Muggia. E’ in scadenza il 16 novembre il bando per la realizzazione di “un monumento dedicato all’esodo degli italiani dall’Istria, Fiume e Dalmazia”. La partecipazione è garantita sia singoli che ai gruppi di progettazione, e promuove l’adesione dei giovani, al fine di favorire anche tra le nuove generazioni il confronto attivo con il tema dell’esodo.
Promosso in collaborazione con il Comune di Muggia, la direzione Regionale per i Beni Culturali e paesaggistici del FVG e le associazioni rappresentative degli esuli, il bando (disponibile sul sito www. provincia.trieste.it) è stato illustrato nei giorni scorsi dalla Presidente della Provincia, Maria Teresa Bassa Poropat: “Come luogo simbolo – ha spiegato – abbiamo scelto la zona di Albaro Vescovà/Skofije, luogo del transito verso l’Italia di migliaia di famiglie istriane, fiumane e dalmate”.
L’opera sarà dunque collocata nel Comune di Muggia, in corrispondenza della rotatoria di innesto della nuova strada provinciale n. 15 “delle Noghere” con la strada statale n. 15 “Flavia”, proprio nell’area effettivamente percorsa dalle popolazioni italiane durante l’esodo dalle terre dell’Adriatico orientale. “Il Monumento – ha aggiunto la Bassa Poropat – dovrà essere in grado di conservare la memoria di questa significativa pagina di storia favorendo al contempo la diffusione della conoscenza della storia locale e lo sviluppo di una cultura di pac, tolleranza e di pacifica convivenza tra i popoli”.
Il vincitore dovrà realizzare il monumento entro giugno 2010.
(fonte: rinascitabalcanica.com)
bella l’iniziativa, deprimente el logo scelto.
dopo 60 sul territorio mujesan finalmente un segno della storia che ga interesado pesantemente anche questo comun (riduzion drastica del territorio, presenza de campi profughi, costruzion de interi villaggi per ospitar chi rivava dalle altre cittadine istriane)
nissuna giunta mujesana in tutti questi anni ga fato niente, e anche qua, desso, ghe vol ringraziar la provincia (che xe tuto dire…)
Avevo fatto un salto sulla sedia: ad Albaro Vescovà/Skofije in Slovenia accettano di erigere un monumento all’esodo?
Poi ho visto: si parla di Albaro Vescovà, ma il territorio è quello di Muggia, in Italia…
L.
in effetti credo che il riferimento geografico non sia corretto, in ogni caso ho trovato questo che racconta l’esodo particolare dalla zona di albaro vescovà e in generale dai territori del muggesano:
Il 6 ottobre 1954 nella cittadina veniva esposto il tricolore abbrunato
La mutilazione di Muggia
Nuovo confine: esuli da Albaro Vescovà e Crevatini
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Il 6 ottobre 1954, mentre il generale De Renzi s’incontrava a Duino con il
pari grado Winterton per definire il passaggio delle consegne, a Muggia
veniva esposto il tricolore abbrunato. Il sindaco Giordano Pacco, appena
appresa la notizia del secondo accordo di Londra, che avrebbe mutilato un
terzo del territorio comunale muggesano, lasciando oltre il nuovo confine le
località di Albaro Vescovà, Bosini, Crevatini, Elleri, Norbedi, Sonnici,
complessivamente un grappolo di una ventina di piccoli villaggi, scrisse ai
segretari dei partiti politici italiani e rivolse un appello al presidente
della Repubblica Luigi Einaudi.
Secondo le autorità angloamericane la popolazione avrebbe avuto dodici mesi
di tempo per decidere se rimanere o andarsene, ma molti presero subito la
strada dell’esilio. Il nuovo confine lasciava all’Italia solo 13 chilometri
quadrati di Istria, da Lazzaretto alla Val Rosandra.
Taviani ha scritto nelle sue memorie che aveva ben evidenza il problema di
quel tratto di confine, della battaglia per salvare Punta Sottile e
Chiampore ed evitare che gli jugoslavi condizionassero le rotte d’ingresso
al porto industriale di Trieste, ma qui merita svelare un piccolo
retroscena: il col. Fonda Savio, comandante della Resistenza italiana a
Trieste, incaricò il capitano Italo Vascotto, recentemente scomparso, di
procurargli una mappa dettagliatissima dell’area, a livello catastale, ma
con discrezione e senza insospettire l’amministrazione comunale muggesana, a
maggioranza comunista.
Il Vascotto, con l’aiuto di un impiegato tecnico che sapeva di potersi
fidare, fece una copia oleografica di una mappa che consegnò ad un
sottufficiale dei carabinieri il quale la fece pervenire a Roma.
