19 Maggio 2012

La centrale cui Muggia disse di no, un precedente da non dimenticare

Chi ricorda la storia della centrale termoelettrica a carbone che l’Enel voleva impiantare a Trieste? Val la pena di ripercorrerla, perché può risultare istruttiva.
Eravamo alla metà degli anni ’80, politicamente un secolo fa. Non c’era l’ombra di politici inneggianti al federalismo e alle scelte demandate al territorio, se non alla secessione. Ma l’autonomia era presa sul serio dal governo regionale sostenuto dal pentapartito, sotto la presidenza del dc Adriano Biasutti da Palazzolo. Questi era inizialmente favorevole, in linea di massima, a un insediamento che avrebbe potuto offrire lavoro e royalties. Ma si costituì un coordinamento di base, il “Comitato di garanzia”, eterogenea pattuglia di cittadini, e dal momento che la centrale sarebbe dovuta sorgere nel perimetro comunale di Muggia, si attivò in prima persona anche il sindaco Willer Bordon, futuro ministro dell’Ambiente (oggi tra i firmatari dell’appello per far conoscere e discutere il progetto Gas Natural), che, compattamente sostenuto dal suo consiglio, indisse un referendum.
Biasutti prese atto della contrarietà di Trieste al progetto, e rispose picche all’allora presidente dell’ente elettrico nazionale Francesco Corbellini. All’Enel, che sosteneva la competenza del Cipe, Comitato interministeriale per la programmazione economica, il presidente mandò a dire che, di fronte a un tentativo di imposizione da parte di Roma, il Friuli Venezia Giulia avrebbe rivendicato il proprio status di Regione autonoma.
Pur se il ricorso allo “scudo” della specialità venne fatto apertis verbis, la vicenda ebbe nei fatti uno svolgimento sfumato.
La Regione incaricò un comitato scientifico di verificare la compatibilità del progetto con la situazione ambientale e operativa di Trieste. Questa produsse un parere in cui si subordinava la costruzione ad una serie di severi vincoli, come i carbonili chiusi (mai usati in Italia), lo scarico al largo dell’acqua di raffreddamento, (per non alterare la temperatura del mare), il radicale abbattimento delle emissioni gassose e solide (per il particolato addirittura il 99,7%) e l’elevazione della ciminiera a oltre 200 metri per favorirne la dispersione.
Qualcuno disse che, a un no impugnabile, si era preferito un “sì, ma…” irto di prescrizioni ben motivate. Che si era voluto far capire come la costruzione di un impianto fortemente impattante a due passi da una città densamente abitata, posta nel budello terminale dell’Adriatico e affacciata su un ecosistema delicato, fosse poco sensato anche dal punto di vista economico, considerate le garanzie necessarie.
Andò a finire che che il progetto pian piano evaporò nel silenzio (di ipotesi per centrali termoelettriche ce n’erano sei, un po’ come succede oggi per i rigassificatori). A giocare un ruolo importante, nel silenzioso abbandono, fu probabilmente anche l’accenno (una riga, quasi en passant, a conclusione di 200 pagine serratamente analitiche) alla “possibile esportazione di impatti”.
Ovvero al fatto che l’attività dell’impianto avrebbe necessariamente coinvolto l’ecosistema del Nord Adriatico, la cui costa orientale apparteneva a un altro Paese (ai tempi, la Jugoslavia).
Ai cittadini, poco meno di trent’anni fa, si chiese dunque un “consenso informato”. Adesso questo punto non sembra essere all’ordine del giorno. E il pronunciamento negativo dei consigli comunale e provinciale all’apparenza chiaro e conclusivo, è di fatto soltanto consultivo.
Oggi, rispetto ai tempi della vituperata Prima Repubblica, Trieste può ancora contare su una Regione disposta all’ascolto, su rappresentanti cittadini attivi nell’organismo di governo del Friuli-Venezia Giulia, su un governatore che intende difendere diritti e volontà del capoluogo? Quanto detto da Renzo Tondo sembra indicare indicare esattamente il contrario. La promessa fatta agli industriali friulani, di andare avanti, anche se il capoluogo è contrario, è inoltre avallata dalle tre rappresentanti triestine in giunta: le pdl Angela Brandi, Federica Savino e la leghista Federica Seganti, appiattite sul governatore. Forse la città sembra non è mai stata così poco rappresentata, nel governo regionale.

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12 commenti a La centrale cui Muggia disse di no, un precedente da non dimenticare

  1. Mauricets ha detto:

    infatti oggi abbiamo una centrale che è costretta ad usare il gas della ferriera di servola.

    gas che è una voce notevole nel bilancio della ferriera.
    traete voi le conclusioni…

  2. Dario Predonzan ha detto:

    Ce l’abbiamo perché qualcuno si è voluto, a tutti i costi, inventare un modo per tentare di mantenere in vista quel catorcio di Ferriera. Con i risultati che sappiamo.
    In ogni caso la centrale proposta dall’ENEL aveva 1.320 MW di potenza, quella della Ferriera ne ha 170: c’è una non piccola differenza di scala.
    Tralascio ogni considerazione su altre questioni, come le emissioni di CO2, gli impegni derivanti dal Protocollo di Kyoto, l’impatto ambientale della filiera del carbone, ecc. che non sono certo irrilevanti, ma paiono non interessare chi ragiona con ottica solo provinciale (el mondo finissi al Lisert).

  3. Mauricets ha detto:

    Dario Predonzan

    ma è corretto asserire che il gas della feriera è considerato “fonte rinnovabile”?

    un eufemismo direi. che noi paghiamo in bolletta?
    si puo dire questo o è errato?

  4. Dario Predonzan ha detto:

    Il gas di cokeria della Ferriera è considerato fonte “assimilata alle rinnovabili”. Come la combustione dei rifiuti negli inceneritori che producono elettricità.
    Uno scandalo, denunciato solo dalle solite cassande ambientaliste, che in Italia dura da 20 anni e che nessun Governo ha mai voluto eliminare.
    Certo che si può dire. Ma che c’entra con la centrale che l’ENEL voleva costruire negli anni ’80?

  5. Mauricets ha detto:

    in definitiva si è aggirato il parere negativo dei cittadini.
    si è fatta una centrale che utilizza il gas di cokeria.

    cioè usa un derivato del carbone…

  6. Dario Predonzan ha detto:

    La Ferriera il carbone lo usa da più di cent’anni.
    Lo usava anche quando la centrale non c’era.
    Perché per fare la ghisa ci vuole il coke ed il coke si produce distillando il carbone.
    Distillando il carbone si produce il gas di cokeria, che prima (ma anche adesso) veniva bruciato nelle torce, o scaricato tal quale nell’aria.
    Ripeto, cos’ha a che fare tutto ciò con la centrale dell’ENEL?

  7. Triestin - No se pol ha detto:

    nada de nada…intanto el Tonto continua a portar avanti el rigassificador in barba ai dinieghi delle amministrazioni locali e la contrarietà della popolazion residente. Bel intervento de Santin che ga riesumà veci progetti poi finidi in cassettin come anche per la Seastok ( caverne de GPL nell’area ex Aquila )…

  8. Mauricets ha detto:

    6

    Dario Predonzan

    senza la centrale elettrica la ferriera era gia chiusa.

    si è mantenuto in vita uno stabilimento con un escamotage, che guarda caso è una centrale elettrica che usa un derivato del carbone.

    se non è zuppa e pan bagnato.

  9. Rinaldo Sorgenti ha detto:

    @ Dario Predonzan ed altri.

    Ancora una volta per ragionare su un’importante attività produttiva (una Centrale per la produzione di elettricità – fattore importante per il benessere e lo sviluppo di tutti i Paesi più avanzati del mondo) si evocano elementi che oggi, grazie alle moderne tecnologie (CCT – Clean Coal Technologies) sono davvero trascurabili.
    Per quanto riguarda poi la CO2, bisognerebbe considerare che l’Italia, contrariamente a quanto spesso si sente dire da certe lobby, è il Paese più virtuoso tra i grandi d’Europa, sia in termini di consumo elettrico che di emissioni di CO2 pro-capite.

    Ora, il poter produrre abbondante elettricità, a costi contenuti e competitivi è il volano per difendere il benessere e lo sviluppo, elementi fondamentali che bisognerebbe sempre avere ben presenti.

    Ritornando alla storia dell’ipotesi della Centrale a Trieste/Muggia degli anni ’80, a distanza di oltre 30 anni bisognerebbe dire che è stata una errata valutazione ed una mancata opportunità che avrebbe aiutato il Paese a diversificare il “Mix delle Fonti” per la produzione elettrica (che allora andava a tutto “Olio Combustibile”, grave e singolare eccezione tra tutti i grandi Paesi sviluppati), aiutando il ns. Paese a difendere la propria competitività oltre a migliorare la sicurezza strategica per gli approvvigionamenti di energia.

    Oggi, anche grazie a quella errata decisione, il Nord-Est del Paese è deficitario di produzione elettrica nazionale ed è costretto ad importarla dalla vicina Slovenia, dalla centrale a meno di 120 km. dal confine, prodotta dal Nucleare che l’Italia avrebbe bandito.

    Se poi consideriamo il vantaggio di poter disporre a Trieste di banchine con notevoli fondali – pescaggio NON disponibile in altri Porti italiani in tutto l’Adriatico (il che tutt’ora costringe ad allibbare queste navi a Koper o Bakar) – dove poter agevolmente attraccare le grandi navi che portano il Carbone da Paesi lontani (attività che peraltro Enel ha svolto in loco per numerosi anni, dove eseguiva il trasbordo del Carbone da grandi navi su chiatte per alimentare poi le centrali di Monfalcone, Fusina e Marghera), ci si dovrebbe render conto di quali opportunità tale località presenterebbe per un’industria, quella termoelettrica, che è tra le meno impattanti ambientalmente tra le numerose altre attività industriali produttive (acciaio, cemento, petrolio, vetro, metalli vali, carta, ecc.) quindi un volano per l’occupazione di tutto rispetto.

    L’Italia ancora oggi si trova in una grave situazione di estrema dipendenza della propria generazione elettrica da Gas Metano che, essendo troppo costoso, costringe anche a continuare ad importare l’elettricità d’Oltralpe (prodotta dal Nucleare), nonostante una miriade di impianti a Gas che lavorano mediamente meno del 30% del loro potenziale.

    E l’elettricità in Italia costa circa il 35% più cara della media UE27.

    Insomma, una serie di riflessioni che sarebbe proprio opportuno fare, per correggere i tanti errori del passato.

  10. slowfoot ha detto:

    ….quindi la ghisa è un sottoprodotto della produzione di elettricità da carbone.

  11. Mauricets ha detto:

    esatto.

    visto che se elettra non paga la ferriera chiude.

    cronaca degli ultimi mesi.

  12. Dario Predonzan ha detto:

    Beh, non è quello che ho scritto anch’io? Quello che non mi è chiaro è cosa c’entri tutto ciò con il progetto della centrale ENEL degli anni ’80, che è l’argomento del post di Santin.

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