16 Dicembre 2010

Scampoli di storia: L’alabarda di Trieste – un simbolo della città decisamente originale

Alabarda a Miramare

Sulla strada Costiera di accesso della città dopo le due gallerie di Miramare un’ alabarda disegnata al suolo con sassi di vario colore; un’ altra sulla Scala Dei Giganti vicino al colle di San Giusto, ben visibile da piazza Goldoni. Ma vediamo un po’ di cenni storici sull’ alabarda, questo simbolo di Trieste. L’ unica cosa certa è che l’ alabarda di Trieste, la reliquia conservata nel tesoro della cattedrale di San Giusto, non è un’alabarda. Il resto è fitto mistero. In pochi lo sanno, ma quell’ alabarda possiede caratteristiche peculiari e per taluni aspetti misteriose. Lo hanno scoperto gli studiosi dei due Dipartimenti di Scienze Chimiche e di Scienze Geografiche e Storiche dell’ Università di Trieste, che hanno analizzato l’ antico oggetto. Tanto per cominciare, secondo gli scienziati, il reperto non assomiglia neppure lontanamente a uno strumento d’ offesa. La “vera” alabarda, infatti, è un’ arma bianca a punta, tagliente da entrambi i lati, montata su un’ asta e munita di una corta scure. L’ emblema cittadino invece presenta un corpo centrale che – anziché essere lungo e acuminato – risulta più corto degli altri raffi e quindi non può essere utilizzato per l’ affondo.
Sgomberato il campo da questo primo equivoco, ne restano in piedi molti altri, per lo più affastellati dal mito. E proprio nell’ intento di scindere realtà da leggenda gli studiosi dell’ Ateneo, col patrocinio della Diocesi di Trieste, si sono addentrati nell’ identificazione delle origini del “Signum Sancti Sergii de Trigesto”.

Alabarda a San Giusto

Sì, perché l’ alabarda, contrariamente alla comune opinione, non è dedicata a San Giusto, patrono della città, bensì al tribuno Sergio della XIII. Legione Apollinare, che qui si convertì al cristianesimo. Scoperto, venne richiamato alla corte imperiale e congedandosi dai compagni di fede promise loro un segno per annunciarne la morte che prevedeva imminente. Difatti, dopo la decapitazione a Rosapha in Siria, tradizione vuole che un’ alabarda cadde dal cielo nel foro cittadino. Ebbene, attraverso particolari dispositivi, gli studiosi hanno esaminato il “Signum” approdando a una verità insospettabile: la reliquia è certamente più antica rispetto a quanto ipotizzato dagli storici e la sua fattura avrebbe origini indiane. Tutto è iniziato dalla volontà di “smascherare” alcune delle leggende metropolitane più diffuse sull’alabarda, ad esempio il fatto che sia stata prodotta con materiale meteoritico. “Il primo mistero del Signum – ha spiegato la giovane ricercatrice triestina Mirta Sibilia, laurea in chimica – è che denota delle proprietà macroscopiche particolari: risulta fatta di ferro ma non presenta traccia di ruggine, nonostante la datazione antica del reperto. Dal ritrovamento di una moneta coniata dal vescovo Volrico De Portis sappiamo che la prima immagine dell’ alabarda risale al periodo compreso tra il 1234 e il 1255. Ma stando alle analisi termografiche e ai raggi X noi supponiamo che il metallo sia stato prodotto almeno mille anni prima, più o meno attorno al periodo in cui visse il tribuno Sergio, martirizzato nel 313 dopo Cristo”.

