6 Novembre 2009

Educazione siberiana

La Transnistria é una striscia di terra schiacciata tra l’Ucraina e la Moldavia. Formalmente è una regione moldava, nella realtà è uno stato indipendente sorretto economicamente e militarmente dalla Russia. Una specie di spina nel fianco delle due repubbliche ex-sovietiche che la circondano.

Nessuno stato al mondo eccetto l’Ossezia del Sud e l’Abcazia riconoscono la Transnistria indipendente, neanche la Russia (fonte Wikipedia).

Tutto ciò (nomi compresi) potrebbe sembrare il parto di uno scrittore dotato di grande fantasia. Invece è tutto vero. Com’è vero che durante il dominio sovietico, in questa regione furono deportati in massa gli Urka (o Urca), famigerata comunità di criminali siberiani ostili al comunismo e a qualsivoglia forma di governo organizzato che non sia il loro.

Nicolai Lilin, autore di “Educazione Siberiana”, è un Urka (o un loro discendente) che da qualche anno a questa parte abita in Italia.

Nel suo romanzo, Lilin ci racconta lo stile di vita della sua comunità natia, dove gli unici mestieri accettabili sono il criminale e il tatuatore. Per gli Urka, i tatuaggi sono una parte fondamentale della società. Attraverso quei complicati segni codificati riconoscono se stessi e gli altri, ne leggono la storia, le attitudini e il carattere. Il tatuaggio, nella vita degli Urka, decreta un’appartenenza e l’accettazione totale delle regole della comunità. Regole ferree, regole “buone”. Per questo motivo Lilin, lungo tutto il romanzo, lascia intendere che esistono criminali buoni (gli Urka) e criminali cattivi (gli altri). Insomma, quando ci si addentra nel suo mondo, il nostro concetto di bene e di male deve spostare le sue coordinate.

Tra gli Urka, l’attività criminale è una questione di sopravvivenza all’interno di un sistema politico-sociale che non accettano e non riconoscono (comunista o democratico-capitalista che sia). Sono anarchici verso l’esterno e saldamente governati da regole inflessibili al loro interno. Per fare alcuni esempi, nessun uomo Urka può rivolgere la parola a un poliziotto (la cui vita non conta nulla) e in caso sia proprio costretto a farlo, utilizzerà una donna come tramite. Un Urka non stupra, tratta con estrema deferenza gli anziani e non si sognerebbe mai di vessare un disabile.

Un Urka ruba, certo, ma solo allo Stato (a volte anche ai ricchi sfondati), mai alla gente comune. Ecco perché dopo la caduta del comunismo, la comunità siberiana in Transnistria si è dissolta come neve al sole. Paradossalmente, la privatizzazione ha tolto loro la maggior fonte di sostentamento e cioè lo Stato da rapinare. Per non parlare della sleale concorrenza criminale degli altri gruppi etnici (criminali cattivi) che gli Urka, con i loro metodi e le loro regole d’altri tempi, non sono riusciti a contrastare.

Così, Nicolai Lilin, raccontandoci le sue avventure banditesche vissute durante un’adolescenza a dir poco turbolenta, in realtà ci offre una specie di testimonianza antropologica di un mondo pressoché scomparso. Questa è la parte veramente interessante del libro.

Dal punto di vista letterario, il suo stile è semplice, a tratti ingenuo e bambinesco, ma questa caratteristica, invece che allontanarci dalla lettura, rafforza il fascino della storia e del mondo che l’autore racconta. Insomma, “Educazione siberiana” si legge bene e quando s’incontrano certi passaggi ingarbugliati o inconsistenti che farebbero incazzare anche un analfabeta, a Lilin glieli si perdona volentieri e si va avanti nell’esplorazione di questo mondo incredibile che non esiste più.

Parola di Custerlina.

Postilla.

L’editore, Einaudi, ha sostenuto questo libro con un’abile operazione di marketing, affermando che Nicolai Lilin l’aveva scritto direttamente in italiano (cosa di cui io dubito: è probabile che Lilin non sappia scrivere bene neanche in russo) e poi supportando il lancio con un lungo articolo di Roberto Saviano pubblicato su Repubblica, articolo che ha fatto vendere 28mila copie in meno di due giorni. A questo proposito, va rilevato che nulla lega Lilin con Saviano, a parte l’articolo e una precoce calvizie. Il primo ha raccontato una vita vissuta in prima persona, l’altro ha scritto un resoconto giornalistico romanzato con lo scopo di denunciare una situazione.

E tra raccontare e denunciare c’è di mezzo il mare.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *