1987 e dopo scuola, Riccardo ed io bivaccavamo sul muretto davanti la scuola Codermaz, ai margini di quella balconata che affaccia sulla rotonda del Boschetto. Le nostre discussioni erano prevalentemente tese a rafforzare la convinzione, se mai ce ne fosse stato bisogno, che i Duran Duran fossero il Miglior Gruppo Della Storia Della Musica. All’epoca le donne ci apparivano come creature mitologiche e misteriose, con una grazia indecifrabile ma inavvicinabili per troppa timidezza. Ce n’era una diversa dalle altre, di cui manco ricordo il nome, forse Michela o che ne so; aveva gli zigomi resi innaturalmente rossi dal fard, il naso di Claudia Brücken, le occhiaie scavate e un assurdo taglio di capelli alla Siouxie; la sua voce, rispetto al nostro squittire di quattordicenni con i baffi d’ovatta, suonava incredibilmente adulta, con le ottave basse rese granulose dal fumo di sigaretta. Aveva un aspetto trasgressivo e vissuto che per noi era una garanzia di autorevolezza, doveva saperne di cose. Ricordo che un giorno nel consueto tourbillon di prese per il culo che toccava ad ogni duraniano maschio adolescente ci mollò li un ammonimento”i Duran Duran xe roba de fenoci, i veri omini scolta robe tipo i Cult”. Erano anni in cui errate scelte musicali potevano costarti care, rischiavi di pagare lo scotto dell’ emarginazione, della solitudine e dell’isolamento sociale come neanche per certe malattie della pelle. Io e Riccardo ci guardammo riconoscendo nello sguardo dell’altro la consapevolezza che dovevamo fare qualcosa per il nostro futuro, per cui ci procurammo una cassetta di Love, copiata da qualche fratello maggiore.

L’ascoltai per la prima volta risalendo il viale, dopo che avevo avuto l’agognata c60 davanti a Ricordi in via San Lazzaro (solo oggi mi sovviene il risvolto simbolico di questa cosa); quella era un epoca in cui tutto quello che doveva succedere succedeva in quel chilometro che separava il Perseo da Ricordi. Già in via Mazzini, hic sunt leones. Avevo un bellissimo walkman rosso, regalo di natale dei miei. Ricordo nettamente che estrassi Notorious mentre andava A matter of feeling e ci infilai questa TDK con delle curatissime scritte a penna; se non curavi la grafica delle tue cassettine, a quell’epoca, non potevi essere una persona ok.

Camminavo con le mani nelle tasche davanti di un parka da metalmeccanico fregato a mio padre e credo piovigginasse fitto: non ne sono certissimo ma la scena dovete immaginarvela così, funziona molto meglio di un pomeriggio di sole, narrativamente parlando. All’altezza del negozio di tappeti della famiglia di Toni partirono quelle 3 note di chitarra con cui inizia Rain e in quei 3 passi che mi separavano dal cinema Nazionale avevo già in cuffia il riff micidiale con cui Billy Duffy avrebbe monopolizzato le mie attenzioni, e non solo le mie, per tutta l’adolescenza. I veri uomini ascoltano questa roba qui -pensavo-, dice bene Michela o che ne so. Abituato a quei giri di synth un po’ ruffiani di Nick Rhodes o alle strizzate d’occhio di Simon le Bon ascoltando Rain mi pareva di essere entrato in un mondo di gente tosta, forgiata dalla vita. Il canto straziato di quella chitarra erano le fanfare che annunciavano la carica di una cavalleria che solo io mi immaginavo, ma che ogni adolescente si immaginava sentendo quel pezzo. Il basso martellante di She Sells Sanctuary mi si parò davanti che ero già in piazza Volontari Giuliani e il riverbero della chitarra con cui giocava a rimpiattino pareva provenire dalla sottostante galleria dei treni. “And the world turn around – Yeah, the world drags me down”, Astbury pareva ululasse come un licantropo.

Andai fino a casa a piedi, esperienza inedita per un adolescente prigro come solo un adolescente pigro può essere. Volevo sentire come finiva questa tempesta ma feci a tempo a finire il disco e a bruciare metà carica delle mie stilo per tornare ancora su Rain. Non avevo a disposizione una Bic, altrimenti avrei provveduto come ogni ragazzo dell’era delle musicassette avrebbe saputo fare.

Tutto questo per dirvi che i Cult sono ancora dei fighi pazzeschi, che Astbury è sfiatato ma il timbro di quella voce fa venire i brividi, che Duffy ha l’aria di un minatore vittima della Thatcher che incontri ubriaco in un pub di Sheffield ma quando impugna la sua Gretsch bianca pare uno sciamano. Tutto questo a Kino Siska, nella torrida sera del 4 luglio 2012.