Alabarda e melone

Oltre a possedere caratteristiche di inossidabilità e resistenza a operazioni di doratura e argentatura non presenti in manufatti occidentali medievali o antecedenti (cosa che l’accomuna a reperti orientali antichi, il più famoso dei quali è l’inossidabile colonna di ferro di Delhi, in India) l’ alabarda è priva di saldature: “Verosimilmente – ha chiarito la ricercatrice – è stata quindi realizzata da un unico pezzo di ferro, poi sbrecciato e lavorato per martellature. Questo cosa significa ? Che l’ origine dell’ alabarda non è occidentale. Tecniche così avanzate non erano infatti note nella cultura occidentale in quel periodo, bensì in quella orientale e in particolare in quella indiana. Questa circostanza, tra l’ altro, spiegherebbe l’ inossidabilità del “Signum”: tale scuola di produzione dei metalli arricchiva i manufatti di fosforo garantendo così una migliore fattura. Non è detto comunque che sia stata prodotta proprio in India, ma certamente è stata realizzata da una scuola in possesso di tali tecniche”. Un’indagine effettuata in Medio Oriente ha dimostrato come simboli molto simili all’ alabarda fossero presenti in Palestina nell’ antichità. La “lancia di San Sergio” – come dunque è più corretto chiamare l’ alabarda – come stemma cittadino è dunque documentata fin dal XIII secolo: al verso di alcune monete del vescovo Volrico, coniate fra il 1237 ed il 1253 vi compare infatti il gonfalone comunale con l’ arma. Si presume però che tale stemma fosse in uso fin dalla nascita del libero comune, i primi documenti del quale risalgono al 1139, quando il gastaldo civico parla in una causa “pro Comuni de Tergesto”. Negli Statuti Comunali dell’ anno 1350 la lancia di San Sergio è raffigurata in due capilettera: nel primo si vede San Sergio che impugna la lancia ed imbraccia uno scudo triangolare con su lo stemma, che è appunto la sua lancia. Nel secondo è raffigurato un banditore con la lancia bianca sul mantello rosso. L’ arma è anche menzionata nel testo, essendo impressa sulla bolla in ferro che i capitani notturni si trasmettevano fra loro durante il servizio di sorveglianza sulle mura. Insomma questa alabarda oltre ad essere antica è davvero misteriosa.

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17 commenti a Scampoli di storia: L’alabarda di Trieste – un simbolo della città decisamente originale

  1. ufo ha detto:

    Orpo. Podessimo propor un gemellaggio? El posto me par cocolo, el clima ghe faria solo che ben ai reumi de Ucio Bita, e tanto che Ucio fa sabiature noi se femo spiegar come che se vivi de cità fantasma, vendendoghe visite ai rudinazi ai turisti. Dopo che i soliti gavera finido de mandar remengo el porto poderemo campar de quel anca noi.

  2. Monex ha detto:

    Il segno annunciatore della sua morte promesso ai triestini fu l alabarda che la tradizione vuole piovuta dal cielo sereno nel foro cittadino il giorno del suo sacrificio. Viene comunemente chiamata alabarda ma ci inesatto in quanto questo tipo di arma fu usata sola a partire dal primo quarto del XIV secolo la sua forma ricorda piuttosto quella del cosiddetto spiedo alla furlana.

  3. Bibliotopa ha detto:

    ovviamente, come che l’alabarda de san Sergio no xe de san giusto gnanca quel melon dela foto no xe el vero melon, che ga i spicchi e xe adesso al ingresso del castel.
    Per San Sergio a Maaloula in Siria, in effetti in cesa i ga icone e storie del santo. ma se andè a googlar i SS Sergio e Bacco, troverè anche qualcossa de curioso, tirado fora de recente, che qua a proposito de san Sergio no disi nissun.

  4. Luigi (veneziano) ha detto:

    La “vera alabarda”? Ma chi è che ha detto che la “vera alabarda” è munita di una corta scure? E chi ha poi detto che questa è un’ “alabarda”?

    Esistono decine di tipi diversi di armi astate (inserite in cima ad una lunga asta): lo spuntone, la partigiana, il falcione, il forcone da guerra, lo spiedo ecc. ecc.

    La “reliquia” (per chiamarla così) somiglia moltissimo ad un’arma chiamata “corsesca” (si veda qui: http://www.earmi.it/armi/glossario/glossario05.htm). Ad ogni modo, siccome questo tipo di armi nell’antichità venivano costruite a mano dai fabbri, si possono trovare decine di varianti della stessa arma.

    Altro aspetto: non mi pare proprio che la reliquia presenti “un corpo centrale che – anziché essere lungo e acuminato – risulta più corto degli altri raffi e quindi non può essere utilizzato per l’ affondo”. Ma – dico io – l’avete visto in foto o no? Il corpo centrale anche a occhio nudo appare PIU’ LUNGO di quelli laterali. Ecco una foto più da vicino (scorrere verso il basso): http://www.elsitodesandro.it/invboard/index.php?showtopic=10745

    E chi ha poi detto che questa reliquia non sia un’arma di offesa? Prova a infilarla su un’asta e a tirarla sul petto di un uomo, e poi mi dirai…

    L.

  5. Paolo S ha detto:

    Domanda per Luigi (che lo vedo esperto): ma avrebbe senso un’operazione come l’arricchimento con fosforo di cui qui si parla in funzione antiruggine su un’arma da usarsi davvero in battaglia?
    Non è più semplice pensare che ‘sta tripunta un oggetto da parata, un simbolo araldico o simili?

  6. T. Patoco ha detto:

    @2 Monex

    l’alabarda uno spiedo alla furlana?
    sacrilegio!

  7. effebi (friuljano) ha detto:

    quindi l’alabarda triestina non è “originaria” triestina !?
    non è stata fabbricata sul sacro luogo con metalli assolutamente autoctoni !?
    sacrilegio ! 🙂

  8. Luigi (veneziano) ha detto:

    @ paolo s.

    Quel tipo d’arma – e cioè una lancia “rostrata”, con uno o due “rostri” – è stata costruita per secoli e secoli. In Cina fino al 19° secolo erano in costruzione delle armi simili, come si può vedere qui: http://www.worthpoint.com/worthopedia/19th-century-chinese-hook-spear-74160435

    L’ipotesi dei ricercatori è estramamente suggestiva: un manufatto costruito in oriente e poi pervenuto in modo ignoto dalle nostre parti. In tal caso, si spiegherebbe – come detto nell’articolo – anche la particolare tecnica di fusione.

    Stabilire se quella di Trieste sia un’arma da battaglia o da parata, credo sia impossibile. In tempi più recenti – penso ai Romani o anche al nostro Rinascimento – in Europa alcune armi da parata erano caratterizzate dal fatto d’essere decorate. Ma non mi pare questo il caso, e poi stiamo parlando di contesti totalmente diversi.

    L.

  9. Paolo S ha detto:

    Grazie Luigi. Le somiglianze ci possono dire molto sulla “famiglia” cui appartiene l’arma e darci indicazioni generali sull’utilizzo: le varianti dipendono invece dal contesto di utilizzo: se c’è un doppio rostro anziché un rostro e una scure, immagino, ciò dipende da armi&armature avversarie, nonché terreno d’uso; anche sapere la lunghezza dell’asta originale aiuterebbe.
    La butto lì: e se codesta «alabarda» fosse un’arma per contrastare gli abbordaggi e spingere i marinai avversari in acqua? I marinai non possono indossare pesanti corazze da sfondare e combattono in equilibrio precario, sbilanciali può essere una tattica che paga…

  10. Danilo Ulcigrai ha detto:

    Bela storia. Meritevole de far parte (in maniera seria) dela rubrica “i misteri di Trieste”.

  11. DaVeTheWaVe ha detto:

    simboli de trieste:
    l’alabarda
    la galina con dò teste
    la bora
    san giusto
    miramàr
    piaza unità
    coto col crèn

    viva l’A
    capo in b
    triestina in c
    (che ben che la me xè vegnuda…)

  12. effebi (friuljano) ha detto:

    in effetti sembra più quella che viene denominata una corsesca… quindi

    la galina con do teste la go vista svolazar
    sora i copi de trieste
    la corsesca sventolar ….?

    e i alabardati del unione diventa i corsescati ?

    ho trovato anche qualche conferma:
    http://www.iagi.info/araldica/altristati/austria/austria_02.html

    nel 1° troncato: nel 1° d’oro all’aquila bicipite di nero, coronata sulle due teste e rostrata del primo, linguata di rosso; nel 2° di rosso alla fascia d’argento, alla corsesca di San Sergio d’oro attraversante in palo, movente dalla punta (signoria di Trieste) [2]

    2] Trieste modificò la propria arma: “di rosso alla fascia d’argento, alla corsesca di San Sergio d’oro attraversante in palo, movente dalla punta” con il passaggio dall’Austria all’Italia, assumendo per arma: “di rosso alla corsesca di San Sergio d’oro attraversante in palo, movente dalla punta” ed abbandonando, di conseguenza, la fascia d’argento. Molti studiosi ed anche diversi araldisti, parlando dell’arma di Trieste, la descrivono caricata da un alabarda o da uno scettro a firma di giglio; in realtà, si tratta della corsesca, ovvero di un arma composta da un’asta da lancio di media lunghezza con ferro a foggia di spuntone con alla base due ali laterali taglienti e ricurve verso la punta, usata, di norma, per sgarrettare i cavalli; secondo la tradizione, con tale strumento venne martirizzato il triestino San Sergio. Il nome di corsesca deriva da corso “di Corsica” per l’iniziale uso di tale strumento in quest’isola.

  13. Luigi (veneziano) ha detto:

    @ Paolo S.

    Da ciò che ne so io (vecchio appassionato di storia militare, ma nulla più) questo tipo di armi era tipico delle battaglie terrestri. Il rostro in realtà serve a ferire nell’atto di ritiro dell’arma, il che fa anche capire che raramente le armi astate venivano lanciate: erano prevalentemente degli strumenti per il combattimento a media distanza.

    Qua si può vedere la ricostruzione di un combattimento con le lance:

    http://www.youtube.com/watch?v=lUKxDcJdqoA

    Se effettivamente si tratta di un’arma del IV secolo d.C., allora a quel tempo non esistevano le armature a pesanti placche metalliche tipo quelle medievali.

    I romani indossarono vari tipi di corazze: tre/quattro secoli prima di Cristo essi usavano la c.d. “corazza muscolare” (in latino “lorica”, in greco “thorax statios”): due pezzi di metallo (o di cuoio) sagomati sul petto e sul dorso, tenuti insieme da lacci. Nessun esemplare purtroppo è giunto fino a noi.

    Assieme a questa c’era la “lorica squamata”: dischi di ferro o bronzo tenuti insieme con rivetti, in modo da rimanere relativamente mobili. Questo tipo d’armatura rimase in uso lunga tutta la storia di Roma.

    Più tarda ancora fu la “lorica hamata”: piccoli cerchi in ferro o in bronzo che somigliano ad una maglia.

    Al I secolo d.C. risale la “lorica segmentata”: l’armatura laminata mobile che vedi in alcune scene del film “Il Gladiatore”. Questa fu una grandissima invenzione, basata sul concetto di “assorbimento dell’urto” tramite la deformazione controllata: esattamente l’opposto di ciò che fecero i medievali, che invece costruivano pesanti o pesantissime armature che dovevano “respingere” l’urto, col risultato che l’energia cinetica di un colpo si scaricava sul corpo, tramortendo il combattente.

    L.

  14. ufo ha detto:

    @13 effebi – che fai, copi le risposte (@1)? Guarda che non è mica l’esame da avvocato….

  15. effebi ha detto:

    🙂 te vedi come che xe, go un schermo in bianco e nero e no go visto el link, devo prorpio butar via sto ordegno a vapor…

    ara, però go anche rivado a capir el witz sul avocato…

  16. Paolo Cernaz ha detto:

    Varde’ che l’alabarda podesi eser una corsesca, e i furlani pol gaver copia’ de noi per farse el spiedo..

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