2 Aprile 2010

Menù tradizionale di Pasqua. Alcuni simboli a tavola. E tu cosa mangi?

A pochi giorni dalla Pasqua, camminando per la città, non si può non notare come buffet, salumerie e supermercati ci ricordino l’evento attraverso l’offerta di dolci e pietanze tipiche del periodo. Fra queste “esche” qualcosa si rifà alla lunga tradizione pasquale triestina e carsolina, mentre altre cose sono “importate”. In ogni caso il periodo è veramente ricco di piatti e preparazioni tradizionali, e non ha nulla da invidiare al più luccicante Natale.
Nella tradizione si cucinava e si preparavano le decorazioni in casa con l’aiuto di tutti.
Un dolce povero tipico, ormai oggi dimenticato, del venerdì santo, era l’aleluja, che è una rapa lessa passata nel burro con zucchero e pan grattato. Una ricetta che oggi difficilmente troverebbe spazio sulle nostre tavole, ma che probabilmente è molto buona e meritevole.
Al sabato venivano cucinate la pinza (pinca) il presniz (pres’nc) e la putizza (potica). Tutti dolci che sono ancora diffusissimi sulle nostre tavole, specie la pinza, che da dolce pasquale si è trasformato in dolce da ogni giorno.

Proprio la pinza è uno di quei dolci immancabili nella sua semplicità e fragranza. Oggi si trova ovunque dalla pasticceria al supermercato, e forse per ovviare alla sua inflazione certi pasticceri triestini stanno cominciando a proporla assieme a cioccolata, noci o altri condimenti ancora. In casa si fa poco a differenza di un tempo. E con la pasta della pinza un tempo si preparavano anche le titole e i nidi (gnezda). Questi due dolci, tipicamente destinati ai bambini, sono ottenuti intrecciando l’impasto della pinza e inserendovi un uovo sodo colorato. In genere le titole erano destinate alle ragazze, mentre i nidi ai ragazzi. Spesso erano le nonne a preparare ai nipoti queste prelibatezze;oggi certe famiglie comprano ancora le titole e i nidi, mentre sono poche le persone che le preparano in casa.

A proposito delle uova colorate. La loro preparazione era una festa ed un gioco. Queste venivano colorate cuocendole insieme a delle bucce di cipolla rossa o con i fondi del caffè. Oppure venivano colorate legandole a determinati fiori e foglie e poi bollite. Inoltre per tradizione quest’acqua veniva usata per cuocere la tipica spalletta o l’ossocollo (porzina) pasquale o per preparare delle minestre per i giorni successivi.

Passando al presniz (presnitz, presenec) bisogna dire che le ricette che girano variano molto e non è esagerato dire che in passato quasi ogni famiglia avesse una sua versione dell’amato dolce, soprattutto per quanto riguarda il ripieno. L’origine del dolce si riconduce probabilmente alla scuola viennese. A parer mio questo dolce è veramente uno dei vertici della nostra pasticceria e senza entrare nei dettagli lo si può brevemente descrivere come composto da un ripieno compatto, quasi come un marzapane, a forma di salsiciotto ritorto e avvolto in una sottile sfoglia zuccherata appena.

Più controversa e sfaccettata la discussione sulla putiza, il cui nome deriva dallo sloveno potica. Tradizionalmente è un dolce preparato soprattutto sul Carso, meno in città. Il ripieno può assomigliare a quello del presniz, ma anche in questo caso le varianti son infinite e ciascuno può portare la propria testimonianza. A differenza del presnitz il ripieno viene disteso e arrotolato sulla pasta come in uno strudel. Sulla natura dell’impasto si trovano due varianti. Comunque sembra che la potica originaria (e così la si trova in Slovenia, fino a Lubiana) sia fatta con la stessa pasta della pinza, mentre oggi a Trieste la pasta assomiglia per lo più a quella della Gubana.
Un giorno lo zio di mia moglie mi spiegò velocemente la differenza fra gubana e putiza e disse che sta tutto nell’alcol. Parlò della gubana come della putiza senza grappa…

Oggi giorno ai bambini si regalano molte uova; purtroppo si tratta di pasticceria in serie, e chi le crea è un designer e non un artigiano dei dolci. Tuttavia è in aumento il dono di uova artigianali create nei numerosi laboratori pasticceri della città. La qualità di questi prodotti è sicuramente migliore di quelli industriali, sia da un punto di vista estetico che di gusto. Ancora oggi i bambini aspettano con ansia la sorpresa, anche se una nota industria dolciaria ha strappato questa tradizione pasquale ai bambini, rendendola una scontata pratica quotidiana.

Fra le altre pietanze indissolubilmente legate a questa festività ricordiamo la gelatina (žjuca). In questi giorni il suo nome richiama molti avventori nei buffet e nelle macellerie che la propongono. Si tratta di un piatto non leggero, che si contrappone al magro del venerdì santo, trattandosi di puro grasso animale. La sua preparazione è piuttosto lunga e prevede la cottura lenta di un brodo con piedini di maiale, talvolta anche di vitello, orecchie suine e stinco di manzo. Il brodo va fatto cuocere a lungo a fuoco moderato e schiumato di continuo. Una volta finita la cottura si spezzetta la carne in alcuni piatti e poi vi si aggiunge il brodo “condensato” e filtrato con sale, pepe e alloro nei piatti. Il brodo nella lunga cottura perde gran parte della sua frazione liquida, arricchendo la sua parte grassa. Una volta raffreddato il composto deve diventare gelatina compatta. Non proprio una leggerezza, ma tanto gusto.

Altri piatti che non mancavano in un pranzo pasquale erano, come detto, la spalletta lessa o cotta nel pane; e poi non mancava mai il hren; e pare strano ma aveva applicazioni diverse: veniva servito grattugiato con olio, sale e terrano come un’insalata; oppure veniva servito lesso e passato in burro, zucchero e pan grattato. Sulle tavole si trovava spesso anche il brodo con i tagliolini (lezanji), l’agnello arrosto, el sguazeto (žvacet), patate in tecia e gli immancabili fiori di finocchio polverizzati. E per finire bisogna dire che la pinza, e ciò si usa ancora oggi, veniva servita anche col prosciutto.
Fra le varie notizie che ho raccolto ho anche rilevato che nei paesi vicini al mare il giorno di Pasquetta si era soliti cucinare le seppie fritte.

Come curiosità finale ho recuperato anche la simbologia dietro ad alcune preparazioni pasquali.
La pinca simboleggiava il pane benedetto, la gelatina il terremoto, le uova il gallo, il kren la bile, la carne il corpo di Cristo, il pres’nc la corona di Cristo.

Questa è una sintesi di alcune ricette tradizionali delle festività pasquali; sicuramente ci piacerebbe conoscere la vostra esperienza e le vostre preparazioni. Vi invitiamo a inviare alla redazione idee, spunti e riflessioni delle vostre tradizioni e dei vostri pranzi pasquali. Potete inviare il menù pasquale e le relative foto a redazione.trieste@bora.la e redazione.gorizia@bora.la. La prossima settimana pubblicheremo le proposte pervenute.

Molte delle notizie contenute nell’articolo sono tratte da “Xè più giorni che luganighe” di Vesna Guštin Grilanc e “I dolci a Trieste” di Mady Fast.

Bona Pasqua e bone pinze!

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5 commenti a Menù tradizionale di Pasqua. Alcuni simboli a tavola. E tu cosa mangi?

  1. bonalama ha detto:

    ho scoperto grazie al vs articolo l’usanza che mi era ignota di regalare titole alle femmine (che io ricevevo) e nidi ai maschietti. penso si tratti di ricordi precristiani, visto il simbolismo che mi pare nettissimo. ki ne sa di +? grazie e auguri a tutti

  2. piero vis'ciada ha detto:

    – boni ovi e bona pinza a tuti !
    http://www.flickr.com/photos/pierovis-ciada/3435497204/

  3. Bibliotopa ha detto:

    Gubana: putizza senza grappa? quando me l’hanno offerta, l’hanno sempre irrorata di grappa!
    una nonna la cucinava anche per Pasqua, ma l’altra giurava che era solo natalizia,e per Pasqua faceva solo il presniz. Presniz di cui ogni famiglia aveva la sua ricetta, variando sia la pasta che soprattutto il ripieno: grande dilemma: cioccolata o no? miele o no? nocciole o no? ogni famiglia aveva la sua scelta.. e allora regalare un presniz fatto in casa era usuale, adesso a volte sembra che se non lo offri di pasticceria ( fatto con la margarina, e si sente spesso dall’odore del grasso!) sembri un poveraccio che non vuol spendere.

  4. dimaco ha detto:

    Me ricodo mia nonna che a pasqua infornava il pane ,la pinza e i menihi(frati), penso si tratti delle titole(cosa che mia mamma fa ancora oggi per mia figlia e mio nipote, ma nel forno elettrico mentre invece nonna usava il forno a legna). Quanti ricordi dell’ infanzia sono legati a questo periodo dell’anno.
    Concordo con bibliotopa riguardo al fatto che oggi si pensa sia meglio la roba di pasticceria che non quella fatta in caa.Se non compri sembri un poveretto. Ma per me le cose fatte in casa sono sempre le migliori.

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