Tag: , , , .

12 commenti a The Cult a Kino Siska: l’adolescenza di un ragazzo infelice degli anni 80 in scena a Lubiana

  1. DaVeTheWaVe ha detto:

    bel articolo Roberto!

  2. Jasna ha detto:

    “Non avevo a disposizione una Bic, altrimenti avrei provveduto come ogni ragazzo dell’era delle musicassette avrebbe saputo fare.”

    😀 noto che utlimamente imperversa nel web l’occultamento dell’arcano segreto alle generazioni più giovani, ahaha 😀

    Bellissimo articolo!

  3. capitano ha detto:

    Te infilavi la bic nella bobina traente e te giravi a mo di scarasule la cassetta per riavvolgerla e risparmiar sulle batterie 😉
    In fatto di hobbistica musicofila io mi spingevo fino al taglia e incolla del nastro per creare cassette che finivano proprio al termine dell’ultima canzone del lato più lungo (e creando altresì un effetto ‘casseta originale’ su quelle registrate) 🙂

  4. Jasna ha detto:

    No ma capitanoooooooooooooo

    Hai vanificato pagine e pagine web di informazioni criptate per adepti delle cassettine!! 😀

    Con cosa incollavi il nastro? Non pensavo si potesse maltrattarle così!

    Io al massimo usavo cassette vecchie per registrare altre cose.

  5. capitano ha detto:

    Scoć 🙂

  6. capitano ha detto:

    Ovviamente poi iera quei che scriveva i titoli a man sul cartoncin delle cassete in un stampatello incerto (l’interriga iera minimo) e i professionals che ghe tigniva alla forma (machina de scriver o addirittura il computer).

  7. ufo ha detto:

    Per i apasionadi de archeologia industrial: sia Bostik che SuperAttak i andava benissimo per tacar insieme el nastro. Guanta cora oggi.

  8. Jasna ha detto:

    @ufo Sì ma dopo suonava bene? Non si inceppava? Sta cosa devo provarla… ma non credo di avere più cassette

  9. ufo ha detto:

    Sonar sonava, ben quanto poteva farlo un toco de plastica smacado no tropo delicatamente in un autoradio ssai economica colegada a un impianto meso insieme “basta che soni”. Incepar se incepava anca, sicuro, ma no più che una caseta nova – come dir che se incastrava comunque, no iera colpa dela zonta. Zerto che l’idea de butarla via e de comprar una casseta nova no ne pasava per la testa nianca morti – saria stà soldi butai, e no ne vanzava. Alora daghe sovrapor quatro-zinque milimetri de nastro, una ioza de colla e sei-oto ore nela morsa de un ciapin che lo tegni insieme fin quando xe suto.

    Go però de dir che nissun de noi fazeva le manovre che diseva el capitano solo per scurtar el nastro e sparagnar baterie. Col autoradio no iera un problema le baterie, iera solo i nastri che se ingropava drio man e qualche volta i se disfava proprio. Colpa del autoradio cul, pensavimo al epoca. Pensandoghe desso, forsi anche el stile de guida “entusiasta” che gavevimo pol gaver contribuido a scassar nastri e mecanismi fora modo (special modo quando che l’autoradio la iera montada sula Vespa). Altri tempi , mp3 no ga de sti problemi. Pecà che no xe più la musica de quei ani, però.

  10. capitano ha detto:

    Chiedo venìa ma il discorso de scurtar la cassetta iera un fià più complicado.
    Datosi che il mangianastri se magnava letteralmente il nastro con risultato ingropatorio, qualche volta me xe sucesso de voler recuperar la cassetta o parte dovendo amputar la parte smagnuzada e applicando il metodo ‘taia e cusi’ de cui sopra.
    No me sarìa mai sognà de scurtar solo per meri fini estetici una cassetta ( a meno di esplicita richiesta ). Se la riempiva de solito tutta de musica grazie alla spravvenuta capacità stima del tempo residuo basada su attenta analisi oculare della quantità de nastro rimasto. 🙂

  11. capitano ha detto:

    Xè anche bel saver dove che finiva tutti i soldi che le major gà ingrumado vendendo cassette (e non solo)

    http://ilpiccolo.gelocal.it/cronaca/2012/07/11/news/il-produttore-di-hollywood-attracca-alla-marittima-1.5386813

  12. ufo ha detto:

    Almeno qualcossa xe servido! Che se i schei restava in scarsela nostra andava finir tuti in peteš…

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *