6 Gennaio 2010

A Sarajevo, tra le bancarelle di Markale

Sarajevo Il mercato è sempre stato per antonomasia luogo di incontro, scambio, mescolanza. In una parola: vita. Il mercato di Sarajevo non fa eccezione. Anziane signore consumate dagli anni e dagli stenti di una guerra ancora troppo vicina espongono sui banchetti la loro mercanzia. Il mercato di Sarajevo è un tripudio di profumi e di colori, in cui ci si perde come in una vertigine.
E’ quasi impossibile resistere alla tentazione di mangiare la frutta fresca, appena raccolta dagli appezzamenti adagiati sulle colline che circondano la città. E d’altra parte perché bisognerebbe resistere? Del mercato di Sarajevo conserverò il ricordo del più buon mandarino che io abbia mai mangiato, tra le voci dei venditori che incoraggiavano all’ acquisto: funghi, carote, sedani, mele, peperoni, cetrioli, patate, rafani, zucchine, limoni, cipolle, frutta secca. E poi ancora marmellate domače e frutta secca.
E poi l’immancabile rakija, il distillato che da quelle parti è la bevanda nazionale. All’ entrata stecche di sigarette accatastate l’una sopra l’altra ricordano che da queste parti il contrabbando è pratica comune e si effettua sotto la luce del sole.

Sulla facciata di una casa che chiude il mercato un gigantesco murales di un colore azzurro pallido e scrostato ricorda che nel 1984 a Sarajevo c’erano state le Olimpiadi invernali. Doveva essere stato un inverno davvero eccezionale per i sarajevesi, che avevano potuto mostrare al mondo la loro splendida città, magnifico esempio di convivenza multi religiosa. Solo otto anni dopo la follia umana avrebbe dato il via alla mattanza e il mercato di Sarajevo, dove a due riprese le granate fecero immane strage di civili, sarebbe passato alla storia come il simbolo di una guerra assurda e disumana. Le immagini di quei giorni riportano solo cadaveri e macerie fumanti, come se i colpi di obice avessero voluto zittire la voce di Sarajevo, quella del suo mercato, ferendola a morte.

Passeggiare oggi tra le bancarelle di Markale rivela quindi emozioni difficilmente descrivibili. È la terra delle colline che ha ricominciato a restituire i suoi frutti, gli occhi delle persone che sperano in un futuro migliore, le voci che si rincorrono. È la vita che vince.

+++ leggi l’articolo sul concerto dei Vah Gogh a Sarajevo, di Rodolfo Toè

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