Antigone e la parola, Antigone,
Intervento al II Forum Internazionale dei Giovani “Diritto di Dialogo”
Sul tema “Quale Futuro?”
Trieste, 3 ottobre 2009. Di Rodolfo Toè
1.
Due secoli fa si creava un mondo privo di cosmo. Quello contemporaneo è un mondo privo di umanità. Sarebbe inutile additare colpevoli o pretendere di trovare responsabili. Perché non è che ce la stiano rubando: siamo noi che vi rinunciamo volontariamente, e per di più a prezzi stracciati. Non desta stupore la notizia di una ragazza che vende la propria verginità sulla rete, anzi: ciò è perfettamente coerente, è logico, è razionale. Tutti siamo spinti, in nome della convenienza, a sacrificare ogni giorno ciò che pare privo di prezzo, ma che pure rappresenta un valore più profondo.
Nei due secoli passati l’uomo si è ubriacato di razionalità ed ha rinnegato la propria sensibilità, che è in primo luogo capacità di usare nel discorso politico e comunitario linguaggi diversi da quelli della ragione e dell’utilitarismo.
Il nostro è il crepuscolo dell’interiorità. Inevitabile, del resto, dal momento che le abbiamo applicato unità di misura che le erano tutte totalmente estranee, e che non avrebbero potuto che risultare aggressive. In primis, il tanto osannato scientismo omnipervasivo – che nulla ha a che vedere con lo spirito. Perché non tutto può essere spiegato. La scienza non può spiegare cosa siano la tristezza o la felicità, e la cosa più importante è che non ne ha alcun diritto.
Questo stato di cose diventa evidente se guardiamo a come ci confrontiamo con ciò che da sempre caratterizza l’umanità: le sue debolezze. Viviamo nel mondo della perfezione, sarebbe impensabile un consumismo che si dimostri tollerante nei confronti della malattia, della sconfitta, del dolore. E soprattutto, della morte. Nessun consumatore si affannerebbe all’ombra della propria tomba. Noi invece siamo esseri perfetti, o perfettibili, ed alla perfezione aneliamo con ogni fibra della nostra volontà. E’ l’età cosmetica. Ed in questo, davvero, per la prima volta nella storia siamo tutti uguali. Si fa questo gran dibattere della clonazione artificiale, e nessuno si è accorto che non serve, perché ci siamo già riusciti e con ottimi risultati.
L’uomo moderno è un essere immortale, attraente, che ha smesso di sudare e di soffrire.
2.
Ma la sofferenza è importante. Nella storia, l’uomo risponde al proprio dolore attraverso l’etica. E’ la sua sola dignità – l’anima matura nel sangue versato ogni giorno. L’arte, l’amore, il dialogo o, appunto, la solidarietà di cui parliamo qui, non possono nascere che come risposta alla sola certezza che davvero affratella l’uomo, e questa è la morte con la sua assurda inevitabilità. Altrimenti, queste sono soltanto parole e tutte sono prive di senso e sono destinate a decadere, come una Babele giunta al suo più alto compimento.
Questo accade oggi. Il peccato originale dell’uomo cosmetico è l’oblio del sé, è drogato da una perfezione che non può nemmeno assaggiare, e nell’ansia d’essere padrone si fa schiavo di se stesso. Ha edificato un mondo di orrori: sotto le proprie sicurezze, trova soltanto paura. E’ la paura ciò che più ci identifica oggi. Perché siamo spaventati, terrorizzati come bambini da ogni piccola crepa nella gabbia che ci protegge. Il terrorismo, la Peste suina, il colesterolo e la pressione. Nel lungo periodo, sono equivalenti.
La nostra psicologia assomiglia a quella del totalitarismo che ha bisogno di un nemico esterno, ma che non può fare a meno del terrore interno.
3.
Che senso ha parlare di poesia oggi? Ed è qui che chiarisco il significato del titolo che ho scelto per il mio intervento. La poesia, oggi, brilla per la sua assenza. Serve in quanto bisogno insoddisfatto e non dichiarato, in quanto esigenza del sé, inestinguibile. Debole, sempre più debole, ma ancora viva.
La poesia oggi è un atto di intima resistenza. E’ la testimonianza di qualcosa che viene smarrito. E’ quindi pronunciare un no, un no destinato ad essere tanto più marcato in futuro. Perché la poesia sarà sempre e comunque, almeno in origine, un atto insensato e gratuito, ed è questa la sua forza. Scrivere, e scrivere poesie, è in un certo senso farsi Antigone. Perché, seppur inconsapevolmente, la poesia è comunque un auto da fé nei confronti dell’umanità. E’ la speranza che qualcosa, sempre, meriti di essere salvato per qualcuno che già è, o che deve venire. E’ la speranza che sia possibile, tra tanta indifferenza, trovare almeno un “ipocrita lettore” che ci capisca pienamente e ci riconosca come “suoi simili, suoi amici”. Ed in quel momento, avere la consapevolezza che il nostro no, la nostra rivolta si possa giustificare in questa nuova solidarietà, in questo nuovo dialogo con l’uomo.
Il poeta oggi è un’Antigone in divenire, la sua ribellione ha tanto più senso quanto minore è la possibilità di essere ascoltato. Perché tanto più forte sarà la sua determinazione. Non hanno importanza l’opera ed i suoi contenuti, ciò che conta è la tensione, il bisogno, la ricerca. Ancora una volta, qui, il viaggio è più importante della meta. Il poeta potrà pure rimanere attaccato ad un fiore o a una nuvola, senza mai decidere di scendere in terra, ma ciò non importa. Ciò che importa è lo sforzo del poeta come richiamo a un’unità smarrita. Unità tra uomo e uomo, tra corpo e natura, corpo e tempo, corpo e spirito.
4.
Perché Antigone si risvegli, è necessario il contatto con l’arte. In questo essa è preziosa, nel suo essere depositaria di un uomo a-storico ed universale, perciò stesso immortale. L’uomo è immortale nell’arte perché solo in essa il suo disperato tentativo di trovare un senso è realizzato.
Dalla poesia Antigone non ricaverà una legge, ma il sé. Solo attraverso la poesia incontrerà il suo vero nome. In esso già vi sarà ordine, già vi saranno principi di una nuova conoscenza, e ciò secondo il greco: conosci te stesso. Ti credi un nulla, ma hai in te l’universo.
Antigone ritroverà l’essere nel proprio bisogno di poesia, nel sentire l’unisono accordo con anime passate e pure così palpabili. Perché l’estrema debolezza della poesia è anche la sua maggiore forza: la difficoltà di un poeta a vivere è anche un rifugio che nessuno potrà mai violare, un rifugio in cui egli potrà non temere la morte.
Questo è il senso della poesia e della sua lotta disperante per trovare uno spazio, oggi e nel futuro: essa è il tentativo di riscattare l’umanità attraverso una solidarietà esistenziale, il desiderio di un dialogo con un sé che esiste sotto la scorza di vegetale consumatore dell’homo economicus; ed è uno dei pochi rifugi rimasti all’uomo, un piccolo baluardo che incredibilmente ha resistito contro ogni previsione contraria, che potrà resistere ancora a lungo, e all’interno del quale sperare, tener duro, e soprattutto non avere paura.
Ma quanti ormai sanno chi è Antigone?
Beh, a conti fatti, basta che lo sappia il poeta.