18 Agosto 2010

Scampoli di storia: lo sciopero dei fuochisti del Lloyd Austriaco del 1902

I fuochisti del Lloyd

Il 1902 si apre in Italia con alcune manifestazioni dei ferrovieri che minacciano scioperi se non saranno soddisfatte le loro rivendicazioni salariali, seguono a febbraio gli scioperi degli addetti del gas di Torino. Nella Trieste asburgica in quel freddo febbraio i fuochisti della compagnia di navigazione del Lloyd Austriaco scendono in sciopero uscendo dalle loro sale macchine dove, come scrisse la giornalista dell’epoca Amy Bernardy “Le vampate di calore mettono il cervello a una temperatura incontrollabile, che sprizza scintille come le fornaci sprizzano fiamme ……. Ma al di là della porticina dissimulata nella paratia verso prua impera unico signore il fuoco in un regno di tenebre. Ivi si allineano coi loro mostruosi corpi di loco­motive, caldaie e fornaci. Da questa forza bruta, oscura e roggia sorge quella forza disciplinata e metallica che di là canta e ride, cuor della nave. Ma il cuor della nave più oscuro e più pauroso e più ardente è qui”. Sicuramente il lavoro del fuochista era non solo assai faticoso, ma pericolosissimo. Se una nave affondava, salvarsi, per chi era rinchiuso nelle viscere della nave, era a quei tempi praticamente impossibile.
Il 13 febbraio 1902 venne proclamato lo sciopero da trecento fuochisti delle navi del Lloyd, in quel periodo a terra, che protestavano anche per i quattrocento compagni imbarcati. Lo sciopero arrivava dopo mesi di tensioni tra la direzione del Lloyd e i fuochisti. Al primo nucleo di trecento lavoratori si aggiunsero via via gli altri, sbarcati dai piroscafi in arrivo. Ne derivò una progressiva paralisi dell’attività portuale. Lo sciopero dei fuochisti, ben presto trasformatosi in sciopero generale cittadino, fu una delle pagine più intense della storia del movimento operaio della nostra città, come ricorda Piemontese nel suo libro.

Il logo del Lloyd Austriaco

La direzione del Lloyd Austriaco in un primo tempo tentò di sostituire gli scioperanti con altri lavoratori, ma lo schieramento dei fuochisti e di tutta la classe operaia triestina era estremamente unito. Il 15 febbraio 1902, dopo una dichiarazione di disponibilità alla trattativa da parte del Lloyd che aveva verificato come risultasse impossibile rompere il fronte dei lavoratori, si svolse un grandioso comizio al Politema Rossetti organizzato dal Partito Socialista al quale parteciparono Carlo Ucekar e Valentino Pittoni e, in rappresentanza dei fuochisti in sciopero, Ferdinando Castro. Ucekar -che era stato candidato per il Partito Socialista al Parlamento nel 1896 e nel 1901- si trovava in carcere per scontare una breve pena (una riunione non autorizzata); ma uscì dal carcere il giorno stesso in cui scoppiò lo sciopero generale e si recò a presiedere l’assemblea. I fuochisti scesero poi in corteo lungo l’Acquedotto e giù per Corso Italia (allora Contrada del Corso) sino a raggiungere Piazza Grande sotto al palazzo del Lloyd. Mentre la manifestazione si svolgeva tranquillamente, in Piazza della Borsa la polizia, agli ordini di de Conrad von Hoetzendorf, caricò i dimostranti alla baionetta pare su ordine del luogotenente del Litorale von Goess ed aprì successivamente il fuoco. I manifestanti in fuga verso piazza Verdi vennero accolti a fucilate. Alla fine degli incidenti rimasero a terra quattordici morti e più di una cinquantina di feriti, dei quali una ventina molto gravi. Verso sera vi furono isolati atti di devastazione e numerosi lampioni a gas vennero incendiati da sconosciuti che la stampa e la polizia definì “teppa”. Alla fine della giornata si diffuse in città la notizia che il giudizio degli arbitri scelti dal Lloyd e dagli scioperanti aveva accolto in pieno le richieste dei fuochisti: pagamento dello straordinario, orario di lavoro di dieci ore durante la permanenza nei porti e di otto ore durante la navigazione, drastica riduzione dei turni di guardia notturna durante le soste dei piroscafi nel porto. Ma la sigla definitiva dell’ accordo risulterebbe essere avvenuta alcuni giorni dopo. Infatti il giorno seguente -era allora sindaco Scipione Sandrinelli- venne proclamato lo stato d’assedio in tutta Trieste (con sospensione del diritto di riunione e di manifestazione) che rimase in vigore per alcuni giorni. Si tenga conto che si scioperava allora per abrogare norme che sopravvivevano dall’epoca Teresiana (!), con straordinari non pagati e l’obbligo di restare a bordo in talune circostanze. Le tragiche giornate triestine furono seguite da grandi manifestazioni di solidarietà da parte operaia e socialista a Vienna, Praga, Trento, Pola. Il governo parlò di una congiura “anarchica”, anche se mancano elementi oggettivi che provino tale tesi ufficiale. Nei giorni successivi la polizia diede a Trieste una caccia spietata agli anarchici, forte anche del fatto che un militante anarchico aveva preso la parola durante il comizio al Politeama Rossetti inneggiando allo sciopero generale quale prima tappa sulla via della insurrezione generale.
Nel 1976 la Compagnia di Teatro triestina “La Contrada” presentò uno spettacolo intitolato “A casa tra un poco”, scritto a quattro mani da Roberto Damiani e Claudio Grisancich, nel quale venivano ripercorse in modo altamente epico le drammatiche vicende del primo grande sciopero cittadino. Nel centenario dei sanguinosi fatti del 1902 è uscita una riedizione del volume edito in occasione dell’ ottantesimo anniversario intitolato “1902 – 2000 La lotta dei fuochisti del Lloyd Austriaco”, edito dalla Tipo / Lito Astra di Trieste per conto dell’ allora Istituto Regionale di Studi e Ricerche della CGIL del F.V.G. (oggi Istituto “Livio Saranz”). La riedizione è stata curata da Massimo Gobessi.

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45 commenti a Scampoli di storia: lo sciopero dei fuochisti del Lloyd Austriaco del 1902

  1. cagoia ha detto:

    El sioparo del ‘Due

    Co’ ierimo putei, ierimo sozialisti
    e mama e i sui fradei quando che i iera cisti
    i andava in via Zudeche a scòderghe el sussidio
    o almeno un per de cheche.

    Zio Bruno e zio Giordano, sbàtole de fonografi,
    i parlava a Roiano al Circolo Tipografi
    e mio sàntolo Toni piantava più de un ciodo
    disendose nevodo de Valentin Pitoni.

    Papà iera zà morto nel sioparo del ‘Due,
    quando i se ga inacorto
    che inveze dele sue
    el gaveva le braghe del mato dele paghe.

    Che tempi, che ridade, che siopari mai visti:
    la trupa a s’ciopetade che disperdi i foghisti
    e mama che de corsa scampa drio le colone
    co’ fis’ciava patrone in Piazza dela Borsa.
    E soto le elezioni de la Dieta de Viena
    scrito per i cantoni:
    “Vogliamo paga piena e un piato de minestra!”
    Pò se andava in palestra de Piazza dela Vale
    cantando “Su compagni…” col deputato in spale e tirando tampagni*.

    Carpinteri e Faraguna

  2. Luigi (veneziano) ha detto:

    Solo per ricordare che Franz Conrad von Hötzendorf comandò non tanto le forze della polizia contro i dimostranti, ma soprattutto i reparti della 55ma Brigata di Fanteria in assetto di guerra, che fece uscire dalle proprie caserme dopo aver dichiarato la legge marziale.

    Alcuni storici ritengono che a Conrad siano venuti in mente i ricordi del padre (a sua volta militare di carriera), che verso la fine della propria carriera fronteggiò la rivolta di Vienna del 1848.

    Dopo la sera del 15 febbraio, la legge marziale rimase in vigore ed arrivò a Trieste una divisione di navi da battaglia appositamente fatta affluire da Pola, così come truppe fresche da Lubiana, trasportate via treno attraverso la Suedbahn. Conrad organizzò quindi svariate pattuglie armate di due uomini, generalmente formate da un marinaio e da un fuciliere o da un poliziotto, che per svariati giorni percorsero le strade della città giorno e notte per mantenere l’ordine.

    Per quanto lo sciopero non avesse alcun carattere nazionale, è noto che Conrad puntualizzò in decine di suoi rapporti, petizioni e lettere, la sua convinzione per cui i disordini di Trieste fossero dovuti ai circoli nazionalisti italiani, denunciando i rapporti che questi avevano con i territori italiani come “prova” delle sue teorie.

    L’episodio determinò un vero e proprio punto di svolta delle idee di Conrad sull’Italia. Conrad ritenne da questo momento in poi l’Italia come un partner totalmente inaffidabile e fu il maggior propugnatore addirittura d’una guerra preventiva contro il Regno d’Italia, spalleggiato dall’arciduca Francesco Ferdinando, noto italofobo.

    Già alla fine del 1902 vennero quindi organizzate delle manovre militari a Pola, simulando un attacco anfibio e terrestre contro il porto, che venne universalmente visto come un esempio di politica militare anti-italiana: nessuna potenza poteva infatti organizzare un attacco del genere, se non l’Italia (ironia della sorte, questo attacco ebbe poi luogo nei giorni finali della Grande Guerra). La cosa creò qualche problema, tanto che l’imperatore in persona ordinò il termine delle manovre prima del tempo.

    E’ noto che Conrad – nel frattempo assurto alle altissime cariche militari – propose di lanciare un attacco contro l’Italia immediatamente dopo il terremoto di Messina del 1908, visto che parte dell’esercito italiano era impegnato nelle attività di soccorso della popolazione civile e l’intero paese appariva prostrato dalla tragedia.

    Allo stesso modo, Conrad propose varie volte guerre preventive anche contro la Serbia: un altro stato che fu una sua ossessione.

    Conrad fu in seguito il Comandante in capo delle truppe imperiali nel corso della Grande Guerra, ma rimase vittima delle stesse concezioni militari che fecero fuori – nel campo opposto – il generale italiano Luigi Cadorna, privilegiando l’offensiva frontale che mandava a morte centinaia di migliaia di uomini.

    Vide la fine dell’Impero e morì nel 1925, non dopo aver dato alle stampe le sue memorie di guerra.

    Luigi (veneziano)

  3. omo vespa ha detto:

    “spalleggiato dall’arciduca Francesco Ferdinando, noto italofobo.”

    dai, noto italofobo… iera poi el steso FF che ghe dava contro el Conrad perche el Conrad iera estremamente anti-serbo…?

  4. Luigi (veneziano) ha detto:

    La definizione di “italofobo” riferita a Conrad è da me stata da me mutuata dalla biografia su Conrad scritta da Lawrence Sondhaus, probabilmente il più grande storico militare vivente americano sul tema Austria/Ungheria.

    Sondhaus accomuna sia Conrad che Francesco Ferdinando in questa “italofobia”, ed aggiunge che essi non erano gli unici a pensarla in tal modo (“they were not alone in their thinking”).

    L.

  5. omo vespa ha detto:

    mah, mi ghe credo piu al taylor. cmq, no me par che iera specialmente italofobi, ma xenofobi, nel senso ghe i gaveva una paura mata de tute le etnie – vedi el FF che come ultimo tentativo voleva un austria pseudo federale. per questo qualsiasi rivolta, anche abastanza giustificada tipo TS 1902 o le varie manifestazioni a LJ e ZG ghe saltava subito el rifleso quarantotino.

  6. Luigi (veneziano) ha detto:

    Sul punto farei una differenziazione fra Conrad e Francesco Ferdinando, senza dimenticare che erano dei pezzi grossi all’interno di un impero che in quanto ad etnie era una vera macedonia.

    Conrad non è che avesse una “paura matta” di tutte le etnie in quanto tali: voleva però fortissimamente che l’impero rimanesse ben saldo, e quindi a lui non andavano per nulla bene quei tizi delle varie etnie che propugnavano delle idee separatiste.

    Francesco Ferdinando invece era un gran sostenitore della trasformazione dell’impero da “dualistico” (Austria-Ungheria) a “trialistico” (Austria-Ungheria-Slavia), soprattutto a partire dal momento in cui il dominio di fatto sulla Bosnia (iniziato dal trattato di Berlino del 1878) venne trasformato in una vera e propria annessione (se non ricordo male, ciò avvenne nel 1908).

    In pratica, l’erede al trono riteneva che l’impero potesse divenire il polo d’attrazione di tutti gli slavi dei Balcani, e per questo entrò in conflitto diretto con la Serbia, che puntava allo stesso ruolo.

    Dopo ci furono le guerre balcaniche (uno dei principali guazzabugli storici del XX° secolo), l’attentato di Sarajevo, la Grande Guerra eccetera eccetera.

    Chissà che sarebbe successo se l’erede al trono non fosse stato Francesco Ferdinando ma già direttamente Carlo I…

    L.

  7. Bibliotopa ha detto:

    per la propensione al trialismo di Francesco Ferdinando, su cui alcuni storici giurano ed altri sono meno certi, non si trattava solo dei Balcani, come tendiamo a vedere da Trieste: non dimentichiamo che l’Austria Ungheria, in cui tutte le nazionalità erano uguali ma in Ungheria assai meno, comprendeva anche il regno di Boemia, la Slovacchia, sudditi Polacchi, Ruteni.. tutte etnie che si sentivano trascurate e che la sua amatissima moglie morganatica Sophie Chotek, non considerata abbastanza nobile per l’erede, faceva parte di una antica nobiltà boema.

  8. Macia ha detto:

    Da quel che so io il trialismo avrebbe fatto capo a Praga, coinvolgendo i polacchi e gli sloveni.
    Slovacchi e croati erano sottoposti all’Ungheria e dunque non sarebbeo stati interessati. Gli italiani di Dalmazia (che a differenza della Croazia stava sotto ‘Austria) temevano che l’ipotesi trialista li avrebbe visti soccombere alla maggioranza croata.

  9. sindelar ha detto:

    Mah! Quando si parla di polacchi e ruteni che “si sentivano trascurati” o slovacchi e croati “non interessati” ho un sussulto. Mica che le genti si muovono e pensano tutte insieme le stesse cose. Anzi! La maggior parte degli eventi nella storia e ancora di più nel secolo scorso sono stati decisi e pianificati da quattro cani se rapportate alla popolazione mondiale.
    Mi pare che diate delle interpretazioni monolitiche degli intendimenti delle persone.
    Che ci siano stati colpevoli accodamenti di massa a certe ideologie o mancate prese di posizione posso capirlo, ma che intere masse si sentissero “trascurate” o non fossero “interessate” a qualcosa ci credo poco.

  10. Luigi (veneziano) ha detto:

    @ sindelar

    L’apporto delle masse agli eventi politici del XX secolo è stato studiato e ristudiato a lungo (si vedano in merito i mirabili lavori di Mosse): è interessante notare – per lo meno come puro dato di fatto – come le peggiori guerre della storia e alcune delle peggiori nefandezze siano state compiute con livelli di consenso di massa molto elevati.

    Volendo parlare in termini vagamente da bar, io dico che la folle continuazione di una guerra oramai evidentemente persa da parte dei tedeschi e dei giapponesi, cosa che fu chiarissima negli anni 1944-1945, fa pensare a come siamo perversi noi uomini: tanto vengono vituperati gli italiani che nel 1943 si dicono gli uni gli altri “a che scopo continuare a combattere una guerra che non sentiamo più nostra”, quanto sotto sotto vengono ammirati quelli che invece negli ultimi due anni distrussero (autodistrussero) completamente i loro paesi, nel nome di ideologie allucinate per le quali è meglio morire tutti quanti che accettare la resa.

    Non dimentico mai che i tedeschi continuarono a combattere addirittura ancora una settimana dopo la morte di Hitler, e che molti civili giapponesi a Okinawa ammazzarono sé stessi e l’intera propria famiglia pur di non arrendersi agli americani.

    Follie…

    L.

  11. marisa ha detto:

    Ma…..non mi pare proprio che le masse in Italia fossero d’accordo con l’entrare in guerra nel 1915. E neppure i soldati al fronte che non avevano alternative: dietro le trincee c’erano i carabinieri e davanti il così chiamato nemico austriaco. C’era solo da scegliere se morire per mano nemica o per mano “amica” (si fa per dire…).
    Oggi li chiamano patrioti morti per la Patria. In realtà poveri cristi costretti a combattere una guerra che non erano stati loro a volere….

    E anche per quanto riguarda la seconda guerra mondiale voluta in Italia da Mussolini: c’era la censura e una propaganda magistralmente studiata. Fa impressione rivedere i filmati dell’epoca, con la gente rincretinita dalla propaganda e disinformata per colpa della censura.

    Altre che masse che appoggiavano le guerre come scrive Luigi…

    Ma venendo al POST, veramente interessanti le informazioni contenute.

  12. sindelar ha detto:

    Mah, forse non mi sono spiegato io.
    Livelli di consenso di massa non vuol dire che quella stessa massa fosse l’artefice dell’idea di guerra. Il consenso non è l’idea che lo genera.
    C’è una sottile ma enorme differenza che passa tra il “Volete invadere la Polonia?” con conseguente “Si” e un’intera nazione che chiede con una sola voce: “Vogliamo invadere la Polonia” per qualche strana ragione ( a meno che uno dei soliti quattro gatti non glielo abbia inculcato ).
    E’ sempre stato così nella storia umana, il paradigma avanguardista ( a cominciare dal leninismo ) è proprio quello. Il popolo da solo non riuscirà mai ad evolversi, è necessario che una elite di intellettuali, economisti, politici lo guidi con gli strumenti della propaganda.
    Io nei ‘popoli’ non ci vedo il male causato da chi ne ha fatto strumento.

  13. Luigi (veneziano) ha detto:

    @ marisa

    Mi pare evidente un tuo pervicace non voler comprendere ciò che ho scritto.

    Ciò che ho scritto è – in altre parole – che anche quando le masse popolari “entrarono nella storia” (parafrasando un’affermazione della storiografia marxista) non si evitarono disastri.

    Mirabili libri sul consenso dei regimi totalitari sono stati scritti oramai da decenni. Ce n’è uno di uno storico britannico – di nome Ian Kershaw – sul cosiddetto “Enigma del consenso” in Germania nei confronti di Hitler e del nazismo. Giacché il regime nazista ebbe un consenso fra i tedeschi prima ignoto e amplissimo.

    Tanto perché tu dopo tu non mi accusi di filonazismo, ti invito nuovamente però a ciò che ho REALMENTE scritto, per cui misura le parole prima di commentare.

    Sul piano più brutale del consenso dei tedeschi verso lo sterminio di massa, anche qui sono stati scritti dei libri assai famosi. Il più noto dei quali – sia pure criticabile per molti aspetti – è “I volenterosi carnefici di Hitler” di Daniel Goldhagen.

    Il discorso quindi – e qui mi rivolgo anche a sindelar – è molto più complesso di “c’è uno che tira i popoli e i popoli si fanno manipolare”, giacché non è per nulla vero che ciò è accaduto sempre, e non è per nulla vero che ciò è accaduto per ogni avventura tentata da chi “tira i popoli”. Esistono vari casi in cui uno cercò di “tirare” e si trovò poi alla fine della fiera appeso a testa in giù a Piazzale Loreto, o in qualche altro modo fatto fuori.

    Non si spiegherebbe in modo così semplice com’è stato possibile che pochi mesi dopo l’avvento al potere di Hitler si inaugurassero i primi Lager, che vennero accettati abbastanza tranquillamente dalla popolazione tedesca. Non si spiegherebbe nemmeno in modo così semplice com’è stato possibile che un regime indicasse ebrei ed altre categorie come gente da ammazzare, trovando una risposta così fertile da parte di migliaia e migliaia di tedeschi. In realtà – com’è dimostrato da qualche tonnellata di studi – Hitler riuscì ad incarnare qualcosa che toccò profondamente l’animo dei tedeschi.

    Tornando a Marisa, ella in verità non fa che giudicare il passato con gli occhi, le conoscenze e le sensibilità dell’oggi. E’ vero che nei regimi esiste la propaganda (esiste anche in democrazia…), ma è anche vero che certi tipi di regimi – come il fascismo – non furono solamente un’autocrazia o un’oligarchia imposta dall’alto. Basti ricordare che Mussolini non andò al potere con una congiura di palazzo, ma tramite una sorta di “colpo di stato di massa”, come fu la marcia su Roma del 1922. Mussolini però a quel tempo aveva già sostenuto una prova elettorale nazionale, prendendo il 14% dei voti nel 1921, e nel 1924 – non ancora divenuto pienamente “regime” – portò a casa il 61% dei voti.

    Così come i nazisti nel 1932 presero il 37% dei voti, risultando il partito più eletto.

    E’ più corretto quindi identificare una sorta di “azione-reazione”: regimi totalitari basati anche sull’appoggio popolare, ottenuto anche (ma non solo) in forza di un’ossessiva propaganda. Appoggio popolare che – come probabilmente non sai – veniva costantemente monitorato sia in Italia che in Germania. Anche se può apparire strano, è dimostrato che Hitler e Mussolini s’interessarono moltissimo dei sentimenti dei rispettivi popoli.

    Luigi (veneziano)

  14. Lupo ha detto:

    Luigi…. quelle che tu chiami “follie” altri le chiamano ONORE!
    Nobis!

  15. marisa ha detto:

    Curioso come LUIGI “interpreta” la storia per arrivare sempre e comunque alle sue conclusioni. Si fa una sua idea e da li non si smuove. Che la marcia su Roma di Mussolini potesse essere fermata senza ancun problema è un dato ormai diventato oggettivo tra gli storici, dato che pare essere ignorato da Luigi che anzi la considera “una sorta di colpo di stato di massa”. Ma “quale massa”? Ma se erano una sorta di Armata Brancaleone! E il re per fermali aveva un esercito a disposizione: cerchiamo di non dimenticarlo.

    E non parliamo poi di Hitler e della sua possente macchina propagandistica (ma anche Mussolini non scherzava in quanto a propaganda!). Tanto è vero che lo storico inglese William Shirer nella sua opera “Storia del Terzo Reich” lo ha molto bene spiegato quando ha scritto: “Nessuno, se non è vissuto per anni in un regime totalitario, può rendersi conto di quanto sia difficile sfuggire alle paurose conseguenze della propaganda ben studiata e incessante di un regime”. Il culto della personalità, una propaganda incessante e studiata in maniera scientifica, annichiliscono la gente e la manipolano.

    Ma torniamo al tema del POST. Nel 1902 c’erano già tutti i segnali dell’insofferenza dei lavoratori allo loro sfruttamento sistematico e alle condizioni di lavoro insopportabili. E nel Post ne viene descritto un episodio. E’ da migliaia di episodi come questo e dalla presa di coscienza della classe proletaria dei suoi diritti, che nascerà poi il comunismo.

  16. Luigi (veneziano) ha detto:

    Marisa scrive: “è da migliaia di episodi come questo e dalla presa di coscienza della classe proletaria dei suoi diritti, che nascerà poi il comunismo”.

    C’è un’incredibile confusione di “causa ed effetto” che lascia perfino basiti.

    Episodi di “insofferenza dei lavoratori” ve ne furono a tonnellate nel corso della storia, a partire dai tempi dei romani.

    Ma “il comunismo” è una teoria ben precedente i fatti di Trieste: Marx, nel 1902, giaceva sotto tre metri di terra già da diciannove anni.

    Riguardo al consenso dei regimi totalitari, ella continua evidentemente a non voler capire ciò che ho scritto.

    Non è un problema mio.

    Mi permetto però di far notare che ai tempi di Shirer non esistevano quasi gli studi su tale tema, di conseguenza è assai difficile che se ne parli.

    Il libro di Shirer sul suo periodo berlinese apparve nel 1941, e la sua storia del Terzo Reich nel 1960: mezzo secolo fa.

    Il tema del rapporto fra propaganda e consenso è invece divenuto assai trattato a partire dagli anni ’70, avendo anche delle notevoli implicanze con l’oggi.

    Marisa, dovresti un po’ aggiornarti…

    L.

  17. Lupo ha detto:

    Per i primi due capoversi concordo con Marisa.
    Poi…..
    “E’ da migliaia di episodi come questo e dalla presa di coscienza della classe proletaria dei suoi diritti, che nascerà poi il comunismo.”
    e da là nasceranno tutte le tragedie di quel secolo… che si trascina ancora oggi in regimi omicidi come in Corea del Nord, Cina, Cuba…

  18. marisa ha detto:

    LUPO: la degenerazione “è altro” rispetto al principio comunista che voleva la tutela dei lavoratori e l’uguaglianza di tutti gli uomini. Direi che questi due principi sono anche nel Cristianesimo. O no?

  19. abc ha detto:

    Complimenti per l’articolo, un resconto di questi fatti sconosciuti ai più.

    E’ poi scaturito un interessante e sempre attuale dibattito sull’influenza della propaganda sull’ orientamento dei popoli.
    Basta vedere cosa succede quest’estate: mentre il Giornale e Libero usano ogni giorno una decina di pagine per attaccare Fini, e mentre uno dei settimanali di famiglia pubblica una foto di Marina Berlusconi con tette da sedicenne, per non parlare delle televisioni, ecco cosa succede alla Mondadori http://sottoosservazione.wordpress.com/2010/08/19/mondadori-salvata-dal-fisco-scandalo-ad-aziendam-per-il-cavaliere/

    Ma tornando al dibattito, concordo con Marisa nel definire la marcia di Roma non un movimento di massa. Quanto alle elezioni del 1924, sappiamo tutti in quale clima si svolsero.

  20. abc ha detto:

    “un dibattito che è smepre attuale” anziché sempre attuale dibattito.

  21. Eros ha detto:

    Infatti la propaganda non e’ propria solo dei regimi dittatoriali (in Jugoslavia, comunque, non ce n’era), ma anche di quelli democratici. Basta pensare all’Italia del pentapartito, in cui ci veniva detto che i cittdini del Patto di Varsavia dormivano in 20 in una stanza e mangiavano pipistrelli…

  22. sindelar ha detto:

    Chiamatela propaganda o come volete ma il fine resta sempre quello della creazione del consenso. E questa “fabbrica del consenso” come l’ha chiamata e descritta molto bene qualcuno è attiva ancora ai giorni nostri per questo non possiamo illuderci che tutto quello che ci venga raccontato sia vero ma dobbiamo accontentarci di ricercare ciò che è più verosimile.

    Sono passato in libreria questa mattina e ho trovato un libro di Canetti intitolato “Massa e potere” forse qualcuno lo ha letto e può dirmi se merita. Ciao e grazie.

  23. marisa ha detto:

    Comunque, e vado fuori del POST per rispondere a Luigi, Marx fu un grandissimo filososo ed economista. Una pietra miliare nel campo filosofico e nella teoria economica.
    Poi “altri” hanno creato, partendo da alcune sue teorie in campo economico, quel movimento politico che prese il nome di comunismo e che inizialmente era una risposta ad una società divisa pesantemente in classi sociali, con la classe operaia senza diritti e sfruttata in maniera bestiale (l’industrializzazione era iniziata nel 1700 in Inghilterra).

    Poi ci sono state le degenerazioni e le dittature (Stalin) ma inizialmente era una risposta a situazioni come quella raccontata nel POST.

    Era questo che volevo dire.

  24. Eros ha detto:

    Marx, a livello filosofico, ha sviluppato ciò che Mandeville, Hume e Smith avevano intuito decenni prima: l’individuo è MOSSO da interesse economico. Le cose le facciamo se ci CONVENGONO, se ci INTERESSANO. Nessuno di noi fa una cosa contro il proprio interesse.

    Leggetevi LA DISSOLUZIONE DEL POTERE di Stefano Lusa: li si spiega come la Slovenia abbia avviato l’iter di distruzione del Pkj e la secessione dalla Jugoslavia proprio per questioni ECONOMICHE: sapeva che poteva competere sul mercato europeo e diventare una TIGRE dei Paesi Emergenti solo se si fosse sganciata dal parassitismo comunista jugoslavo, il cui centro operativo era il Pkj.

    Gli interessi egoistici di uno di noi sono un dato di fatto. Chi li nega è un ipocrita. Ci sono due modi per regolarli: il comunismo ed il liberismo. Il primo ha fallito. Il secondo va in crisi quando lo Stato, questo mostro leviatanico, lo frena e lo cerca di soffocare.

  25. Paolo Geri ha detto:

    @23 Marisa.
    Sono parecchio d’ accordo con quanto affermi. Non a caso lo sciopero dei fuochisti del 1902 nasce “spontaneo” – quanto poi lo fosse non è dato sapere – di sicuro fra i fuochisti c’ erano iscritti e propagandisti del Partito Socialista dei tempi. Di certo è che viene subito “diretto” dai dirigenti socialisti triestini del tempo che non solo sono “riconosciuto” come loro dirigenti dagli scioperanti, ma risulterebbero aver anche partecipato alle successive trattative. Il rapporto fra questi scioperi “socialisti” dei primi del Novecento e la storia seguente mi sembra a dir poco ovvio. Il Partito Comunista d’ Italia nasce a Livorno nel 1921 proprio per una scissione dal Partito Socialista.

  26. Bibliotopa ha detto:

    e se non erro, fu la scissione del 1921 che indebolì il Partito Socialista triestino, con la progressiva messa in ombra di personaggi come Pittoni.

  27. Paolo Geri ha detto:

    @26 Bibliotopa.
    Questo avvenne un po’ in tutta Italia e soprattutto dove esisteva una forte classe operaia. Si pensi a Bordiga e Gramsci a Torino. Valentino Pittoni peraltro era un socialista un po’ particolare anche se amatissimo a Trieste. Ricordiamoci che – da direttore de “Il Lavoratore” a partire dal 1904 – fu duramente contrario agli ideali irredentisti sviluppando ulterioremente l’ elaborazione di Angelo Vivante. Con il rafforzamento del fascismo scelse l’ esilio volontario a Vienna. La creazione di uno stato neutrale e indipendente nella regione Giulia fu l’ idea che propose al congresso socialista internazionale di Trieste nel 1905. Mi risulta che nel 1915, l’ Italia chiese all’ Austria-Ungheria, in cambio della propria neutralità, la creazione di uno stato libero di Trieste e nel 1918, lo stesso Pittoni ripropose nel parlamento austriaco che Trieste fosse trasformata in uno stato neutrale sotto protezione internazionale. Socialista si ma – per certi versi – autonomista ante litteram.

  28. abc ha detto:

    A me risulta che l’Italia chiese, oltre a Trento, anche Trieste. L’Austria invece propose l’internazionalizzazione di quest’ultima città.

  29. abc ha detto:

    Paolo Geri, scusa: hai ragione tu. Credo di aver letto da qualche parte ciò che ho sostenuto nel mio commento 28, però sono andato a controllare ed invece ho trovato nella collana “civiltà del risorgimento”, nel volume che tratta “i molti problemi dell’Italia al confine orientale”, del Bianco editore, scritto da Mario Dassovich. a pag 170:

    “Il 16 aprile 1915 – di fronte alle precise richieste italiane del Trentino, dell’Alto Adige, delle zone di Gorizia e Gradisca, delle isole Curzolari, di Valona, dell’istituzione di Trieste in stato indipendente – il Governo di Vienna comunicò che era disposto a lasciare Valona all’Italia, a cedere il Trentino fino a Salorno, ad acconsentire a guerra finita una rettifica di confine all’Isonzo.

    Infine il 9 maggio 1915 i due rappresentanti diplomatici degli Imperi Centrali a Roma prospettarono concessioni più ampie e comprendenti fra l’altro un benevolo esame delle esigenze italiane su Gorizia e sulle isole Curzolari.”

    Ma il 26 aprile era ormai già stato firmato il patto di Londra.

  30. chinaski ha detto:

    @ luigi, marisa e sindelar

    il primo a parlare del fascismo come di un “regime reazionario di massa” fu togliatti nel 1935. pure gramsci nei quaderni era arrivato piu’ o meno alle stesse conclusioni, anche se il concetto non lo aveva espresso in termini cosi’ lapidari.

    ad avere tempo ed energie, sarebbe poi interessante leggere “Der Faschismus als Massenbewegung” (1934) dello studioso marxista arthur rosenberg.

    resta il fatto che l’ adesione di massa a “imprese” come lo sterminio degli ebrei (anche nella loro versione italiana!) non si puo’ spiegare in termini di lotta di classe, nemmeno ricorrendo alla definizione di antisemitismo come “socialismo degli imbecilli” (a. bebel). in questi casi entrano in gioco questioni piu’ profonde, e forse non se ne verra’ mai a capo. e’ anche probabile che l’ aspetto piu’ sconvolgente della shoah, cioe’ la combinazione di brutalita’ e di efficienza tecnocologica (spinta fino all’ uso industriale dei cadaveri) appartenga allo specifico europeo, con buona pace dei predicatori della superiorita’ della civilta’ occidentale.

  31. sindelar ha detto:

    chinaski. Dimmi cosa ne pensi.

    I think the subject which will be of most importance politically is mass psychology…. Its importance has been enormously increased by the growth of modern methods of propaganda. Of these the most influential is what is called “education.” Religion plays a part, though a diminishing one; the press, the cinema, and the radio play an increasing part…. It may be hoped that in time anybody will be able to persuade anybody of anything if he can catch the patient young and is provided by the State with money and equipment.

    The Impact of Science on Society (1951)

    (l’ho tirata fuori da wikipedia, ammetto di non aver letto il libro)

  32. chinaski ha detto:

    sindelar

    e’ bertrand russell, se non sbaglio. credo che abbia ragione. le guerre nei balcani negli anni ’90 sono li’ a dimostrarlo. e’ anche vero che la propaganda e’ molto piu’ efficace se riesce a smuovere pulsioni profonde, agendo sul represso degli individui.

  33. sindelar ha detto:

    Si scusa, hai ragione è Russell, a me pare che sia in antitesi a quello che diceva Togliatti. La parola “massa” è spesso indicata nel ruolo attivo degli eventi. Ma a monte è sempre oggetto di persuasione da parte di un potere che detiene i mezzi per ‘crearla’ e muoverla.

  34. chinaski ha detto:

    quel che dicevano togliatti e gramsci era sostanzialmente questo: il fascismo e’ un regime che gode di un sostegno di massa, in quanto incarna le istanze della piccola borghesia, della burocrazia statale, degli agrari e delle grandi famiglie del capitalismo. avevano quindi capito che il regime aveva un sostegno di massa, ma davano un’ interpretazione di questo sostegno basata solo sul concetto di lotta di classe. sottovalutavano sia il ruolo della propaganda, sia quello delle spinte irrazionali su cui la propaganda faceva leva. bisogna dire pero’ che anche le analisi che prescindono dal conflitto di classe sono incomplete e mistificatorie. nella rimozione dell’ aspetto materiale dei conflitti sguazzano anche oggi i mestatori terzaposizionisti, tipo nazi-maoisti, nazional-comunisti e legaiol-leghisti.

  35. sindelar ha detto:

    Che la parola ‘classe’ sia stata rimossa negli ultimi anni dal vocabolario corrente è vero, ed è stata una sconfitta per le fasce più deboli.

  36. marisa ha detto:

    E’ notorio che il fascismo fu finanziato dal capitalismo agrario preoccupato dell’avanzare della lotta di classe che non poteva che nuocere ai suoi interessi. La mezzadria in Italia fu sconfitta solo negli anni 50/60 dopo una lunga battaglia dei sindacati dei contadini.

    Ma nè i capitalisti agrari, nè la borghesia possono essere considerati “la massa degli italiani”. Anzi sono una sua piccolissima parte. Che poi la propaganda parli alla “pancia della gente” o meglio ancora “inventi un nemico su cui scaricare frustrazioni e paure” rientra nella “scientificità e strategia” della propaganda che è una vera e propria scienza. Basta pensare al fatto che oggi dietro la pubblicità ci sono sociologi, psicologi e strateghi della comunicazione di massa.

  37. chinaski ha detto:

    la grande manipolazione e’ stata la sostituzione, nell’ immaginario dei lavoratori, del conflitto di classe con il conflitto etnico. questo vale in fabbrica, dove gli “autoctoni” se la prendono con i “foresti” (magari con il supporto teorico di qualche “intellettuale” di formazione marxista, che ha riciclato e rimesso in circolo il peggior razzismo differenzialista). ma vale anche in politica internazionale. penso ai vari “campi anti-imperialisti”, nei quali post-fascisti e post-comunisti fanno lingua in bocca con gente del calibro di ahmadinedjad, tanto per capirsi.

  38. chinaski ha detto:

    il mio ultimo post era per sindelar (n. 35)

  39. chinaski ha detto:

    sindelar

    pensa un po’ la contraddizione di gente che proviene dal marxismo, e che dopo aver rimosso totalmente il concetto di lotta di classe si ritrova a sostenere, in funzione anti-imperialista (leggi: anti-americana) regimi come quelli mediorientali, in cui il “proletariato” vive in condizioni spaventose.

    ma forse siamo un po’ troppo ot.

  40. Luigi (veneziano) ha detto:

    Il primo che tentò di sistematizzare la questione sociologica della massa fu Elias Canetti (“Massa e potere”, 1960). Opera mirabile, sia pure ai miei occhi basata s’una trattazione quasi onirica, visionaristica.

    Canetti parte da alcune sue esperienze personali e dirette, quali la partecipazione al grande corteo di Vienna del 15 luglio 1927, quando venne assaltato il palazzo di giustizia, la polizia aprì il fuoco e novanta manifestanti vennero uccisi. Canetti rimase sconvolto dal sentirsi parte di un’entità – la massa – di enorme potere attrattivo, che lui paragona al fenomeno fisico della gravitazione.

    In Italia per anni fu proprio l’interpretazione togliattian-gramscian-marisiana a prender piede: la massa del popolo rimase sostanzialmente estranea e succube del fascismo, incarnante la grande e media borghesia che impose il suo tallone al resto del paese.

