25 Febbraio 2010

Quando eravamo Re: il Great Complotto Pordenone

Ovvero i giorni in cui il punk sbarcò in Italia. Pordenone, fine anni settanta, e nulla da fare. Una città della provincia, nella grande indifferenziata zona grigia ragionieristica dell’Italia padana. Pordenone, ovvero: quando non c’era proprio nessun modo di passare il tempo, niente d’interessante (e la gente che aspetta qualche caso di cronaca nera, un assassinio, un furto, per dio – anche solo uno scippo, purché ci sia qualcosa di cui discutere con gli amici la domenica mattina, dopo la messa, e invece niente!). Pordenone: ciò che sta a cavallo tra Treviso e Udine, che sta bene, che vota DC, un posto tranquillo, un eterno lunedì mattina, e tu hai quindici anni lì in mezzo.

Il Complotto è l’esperienza musicale più importante della musica italiana contemporanea: “venti gruppi punk in una città di cinquantottomila abitanti”. Una storia come quella del Complotto di Pordenone è unica ed è giusto ricordarla per il valore che ha avuto. Per capirlo, vi prego di guardare uno spezzone della puntata di Mister Fantasy dedicata a Pordenone: scalinate all’ingresso della chiesa di San Giorgio.

In piedi, una cinquantina di ragazzi e ragazze tutti ben vestiti. Nessuno ha più di vent’anni, o comunque nessuno li dimostra. Appartengono tutti, chi più chi meno, al Complotto. Cantano in coro, come tanti bambini delle elementari, Atoms for energy, una canzone di uno dei loro complessi, i Sexy Angels. Ripetono il testo, senza posa, “atoms for energy – atoms for energy – atoms for energy – atoms for you!”, e saltano quando pronunciano “you!”.

Già, elementari. Quando ero bambino ricordo che avevamo un’ora a settimana in cui a scuola si cantava. Niente strumenti o spartiti, solo canzoni che ci limitavamo a intonare tutti insieme. Roba come Samarcanda, o la mula de parenzo. Seguivamo tutti le solite canzoni (ancora “Bella Ciao”? Ma che palle!). Però all’ultima canzone potevamo fare tutto il baccano che volevamo. Anzi, di più: il baccano era necessario. Inspiegabilmente, il maestro lasciava che tutta la scuola si sgolasse in una versione sguaiata di “supercalifragilistichespiralidoso”. Era il nostro momento di ribellione. Urlando “supercalifragilistichespiralidoso”, ci davamo tutti giù così tanto di gola che cantavamo con le mani sulle orecchie. In quell’urlo, ci mettevamo tutte le nostre piccole, grandi, personali sfighe. Accumulavi ed accumulavi, per poi rilasciare tutto. I tuoi genitori ti avevano sgridato? Supercalifragilistichespiralidoso! La maestra aveva scoperto che non avevi fatto i compiti? Supercalifragilistichespiralidoso! Eri perdutamente innamorato di qualche bambina con i capelli rossi con la quale non avevi il coraggio di parlare? SUPERCALIFRAGILISTICHESPIRALIDOSO! Poi tornavi alla vita normale, però se non altro ti era rimasto il senso di liberazione, di gioco di quel grido.

Ecco cosa è stato il Great Complotto Pordenone: duecento ragazzi, venti gruppi ed i loro amici, che hanno tentato il loro supercalifragilistichespiralidoso, soltanto per vedere come veniva, e poi per un po’ ci hanno creduto sul serio
. Duecento bravi ragazzi, verrebbe da dire. Non stiamo qui a guardare i loro abiti o i loro nomi che scandalizzavano gli stessi punk londinesi (“HitlersS”, “Tampax” per dirne un paio). Se un gruppo deve scegliere nomi così, e mettere in gioco la croce uncinata (moltissimi i riferimenti al nazismo e ad Hitler) è chiaro che è soltanto perché la violenza non l’ha mai vista. E perché, al di là delle borchie e dei giacconi in pelle, sono dei bravi ragazzi che non farebbero male ad una mosca. Degli adolescenti un po’ ingenui, e tutto qui, che non facevano nemmeno uso di droghe (“se ti droghi il sistema ha vinto”). E che hanno dato vita al punk nostrano, con soluzioni elettroniche di tutto rispetto e capaci di anticipare, in qualche modo, tutta la scena new wave anglosassone. L’hanno fatto soltanto per provare.

Nessuno veniva a suonare, a Pordenone, e così si sono creati la propria musica e a nessuno importava di padroneggiare lo strumento, bastava solo far casino e crearsi un piccolo spazio di libertà. Tanto poi la società, in qualche modo, ha sempre la meglio e una volta nella vita licet insanire. Torni in classe e ti rimetti al lavoro. Soprattutto qui. E poi ci sono i professori. I datori di lavoro. La moglie e i figli. E le banche. E il lavoro. In una sonnolenta cittadina in cui non succede mai nulla, una volta, qualcuno ha provato a mettere in scena una grande burla collettiva. A quanto pare, riuscendoci.

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2 commenti a Quando eravamo Re: il Great Complotto Pordenone

  1. Rakija ha detto:

    Bravo el mulo Toè. Articolo de altissima qualità, come sempre 🙂

  2. Richi ha detto:

    Concordo, bravo Toe’, veramente un bell’articolo.

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