Dietro quei chilometri quadrati destinati alla Jugoslavia stava il futuro
del porto di Capodistria, per il quale Tito aveva ottenuto assicurazioni
economiche americane e il denaro per costruire una vitale linea ferroviaria
che doveva passare proprio per quei territori che avrebbe ottenuto dalla
rettifica. C’era stato un intervento diretto da parte jugoslava per ottenere
i monti di Muggia e il tracciato del nuovo confine passava in mezzo a case e
proprietà, lasciando dall’altra parte asili e scuole elementari, oltre a
diversi esercizi commerciali, opifici, rivendite, trattorie, abitazioni e
terreni coltivati che erano l’orto di Trieste, da dove giungevano sul
mercato cittadino tante prelibate primizie. Anche questo era un altro colpo
alla locale economia spicciola.
La cessione comportava alcune implicazioni: da una parte si sperava che la
popolazione potesse rimanere sul luogo, magari godendo di particolari
agevolazioni di transito, dopo la chiusura successiva alla crisi del ’53,
dall’altra la questione politica appariva insuperabile, poiché il partito
comunista di Vittorio Vidali aveva grande seguito nella zona, abitata
prevalentemente da operai dei cantieri navali e i rapporti con in comunisti
titoisti non erano idilliaci.
L’area era abitata da 3492 persone, un migliaio concentrate nel centro di
Albaro Vescovà, e ben 2748 lasciarono le loro case, quasi tutti a dieci
giorni dall’annuncio. Erano esuli particolari, nel senso che provenivano da
una zona in procinto di essere ceduta, dopo nove anni di amministrazione
alleata e senza che ci fosse sentore particolare della decisione. Nel comune
di Muggia il 58 per cento dell’elettorato era di stretta fede cominfomista,
per cui l’esodo fu letto dai comunisti vidaliani come una duplice prova di
disciplina di partito e del lavoro politico fatto sulla base. E per questo
motivo chiedevano che fossero trattati in modo diverso dagli altri istriani,
evitando loro la dispersione.
Dall’altro canto i comunisti titoisti ritenevano che quelle persone se ne
stavano andando per sfuggire alla «nuova giustizia sociale». Ma altri esuli
provenienti dalla Zona B erano destinati ad aggiungersi nei mesi successivi
e fino al maggio 1956, quando risultavano rifugiate in territorio italiano
oltre 24 mila persone.
In quegli anni si cercò di comprendere i motivi che stavano tanto nella
politica condotta dalla Jugoslavia nella regione e le condizioni vessatorie
a danno degli italiani, quanto nel desiderio della diplomazia italiana di
risolvere il problema della presenza italiana, favorendo l’esodo e riducendo
al minimo la componente autoctona. Come se nel ristabilire le relazioni tra
Italia e Jugoslavia il problema maggiore, se non l’unico problema, poteva
essere la presenza degli italiani in Istria.
Roberto Spazzali
Qualcuno sa dove si può trovare la mappa del confine fra zona A e zona B del Territorio Libero di Trieste, nonchè fra zona B e Jugoslavia, prima del memorandum di Londra?
Grazie
la strana coppia:
http://www.flickr.com/photos/pierovis-ciada/5029276897/in/set-72157608159166135/
dopo el w-end con le tigri un coi esuli:
http://www.flickr.com/photos/pierovis-ciada/5030739718/in/set-72157608159166135/
la ruota… gira !?
http://www.flickr.com/photos/pierovis-ciada/5030170753/in/set-72157608159166135/
Ah, il Taviani e la sua battaglia per salvare Punta Sottile.
“Taviani era stato informato dal rappresentante inglese che avevano riguardo alla soluzione della questione triestina contatti con Tito e che sarebbe stato possibile trovare una soluzione con determinate correzioni del confine a favore della Jugoslavia e viceversa. Due anni prima gli Jugoslavi in colloqui informali erano stati disposti a cedere Ancarano all’Italia in cambio di una parte del territorio sopra Dolina.”
“Bisogna insistere, scriveva Taviani, nel non arrivare ad una definizione finale del confine nell’attesa di tempi migliori. Se invece Tito vuole entrare nella zona A, questo può succedere solo con uno scambio del paese di Dolina con Ancarano.”
“Taviani aveva ricevuto rassicurazioni che i sondaggi alleati erano di importanza solamente formale e che con gli jugoslavi era già stato raggiunto l’accordo sulla cessione di parte della zona A alla Jugoslavia e parte della zona B all’Italia. Si trattava di 5 kmq di territorio sopra Dolina, che sarebbero spettati all’Italia, e 10 kmq di territorio sulla costa, che sarebbero stati assegnati alla Jugoslavia. La nuova demarcazione non sarebbe dunque passata per Punta Grossa, ma bensì per Punta Sottile…”
Pagine 55-57 delle memorie di Jože Šušmelj, ex-console generale a Trieste sia per la Jugoslavia che per la Slovenia. Il volume è “Trpko sosedstvo”, ZTT-EST, Trieste 2009.
Ciò, no podevi tenirve Ankaran piutosto? Bastava chieder…
Per ABC – commento 4
Prova ad andare in Biblioteca comunale e chiedi questo atlante/libro:
“AA.VV. – Il Confine mobile. Atlante storico dell’Alto Adriatico 1866-1992 – edizioni della Laguna, Monfalcone 1996”.
E’ ricco di mappe, oltre che il meglio che tu possa trovare sulla storia del nostro confine dal 1866 -1992.
Grazie Marisa.
Appena posso, andrò a guardare meglio l’opera che mi hai citato e che avevo già consultato in merito alle etnie.
Ho tuttavia trovato, nella biblioteca di Nova Gorica in un libro scritto in sloveno, ciò che cercavo ed anche una foto del 1954 in cui si vede che veniva rimossa la sbarra di confine fra zona A e zona B del TLT dal centro abitato di Skofije/Albaro Vescovà per essere poi ricollocata, quasi un chilometro più a nord, a Rabuiese, dove ora si trova il confine di Stato.
Grazie anche ad ufo per la citazione.
Per le foto, ne trovate diverse anche semplicemente sul volume 4 di Trieste Una storia per immagini, che era venduto allegato al Piccolo un paio di anni fa
si, devi proprio aver sbagliato forum…
Dimaco se stai bravo a gennaio t’inviteremo alla commemorazione dei caduti della Decima ah ah ah
così conoscerà federico, lui c’è di sicuro.
ci veniamo volentieri e portiamo pure la bandera del IX korpus battaglione simon gregorcic, al quale sono molto affezionato.
ci vengo pure per chiedere cosa si prova a sapere di aver combattuto per i fascisti e aver ammazzato o aiutato i tedeschi ad ammazzare connazionali italiani in giro per l’italia. Sono sicuro che sapranno darmi uan risposta coerente, sempre che un fascista possa essere coerente.
ma chi cavolo è questo federico che nomini sempre e che cosa ha da spartire con eros. è una domanda seria, perchè non capisco la diatriba sul nome e che centra con eros.
Grazie Bibliotopa.
Ho visto che il libro da te citato si trova in molte biblioteche di Trieste.
14 dimaco… ho risposto ma non vedo più la risposta (mah)
federico è un caro amico che, credo, per “eccesso di timidezza” non vuole apparire… ma è molto presente, lo percepisco in alcuni interventi tipicamente “suoi”.
eros !? che c’entra eros ?
Il Passato vive sempre, purchè anche uno solo lo ricordi
Le radici profonde non gelano – J.R.R. Tolkien
“Solo i Morti hanno il diritto di perdonare.
I vivi hanno il dovere di non dimenticare”
(David Ben Gurion)
“M’hanno chiesto: perchè piangi?
Poichè non avrebbero compreso il mio pianto,
ho risposto: nessuno piange. L’Esule è ovunque solo”.
(Lamennais)
Da: la piccola “Vedetta d’Italia” del 1950
“le idee non si strozzano ed anzi dal patibolo risorgono, terribilmente feconde”.
Non dimentichiamo le centinaia di Caduti al Bus de la Lum (Belluno)
Nessuno muore mai del tutto finchè ne viene onorato il Ricordo
LA VERITA’ E’ TANTO PIU’ DIFFICILE DA SENTIRE QUANTO PIU’ A LUNGO LA SI E’ TACIUTA.
ANNA FRANK
“Han ballato sui loro corpi, han sputato sul loro nome,
han nascosto le loro tombe, ma non li possono cancellare”
On doit des égards aux vivants; on doit aux morts que la verité.
Ai vivi si devono dei riguardi, ai morti si deve soltanto la verità.
Voltaire, “Lettere scritte nel 1819”
Dilexi Justitiam, odivi iniquitatem, propterea morior in exilio
Ho amato la Giustizia, ho odiato l’iniquità, perciò muoio in Esilio
Papa Gregorio VII (Ildebrando di Sovana)
Guai a seppellire la storia, perché prima o poi schizza fuori come un cane rabbioso” (Hegel)