    Era una visione obbligatoriamente ideologica, non potendosi nell’interpretazione marxista ammettere che le masse proletarie fossero invece state parte attiva anche del movimento fascista.

    Solo negli anni ’70 si riuscì – più in meno in parallelo con i coevi studi sul consenso del regime nazista – ad emanciparsi da questa interpretazione ideologica.

    In realtà si dimostrò che il consenso dei due regimi totalitari – sia quello italiano che quello tedesco – fece leva anche s’una serie di conquiste sociali che contribuirono a creare un vero e proprio consenso di massa, pure nelle classi meno abbienti.

    Il boom economico della Germania degli anni ’30 venne ottenuto grazie a misure tipiche del new deal rooseveltiano, sia pure in maniera quasi non voluta (Hitler odiava l’economia, che a suo dire doveva essere pienamente secondaria rispetto all’ “idea”). La Germania conobbe ad un tempo l’irreggimentazione più feroce e uno spettacolare aumento della produzione di tutti i beni.

    Come ha argutamente notato Joachim Fest, le masse si avvicinarono al potere – in Germania – non attraverso una presa di coscienza in contrapposizione con le classi sociali più elevate, ma attraverso l’inserimento pilotato dall’alto di ogni singolo tedesco nelle miriadi di associazioni e gruppi creati “ad hoc” dal partito. In questo senso, il tedesco ebbe la sensazione per la prima volta nella propria storia di esser parte organica di un “tutto” (la Nazione, il Popolo), in nome del quale egli esaltava la sua individualità, paradossalmente annullandola.

    Sono molti gli studi che dimostrano come per la prima volta vennero attaccati – durante il regime nazista – i tradizionali pilastri della società tedesca, permettendo una fluidità sociale prima sconosciuta: per la prima volta arrivarono al potere in Germania persone provenienti da classi sociali di basso o bassissimo livello, compreso lo stesso Hitler, che dopo la Grande Guerra era sostanzialmente un fallito e disprezzava apertamente e radicalmente la borghesia viennese, così come varie volte aveva manifestato sentimenti di aperta contrapposizione verso le chiese cristiane tedesche: nella sua visione la Germania avrebbe via via gettato alle ortiche il cristianesimo e quelle che considerava manifestazioni bigotte e piccolo-borghesi. Solo nell’immediato e per motivi tattici arrivò quindi a firmare il concordato con la chiesa cattolica: Hitler arrivò anche a dichiarare che alla fine della guerra avrebbe fatto i conti definitivi con i vescovi e con i preti, che nei territori occupati non si preoccupò minimamente di spedire a fraccate nei lager.

    Il fenomeno “rivoluzionario” del fascismo e del nazismo è assai complesso. Se evitiamo quindi l’interpretazione sostanzialmente consolatoria della storiografia marxista, in realtà compiamo un passo avanti, riuscendo ad avere degli strumenti interpretativi anche per l’attualità.

    Se invece continuiamo a pensare a Hitler e a Mussolini come sostanzialmente degli strumenti in mano della borghesia, continueremo a non capire nemmeno il perché di alcune drammatiche situazioni attuali. In pratica, non avremo gli strumenti storico-concettuali per evitare i “fascismi” dell’oggi, che si presentano e si presenteranno in modo diverso dai “fascismi” di ieri.

    L.

  41. matteo ha detto:

    ovvio, a quel tempo il partito socialista era il piu votato, a discapito del partito irredentista, che prendeva pochi voti e solo dalla alta borghesia

  42. chinaski ha detto:

    @ luigi, marisa e sindelar

    forse ne avevate gia’ sentito parlare, ma ve lo segnalo lo stesso:

    http://www.carmillaonline.com/archives/2010/07/003561.html

  43. sindelar ha detto:

    Non credo che Hitler fosse stato preso e messo lì dalla borghesia o altri. Credo che sia successo quello che è successo con la lega negli ultimi anni e che sta succedendo con i tea party in america attualmente (nelle dovute misure, ma delle somiglianze è probabile che ci siano).
    Movimenti che pongono delle questioni serie alle quali danno risposte demagogiche. Danno delle risposte a gente che vuole sentirsi dare delle risposte perchè altri non gliele danno.
    Che poi divengano funzionali agli scopi delle classi più agiate o che spesso siano manovrati dalle stesse organizzazioni contro le quali si battono (banche o multinazionali che siano) è un altro discorso.
    Il problema è che non vanno presi sottogamba come fu fatto in passato per nazismo e fascismo.
    In Germania la gente avesse grossi problemi dopo la prima guerra mondiale e i nazisti non fecero altro che dare loro delle risposte: la colpa era degli ebrei e dei bolscevichi e con loro al potere i problemi sarebbero scomparsi.
    Non voglio dire che non dobbiamo chiedere delle riposte ai politici, ma fino a quando essi non sapranno darle a chi vive in situazioni di disagio (criminalità, perdita di lavoro) quel tipo di movimenti avrà sempre consensi di cui alimentarsi.

  44. marisa ha detto:

    Grazie Luigi mi avermi messa in compagnia di Gramsci e Togliatti! Non pretendevo tanto!

    Ti consiglio la visione di qualche cinegiornale LUCE del periodo fascista con i bambini italiani che andavano al campeggio con il fucile di legno in spalla. Oppure le “spose” che regalavano al regime le loro fedi nuziali o i reduci le loro medaglie: la “Patria” aveva bisogno del loro sacrificio! Questi film CineLuce non sono ideologia marxista, ma la realtà di ciò che fu il fascismo! Io ne ho molti di questi cinegiornali Luce (in copia ovviamente): sono molto più istruttivi di qualsiasi libro o analisi di qualche intellettuale.

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