14 Settembre 2009

Magris contro l’ideologia della Lega: “Essere triestini significa essere spontaneamente legati al luogo natio”

L’identità è una matrioska: somma di incontri e storie
di Claudio Magris

Le dispute agosta­ne sui dialetti e gli inni nazionali o locali possono essere tutte sfatate da una lapidaria riflessione di Raf­faele La Capria sulla diffe­renza tra essere napoletani e fare i napole­tani.

Essere napoletani — o milanesi, trie­stini, lucani — significa sentirsi spontanea­mente legati al luogo natio in cui ci si è ri­velato il mondo, amare i suoi colori e sapo­ri che hanno segnato la nostra infanzia, parlare il suo linguaggio — lo si chiami o no dialetto — indissolubilmente legato al­la fisicità delle cose che ci circondano e al­la loro musica; pastrocio , per me triestino, non sarà mai la stessa cosa del suo equiva­lente «pasticcio».

Fare i napoletani o i lombardi falsifica questa spontanea autenticità in un’artifi­ciosa e pacchiana ideologia, aver bisogno di farsi fotografare sullo sfondo del Vesu­vio o di inventarsi antenati celti, indossare qualche pittoresco e patetico costume fol­cloristico per mascherare l’insicurezza del­la propria identità. Chi sproloquia sui dia­letti contrapponendoli all’italiano inquina la loro naturalezza, degrada la loro poesia a posa.

Il dialetto è una peculiarità fondamenta­le e ben lo sa chi, come me, lo parla corren­temente ogni giorno a proposito di qualsia­si argomento, ma spontaneamente, non per rivendicare qualche stupida identità gelosamente chiusa, pronta ad alzare il ponte levatoio per difendere la propria sbandierata purezza. L’autarchia spiritua­le, come l’endogamia, produce malforma­zioni fisiche e culturali. La diversità è crea­tiva solo quando, nell’affettuoso riconosci­mento di se stessa, si apre al riconoscimen­to e all’amore di altre diversità, egualmen­te necessarie al mosaico del mondo e alla varietà della vita. La verità umana è nella relazione, in cui ognuno cresce e si trasfor­ma senza snaturarsi, ha scritto Édouard Glissant, esortando a non sprofondare le radici nel buio atavico delle origini bensì ad allargarle in superficie, come rami che si protendono verso altri rami o mani che si tendono per stringerne altre.

Per parafrasare un celebre detto di Dan­te, l’amore per l’Arno — ossia per il luogo natale — e quello per il mare, patria uni­versale, sono complementari. Il rullo com­pressore dei nazionalismi centralisti che ha spesso schiacciato le peculiarità e le au­tonomie locali è inaccettabile, ma lo è al­trettanto il rullo compressore dei microna­zionalismi locali, pronti a schiacciare le mi­noranze ancor più piccole viventi al loro in­terno. L’ipotesi del friulano quale lingua scolastica ufficiale aveva messo subito in allarme, a suo tempo, la minoranza bisiaca parlante bisiaco (peraltro non troppo dissi­mile) che vive nel Friuli-Venezia Giulia.

Una distinzione fra lingua e dialetto è scientificamente insostenibile; sappiamo benissimo, ad esempio, che il friulano ha una sua compiuta organicità, strutturale e storica. Non so se ciò renda necessario in­segnare l’inglese o la fisica in friulano e non credo che per questo i miei avi, i miei nonni e mio padre, friulani, mi considere­rebbero un rinnegato. Diversi sistemi lin­guistici hanno diverse possibilità, egual­mente importanti ma appunto differenti. Una delle più universali liriche che io ab­bia mai letto — l’ho riportata tempo fa sul «Corriere» — è una poesia di dolore per la morte di un bambino, creata da un ignoto poeta Piaroa, un gruppo di indios dell’Ori­noco che quarant’anni fa erano soltanto tremila e forse — non lo so — oggi sono estinti.
Quella poesia è degna di Saffo (che pe­raltro scriveva in dialetto eolico) o di Saba; non credo tuttavia che in lingua Piaroa si possano scrivere La critica della ragion pu­ra, le Ricerche sopra la natura e le cause della ricchezza delle nazioni o la Comme­dia.

Ciò non significa negarle universalità, bensì prender atto di diverse possibilità e modalità di esprimerla. Herder, lo scritto­re tedesco contemporaneo di Goethe, scor­geva in Omero e nella Bibbia la creatività aurorale e perenne della poesia, ma la tro­vava pure nell’anonima canzone popolare lettone ascoltata alla festa del solstizio d’estate.

Ogni luogo — come dice Alce Nero, guerriero Sioux e grande scrittore analfa­beta — può essere il centro del mondo, piccolo o grande esso sia, molti o pochi sia­no i suoi abitanti — come i Sorbi che sono andato a visitare in Lusazia, i Cici o istroro­meni che secondo l’ultimo censimento era­no 822, un popolo a un terzo del quale ho stretto la mano, o gli abitanti di Wyimy­sau, un paesino in Polonia, che parlano una lingua unicamente loro. L’elenco po­trebbe continuare a lungo, anche se di con­tinuo muore qualche lingua, soggetta co­me gli uomini alla caducità. Ma il piccolo non è bello in quanto tale, come vuole un retorico slogan; lo è se rappresenta e fa sentire il grande, se è una finestra aperta sul mondo, un cortile di casa in cui i bam­bini giocando si aprono alla vita e all’avven­tura di tutti.

L’identità autentica assomiglia alle Ma­trioske, ognuna delle quali contiene un’al­tra e s’inserisce a sua volta in un’altra più grande. Essere emiliani ha senso solo se im­plica essere e sentirsi italiani, il che vuol di­re essere e sentirsi pure europei. La nostra identità è contemporaneamente regionale, nazionale — senza contare tutte le vitali mescolanze che sparigliano ogni rigido gio­co — ed europea; del nostro Dna culturale fanno parte Manzoni come Cervantes, Shakespeare o Kafka o come Noventa, gran­de poeta classico che scrive in veneto. È una realtà europea, occidentale, che a sua volta si apre all’universale cultura umana, foglia o ramo di quel grande, unico e varie­gato albero che era per Herder l’umanità.

I tromboni del localismo non possono capire la poesia, la potenziale universalità del dialetto. Sviluppando un’intuizione di Croce, Marin, notevolissimo poeta in gra­dese, distingueva «poesia in dialetto» e «poesia dialettale». La prima è semplice­mente poesia tout court , che può essere an­che grandissima esprimendosi nella lin­gua che le è congeniale, il veneziano di Gol­doni o il viennese di Nestroy. La seconda è priva di universalità, è legata all’immedia­tezza vernacola e viscerale della peculiarità locale e incapace di toccare il cuore di chi non partecipa di quella peculiarità. Pure es­sa può essere molto simpatica nella sua co­lorita vitalità, ma non è poesia. Peraltro pu­re questa sua vitalità viene profanata dai cultori del geloso localismo, che senza vo­lerlo la ridicolizzano nelle loro pretese di purezza originaria, come l’acqua del Po ver­sata nel Po, non consigliabile da bersi.

C’è e c’è stata una sacrosanta rivendica­zione del dialetto quale espressione di clas­si subalterne e sfruttate, tenute a lungo lontane dalla cultura nazionale dominante e per tale ragione iniquamente disprezzate da chi le aveva ridotte in tale condizione. C’è, fra le tante, un’incisiva testimonianza di Guido Miglia, lo scrittore istriano scom­parso non molto tempo fa, che visse la drammatica esperienza dell’esodo dalla sua terra, alla fine della seconda guerra mondiale, da italiano che amava il suo pae­se senza indulgere ad alcun pregiudizio an­tislavo. Miglia ricorda come, quando inse­gnava nell’interno dell’Istria, ci fosse fra i suoi scolari uno che sapeva dire soltanto pasculat , perché portava le greggi al pasco­lo, ed era perciò tagliato fuori dall’istruzio­ne scolastica.

Come ha capito don Milani a Barbiana, agendo in conseguenza, anche chi sa espri­mersi solo con il linguaggio del suo ele­mentare vissuto quotidiano si esprime fon­dandosi su un’esperienza reale e può dun­que possedere una reale ancorché sempli­ce cultura, capace di unire con istintiva co­erenza la propria vita, la propria visione del mondo e i propri giudizi sul mondo. Tale cultura, anche se poco autoconsapevo­le ma vissuta con tutta la propria persona, può essere più profonda di quella più sofi­sticata ma orecchiata senza essere fatta ve­ramente propria. Una pretesa cultura «al­ta » che ricacci brutalmente in basso quelle linfe — da cui nasce ogni cosa e da cui è nata quindi anch’essa — è ottusamente prevaricatrice, e lo è pure un’egemone cul­tura centralista che comprima le diversità locali che hanno contribuito e contribui­scono a formarla, così come — Dante inse­gna — i diversi volgari d’Italia hanno co­struito il volgare italiano. Reprimere que­sti vitali processi è non solo ingiusto, ma anche autolesionista.

Il ragazzino inizialmente capace di dire soltanto pasculat dev’essere compreso nel­le ragioni storico-sociali che lo hanno emarginato e aiutato a riconoscere se stes­so e a conservare in sé le linfe elementari di quel pasculat . Ma, come Gramsci inse­gna, egli va soprattutto aiutato a innestare quelle linfe in una realtà intellettuale più ampia, aiutato a capire il mondo e la pro­pria stessa arretratezza e dunque a combat­tere questa ultima. Chi vagheggia culture «alternative«, dialettali o altre, favorisce la discriminazione sociale e ostacola il cam­mino di chi vuol emergere dal buio. Il dia­letto non può essere usato regressivamen­te in opposizione alla lingua nazionale. Gramsci auspicava che il «popolo» si riap­propriasse della cultura alta e magari del latino, che aiuta a capire la complessità del mondo e a non lasciarsi fregare. Ma il dia­letto che esprime la sanguigna resistenza quotidiana al potere è l’opposto del folclo­re dialettale ostentato e compiaciuto, ser­vo e strumento del potere e talora crassa espressione di potere. Chi fa il napoletano è il peggior nemico dei napoletani.

07 settembre 2009, dal Corriere della Sera

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61 commenti a Magris contro l’ideologia della Lega: “Essere triestini significa essere spontaneamente legati al luogo natio”

  1. jacum ha detto:

    “La nostra identità è contemporaneamente regionale, nazionale ”

    cuesta formola a Trieste no la val.

    se proprio te piaxi usar el model dela matrioska alora par Trieste no xe la matrioska taliana parchè no raprexenta la realtà.

    mime par che sto model dela matrioska xe una monada semplicistica per forzar in cualche modo a identità de comodo a bassa risoluzion, come una foto sfogada.

  2. Ultimo ha detto:

    Grande Magris! Tutto il resto è basso provincialismo

  3. bulow ha detto:

    il precedente intervento di magris mi aveva deluso. questo articolo invece mi e’ piaciuto. si puo’ non condivederne alcune considerazioni, ma comunque si eleva di parecchie spanne sopra il chiacchiericcio che in genere affossa ogni dibattito su questi temi.

  4. Julius Franzot ha detto:

    Questo dibattito sui dialetti in fondo è la foglia di fico per esprimere ben altri concetti sul tipo di quanto appunta Jacum.
    Purtroppo oggi c’è una certa libertà di espressione, ma chi non concorda su certi dogmi decisi a priori dai padroni del vapore è emarginato, ignorato, deriso.
    Per esempio è impensabile che la stampa ufficiale scriva, approvandolo, che “il capitalismo è fallito” o che “la NATO non ha più senso dopo la fine del comunismo”.
    La Padania e l’Euroregione hanno messo a fuoco a chiare lettere, pur se in modi molto diversi tra loro, che lo stato italiano unitario e/o i confini attuali non stanno bene ad una parte significativa della popolazione.
    Cos’è successo come reazione della casta? La Lega Nord ha ricevuto l’abbraccio mortale dei turbocapitalisti e dei postfascisti e si è proiettata sulla difesa delle villette dagli stranieri, dai non-italiani, non dai “non-padani”. 😉
    L’ Euroregione ha avuto la sfortuna che Haider è venuto a mancare nel momento decisivo ed ora gli alleati dei postfascisti fanno il possibile per far dimenticare quella sbandata antinazziunale.

    Fatte queste premesse, mi permetto di paragonare la difesa dei dialetti e delle lingue locali a quando la gente inneggiava nei teatri a V.E.R.D.I. La censura, quella volta ufficiale e non sotterranea, non poteva impedire che si applaudisse un compositore, ma mai avrebbe lasciato che si inneggiasse a Vittorio Emanuele Re Di Italia.

  5. bulow ha detto:

    per me quel che manca, in tutti gli interventi sul tema delle identita’, e’ una considerazione sull’ identita’ che deriva, nel bene e nel male, dal lavoro (manuale o intellettuale) che una persona svolge. la mia sensazione e’ che rivolgere l’ attenzione unicamente all’ identita’ territoriale e/o linguistica abbia contribuito alla perdita di senso e di dignita’ del lavoro. primo levi ci aveva scritto una raccolta di racconti, ma erano altri tempi.

  6. Julius Franzot ha detto:

    Secondo me la dignità del lavoro è finita quando il precariato ha costretto una generazione abbondante alla perenne prostituzione. Aggiungiamoci la cassa integrazione di massa (mentre ai piani alti persino un Cimoli qualsiasi riceve grosse somme in cambio del nulla) e il mobbing, che ormai è accettato come inevitabile prassi corrente, e allora non occorre chiedersi perchè la gente consideri il lavoro come male necessario alla sopravvivenza e la casta consideri il lavoratore come asino da soma che, quando è sfinito, deve essere eliminato.

  7. bulow ha detto:

    la mia sensazione e’ che il mondo del lavoro abbia subito passivamente questa deriva, perche’ ogni singolo poveraccio, invece di sentirsi un poveraccio qualsiasi, si consola pensando di essere un poveraccio padano. ma forse stiamo andando fuori tema.

  8. bulow ha detto:

    mi ricordo che mia nonna diceva che quelli che sono orgogliosi di essere italiani, o sloveni, o furlani, o vattelapesca, sono dei buoni a niente. mia nonna diceva che se uno sa fare qualcosa, e’ orgoglioso di quello che fa, non di quello che e’. mia nonna diceva che i patrioti, prender uno per batter quell’ altro, e che i fascisti, con le loro braghe alla zuava, sembrava che si fossero cagati addosso. mia nonna aveva continuato a farsi curare da un medico ebreo anche dopo il 1938. mia nonna aveva fatto solo la terza elementare, ma le cose le capiva molto meglio di tanti intellettuali.

  9. bulow ha detto:

    ultimamente sembra che le nonne vadano di moda 🙂

  10. lanfùr ha detto:

    Magris è troppo prolisso, mi son stufato dopo il primo capoverso. Molto meglio la nonna di bulow 😉

  11. Erika ha detto:

    Io invece concordo con Magris. Ieri a Venezia ho visto un ammassamento di beoti urlanti, molto folcloristici ma alquanto inquietanti. Vedere a ogni sparata razzista che partiva dal palco da parte di quei capi popolo (pagati tra l’altro dalla Stato italiano!!!)è stato uno spettacolo disgustoso. Bisogna stare attenti a chi si fa paladino nella difesa delle ns. tradizioni e dei ns. luoghi.

  12. arlon ha detto:

    Tralaso la asurdità de le matrioske “preconfezionade” de Magris.. me par che la realtà sia ben più fluida dei strati de una matrioska.

    Sto articolo xe meio de quel altro, almeno el se riva a spiegar un poco..

    “Ma il dia­letto che esprime la sanguigna resistenza quotidiana al potere è l’opposto del folclo­re dialettale ostentato e compiaciuto, ser­vo e strumento del potere e talora crassa espressione di potere. Chi fa il napoletano è il peggior nemico dei napoletani.”

    Qua el ga raxon in piena, e xe quel che disevo in tel altro topic sul dialeto.
    El punto però xe un.
    Ga qualcossa a che veder questo col insegnamento nele scole, coi cartei bi-trilingue, con un riconosimento uficial de lingue e dialeti locali?
    A mio aviso no, per niente. Quei dovesi eser garantidi in qualsiasi caso, sia che se sia napoletani, che che se li fazi.
    E me par che Magris sul argomento gabi una certa tendenza a restar su discorsi “alti”, e dimenticarse dela realtà dei fatti.
    E son sicuro che sia una scelta.

    Ghe zonto una citazion del fantastico George Carlin:
    ‘Proud to be American’, that’s bullshit.

    Pride should be reserved for something that you achieve, obtain, on your own.
    Not something that happens by accident at birth!

    If you’re happy with it, that’s fine!
    Put it on your card: ‘happy to be an American’

    http://www.youtube.com/watch?v=MktlfjFb3j0 😀

  13. lanfùr ha detto:

    Mi invece conossevo un Giorgio de Carlìn. Iera sai comico pure quel 🙂

  14. effebi ha detto:

    mi son quel che me piasi esser

  15. cagoia ha detto:

    Se propio volemo parlar de matrioske:
    Trieste-Euroregione AlpeAdria-Mitteleuropa-Europa punto
    Ma la parola d’ordine nel PD xe “Centralismo roman” (se no dove i magna? come quei altri ovvio, lega compresa nonostante tutto) e quindi bisogna difender l’unità nazionale e il senso de appartenenza all’italia ad ogni costo. E Magris no pol dir o far diversamente.

  16. effebi ha detto:

    embè ? e senno a cossa servi un stato ?
    (ma vara ti, pareria che i sloveni varda a Lubiana per sentimentalismo o per puro interesse e condivision culturale)

    quel che manca -e xe de costruir completamente- xe questo tipo de spirito e de “complicità” a livello de “stato europeo”

    vardè che qua (parafrasando Garibaldi, che no iera un mona) o si fa l’Europa o si muore…

    Inveze par, ancora una volta che critichemo i singoli nazionalismi, solo per coltivar dei altri, magari ancora più frammentadi (che xe follia muli !)

  17. Marisa ha detto:

    Ma cos’ha di così speciale questo intervento di Magris? E’ strapieno di stantie idee patriottarde. Una volta che avesse usato l’espressione “diritti linguistici”! Anzi, al contrario è per la “civilizzazione” della bassa plebe con l’abbandono del dialetto e l’abbraccio mortale del monolinguismo italico….

  18. cagoia ha detto:

    “critichemo i singoli nazionalismi, solo per coltivar dei altri, magari ancora più frammentadi”

    Ma anche no. Me andassi ben un’Europa composta da euroregioni. Senza esser “schiavi di Roma”.
    No vedo in questa idea altri nazionalismi. Solo el riconoscimento delle identità locali, tutte, che le contribuissi a costruir una più grande identità europea come somma delle precedenti. E non negandole per inventarse una singola identità omogenea nazionale come avvien oggi in italia.
    Fintanto che l’Italia volerà identificar tutto il suo territorio con pizza, tarantella, mafia e mandolino la repulsion de chi no se riconossi in ste robe sarà inevitabile.
    L’Europa in questo momento non lo sta ancora fazendo perchè saria ridicolo dir che un sicilian e un norvegese dele Lofoten ga la stessatoria e la stessa cultura. Quindi l’idea de Europa me sta anora ben. Sperando che no i caschi anche lori nell’idea de voler omologar tutti alla stessa cultura.

  19. effebi ha detto:

    un euroregione xe l’italia, za pronta, de meter un poco a posto, volendo.
    mi no me sento schiavo de roma, opur se go de scelzer de chi esser “schiavo” preferisso Roma tra i tanti che xe in giro.
    E chissà che Roma un giorno no diventi capitale d’Europa, magari con un presidente sloven e un primo ministro irlandese.

  20. cagoia ha detto:

    “no me sento schiavo de roma”

    L’ino nazzziunale disi el contrario.
    Quindi no te son un vero italian.

  21. effebi ha detto:

    ah volevo dir che l’italia xe anche Pirandello, Verdi, Michelangelo, Galileo, Dante, Marconi, el Rex, San Francesco… papa Giovanni XXIII, Lorenzo el Magnifico…. Missoni e Versace, Enzo Ferrari, D’Annunzio…
    Saba, Svevo… (go messo anche questi cussì che podè discuter)

    po se uno vedi solo pizze e tarantelle xe un problema suo.

  22. effebi ha detto:

    solo nell’italia pre-romana iera:
    Apuli · Ausoni · Bruzi · Elimi · Etruschi · Falisci · Galli · Italici · Latini · Liguri · Lucani · Marsi · Messapi · Osci · Piceni · Reti · Sabini · Sanniti · Sicani · Siculi · Umbri · Veneti

    figurite se mi son un italian vero, nissun xe un italian vero, ma preferisso cussì che “etnicamente puro”
    “Roma” xe sta sempre incontro de popoli, anche chi la conquistava se autoproclamava “imperator roman” (sarà pur un motivo). bon , a quella “Roma” mi fazo riferimento, quell’impero che perfin i asburgo ga simiotado.
    FedericoIII (el primo dei asburgo) xe sta l’ultimo imperator del sacro romano impero (Re dei Romani incoronato a Roma 1452)

    Desso se perdemo a rimpianzer la bruta fotocopia e se contentemo de cantar viva l’A… quando iera i austriaci, i principi de baviera e tanti altri “a cantar” …..Viva R !

    e po a Roma se sta ben: pizza …mandolino 🙂 spaghetti carbonara boscaiola matriciana
    ma cossa se mati che me meto nele man de certi tristi magnapatate ! piatounico tuti i santi giorni !? ma tigniveli !

  23. andemo avanti dei! ha detto:

    @ Cagoia
    …intanto citi l’Inno senza sapere il significato della parole. Per “schiava di Roma” si intende la vittoria è schiava di Roma… e poi se vivi il complesso dei vari luoghi comuni e stereotipi che senti da alcuni quando vai all’estero… beh hai la stessa ignoranza di chi li sostiene!

  24. bruno ha detto:

    Nelle mie peregrinazioni per il mondo la più bella risposta io abbia ricevuto alla tipica domanda da viaggiatore :”Di dove sei?” è stata :”Sono come te, un cittadino del mondo.”
    In tempi non sospetti, quando i popoli per mancanza di comunicazione e mezzi veloci erano relegati nelle loro terre, gli unici a propagandare cultura e nuove tecnologie erano gli zingari, ora malvisti ed esecrati da leghisti e destrorsi che, ahimè, tendono a perseguitarli. Come tendono a perseguitare migrazioni dettate da quella pseudoscienza che ancora qualcuno si ostina a studiare e si chiama Economia, fonte di guerre, dolori,fraintendimenti e “futures”.
    Dante diceva “fatti non foste a viver come bruti, ma a perseguir virtute e conoscenza”. Appunto virtute, e conoscenza virtuosa. Se tu fai il tuo formaggio, possiamo scambiarlo con le mie arance, NON con la promessa delle arance!! Fermo restando il fatto che tu puoi darmi le arance dopo aver ricevuto il formaggio, se le arance non sono ancora mature. E in questa “economia” possiamo parlare una lingua comune, che se già non ci è comune sarà la lingua che ognuno di noi parla nel bisogno, che come i Cagliostri economisti potranno affermare, è la naturale contrapposizione al concetto di bene, che viene invece monetizzato in Borsa…CAZZO!!!
    Altro che lingue….scusate lo sfogo, ma mi hanno licenziato da poco..

  25. bruno ha detto:

    Nelle mie peregrinazioni per il mondo la piò bella risposta io abbia ricevuto alla tipica domanda da viaggiatore :”Di dove sei?” è stata :”Sono come te, un cittadino del mondo.”
    In tempi non sospetti, quando i popoli per mancanza di comunicazione e mezzi veloci erano relegati nelle loro terre, gli unici a propagandare cultura e nuove tecnologie erano gli zingari, ora malvisti ed esecrati da leghisti e destrorsi che, ahimè, tendono a perseguitarli. Come tendono a perseguitare migrazioni dettate da quella pseudoscienza che ancora qualcuno si ostina a studiare e si chiama Economia, fonte di guerre, dolori,fraintendimenti e “futures”.
    Dante diceva “fatti non foste a viver come bruti, ma a perseguir virtute e conoscenza”. Appunto virtute, e conoscenza virtuosa. Se tu fai il tuo formaggio, possiamo scambiarlo con le mie arance, NON con la promessa delle arance!! Fermo restando il fatto che tu puoi darmi le arance dopo aver ricevuto il formaggio, se le arance non sono ancora mature. E in questa “economia” possiamo parlare una lingua comune, che se già non ci è comune sarà la lingua che ognuno di noi parla nel bisogno, che come i Cagliostri economisti potranno affermare, è la naturale contrapposizione al concetto di bene, che viene invece monetizzato in Borsa…CAZZO!!!
    Altro che lingue….scusate lo sfogo, ma mi hanno licenziato da poco..

  26. effebi ha detto:

    il problema sorge quando ci sono popoli che non hanno nè arance nè formaggio ma vogliono mangiarli, così magari fingono di avere rape e promettono che te le daranno, oppure vengono e ti portano via arance, formaggio e anche i gioielli di famiglia…
    si possono inseguire le utopie , meglio avere un metodo per procedere .

    bello essere cittadini del mondo:
    Apuli · Ausoni · Bruzi · Elimi · Etruschi · Falisci · Galli · Italici · Latini · Liguri · Lucani · Marsi · Messapi · Osci · Piceni · Reti · Sabini · Sanniti · Sicani · Siculi · Umbri · Veneti …. questi si sono un pò organizzati per essere almeno “solo italiani” poi, coi secoli, vedremo cosa si può fare.

    ..o esiste una formula per diventare tutti -domani- cittadini del mondo ?

  27. bulow ha detto:

    come era facile prevedere, il dibattito e’ finito in un gran casino, trieste, l’ impero romano, i sanniti, la mitteleuropa, l’ euroregione, la pizza e il mandolino, i mangiakrauti, manca solo il buco nell’ azoto e il tubo cattolico, e poi siamo a posto.

  28. cagoia ha detto:

    ah volevo dir che l’italia xe anche Pirandello, Verdi, Michelangelo, Galileo, Dante, Marconi, el Rex, San Francesco… papa Giovanni XXIII, Lorenzo el Magnifico…. Missoni e Versace, Enzo Ferrari, D’Annunzio…
    Saba, Svevo

    Ma i xe quasi TUTTI MORTI!!!
    ‘desso xe Riina e Provenzano.
    Te podevi citar almeno le centinaia de scienziati che va a far i ricercatri nelle università più prestigiose de tutto el mondo.
    Ma forsi no xe un gran vanto lassar scampar i zervei più importanti che un paese pol gaver… per tignirse pagando milionade de euri i Pirli e Buffoni vari.

  29. lanfùr ha detto:

    Spaghetti e pizza? Io voto gnocchi de susini e frico (non posso votar polenta perchè come il va pensiero ormai è stata meschinamente rubata e strumentalizzata dalla Lega).

  30. bruno ha detto:

    Ah, formula per diventare cittadini del mondo è girarlo un pò di più e vedere anche cosa fanno gli altri e come lo fanno…in effetti Apuli e Liguri si sono organizzati per diventare italiani, ma il risultato non mi sembra tanto lusinghiero…forse è meglio autostimarsi un pò di più e puntare a qualcosa di decisamente diverso e più alto, no? Visto che non solo agli italiani è andata male…

  31. cagoia ha detto:

    “Cittadini del mondo” bela frase che vol dir tuto e gnente se no se ghe da un contenuto.

    Cossa cavolo significa? Che no te ga una casa definida, che no te ga radici definide? Che esser qua o a Calcutta xe indiferente?
    Boh.

  32. Marisa ha detto:

    …..”cittadini del mondo” è solo una espressione utopica che piace molto agli intellettuali di sinistra! Tutto qua! In realtà solo se hai coscienza di “chi sei” e “da dove vieni”, hai qualcosa di regalare agli altri, hai qualcosa da scambiare. Altrimenti sei il “nulla”. Ma dal momento che tutti nasciamo in un posto e cresciamo con la cultura e la lingua di quel posto, la risposta “sono un cittadino del mondo” è falsa! Ma è una risposta che fa così tendenza….

  33. enrico maria milic ha detto:

    marisa, sbagli

    ovviamente uno può sentirsi allo stesso momento cittadino del mondo e friulano o triestino.

  34. Marisa ha detto:

    Enrico Maria,

    scusami, ma sei tu che sbagli. Uno può essere un gran viaggiatore e amare il mondo, ma sarà sempre il risultato culturale del posto dove è nato. Ed è bello sia così perchè così ci possono essere fantastici scambi culturali e linguistici. Tu che sei triestino sarai sempre prima triestino e poi, solo in seconda battuta, viaggiatore e cittadino del mondo.

  35. arlon ha detto:

    E perchè uno che si sposta non dovrebbe diventare un prodotto culturale, oltre che del posto di dov’è nato (che magari è un prodotto di altri posti che si incontrano, vedi Trieste), dei posti dove va?

  36. bulow ha detto:

    mah, marisa, mettiamo che un uomo sia figlio di musicanti girovaghi, o di esuli, o di anime inquiete, o di ebrei erranti. secondo il tuo ragionamento, quest’ uomo e’ il nulla. mi vengono i brividi, a sentir dire cose di questo tipo.

  37. enrico maria milic ha detto:

    inoltre , marisa,

    non solo è vero che siamo ‘prodotti culturali’ dei posti dove viviamo e dei posti presso cui andiamo,

    ma è anche vero che oggi esistono i mezzi di comunicazione (tv, internet, eccetera) che ci permettono di diventare ‘prodotti culturali’ di quello che persone di altri posti pensano, scrivono e creano

  38. bulow ha detto:

    “Here’s to the hearts and the hands of the men/
    That come with the dust and are gone with the wind.”

    Bob Dylan, Song to Woody

  39. bulow ha detto:

    enrico

    quel che dici e’ verissimo, ed e’ vero anche se riferito ai tempi in cui non esistevano internet ecc.. alla fine le idee hanno sempre circolato, magari un po’ piu’ lentamente.

  40. Luigi (veneziano) ha detto:

    Quest’estate mio figlio – quindici anni – ha passato tre settimane in Inghilterra in un campus. “Ovviamente” ne è tornato entusiasta.

    Adesso l’ho iscritto a Intercultura: spero che passi le selezioni, così per sei mesi frequenterà la scuola di un altro paese (preferibilmente anglofono o di lingua spagnola). Se ne avrò le possibilità economiche, lo spedirò ogni anno tre settimane in estate in un altro paese europeo. Da solo, come questa volta.

    Se Dio vorrà – e se sarà bravo – farò anche di tutto per convincerlo a fare l’Erasmus durante l’università, come quest’anno è capitato a mia nipote (nove mesi a Berlino: una grande esperienza).

    Quando sento parlare dell’assolutismo delle piccole patrie regionali o cittadine, o dei dialetti come baluardo contro i cattivi che vengono da Roma, o del Sacro Tricolore Italico, o dell’impellente desiderio di buttarsi nelle braccia di un’identità considerata “forte”, come per esempio quella tedesca, mi domando – senza offesa per nessuno, sia chiaro – se a parlare non sia la paura di scoprirsi per nulla attrezzati di fronte al mondo che ci circonda. La molteplicità fa paura: più facile “rinchiudersi” all’interno di una singola categoria, tanto più accettata quanto più ristretta.

    Lo dice un veneziano che “gode” del fatto di avere alle spalle la storia di uno stato millenario e plurinazionale, ma che ciononostante è venuto su col seguente assioma, dal quale vi assicuro non è facile emendarsi:

    Al mondo ghe xe:
    1. Venexiani
    2. Campagnoli (tutto ciò che sta al di là della laguna, ma più o meno in Veneto/Friuli)
    3. Foresti (tutti gli stranieri, considerando tali anche – per dire – i milanesi)
    5. Cabibi (tutto ciò che sta a sud del Po)

    Luigi (veneziano)

  41. Marisa ha detto:

    Certo che diventando adulti ci si arricchisce di tutte le esperienze che si fanno e di tutti gli incontri avuti. Ma io volevo dire un’altra cosa. C’è un senso di appartenza alla comunità in cui sei nato che ti rimarrà tutta la vita. Luigi (veneziano) sta crescendo suo figlio con i “suoi” valori e convinzioni. Ma suo figlio un domani deciderà da sè se accettare i valori del padre o respingerli a abbracciarne altri, magari opposti a quelli del padre. Magari, chissà, da adulto si comprerà una azienda agricola e non si muoverà più di casa…..stufo di fare il giramondo perchè obbligato dal padre!

  42. Luigi (veneziano) ha detto:

    Per carità, tutto è possibile.

    Diciamo che fra l’orticello di casa e il mondo, credo uno abbia più possibilità di crescita nel secondo ambito.

    E se tu hai o avrai un/a figlio/a, voglio proprio vedere come cercherai di attrezzarlo/a rispetto al suo futuro.

    Sarebbe criminale nei suoi confronti – al giorno d’oggi – pensare di rinchiuderlo/a mentalmente all’interno della propria piccola patria. Che sia la propria casa, il proprio quartiere, la propria città, la propria provincia, la propria regione e perfino il proprio stato.

    Luigi (veneziano)

  43. Io sono uscito dalla piccola patria (tra l’altro, mai capito quale fosse, se Roma, l’Abruzzo o il Piemonte…) quando ero ancora in fasce, vivendo un po’ di qua un po’ di là, ma ho sempre coltivato le tradizioni da cui provenivo. La tutela delle piccole patrie non è incompatibile con l’apertura verso il mondo.

  44. StripedCat ha detto:

    bon mi penso che l’importante xe’ de non dar gnente per scontado.

    saria dir, non pensar che i altri ga’ sempre e necessariamente l’erba piu’ verde (ciamemola esterofilia seriale) ne’ che solo de noi xe’ bon cafe’, innata simpatia e civilta’ del bidet.

    per farlo xe’ ben de viagiar, possibilmente non intruppai “a testuggine romana”, grupon de connazionali impermealizai (purtroppo se vedi tanti che viagia cussi che i parti baul e i torna casson).
    ma anche comunicar. adesso xe’ facebook e twitter. ma una volta no iera diverso. go capi’ qualcossa de cecoslovacchia, galles, norvegia, DDR ecetera dai miei penpals nei anni 80, senza gaver mai avu’ la possibilita’ de viagiar piu’ lontan de carinzia e slovenia.
    no go vissu sul posto la rivoluzion de veludo in cecoslovacchia ma atraverso le lettere dei amici si’. 20 anni dopo me sento quasi come se fossi stada la anche mi.

    scriver, legier, viagiar con le parole e coi pie, possibilmente soli, tuto aiuta.

    viagiar xe necessario ma non suficiente. ocori voler “zercar” (nel senso anche de assagiar, me piasi sai el dopio significato triestin de “zercar”) l’altra cultura.

    bon mi penso che xe abastanza spazio in testa per tignir dentro la propria cultura de provenienza e assorbir anche i stimoli dele altre culture.

    i nazionalisti de qualsiasi latitudine evidentemente ga testoline come piere pomisi. picie, secche e con sai aria dentro.

  45. StripedCat ha detto:

    PS
    i concetti de appartenenza spiegai da magris xe spiegai altretanto ben da kapuscinski in “nel turbine della storia” a pag 21.

    el fa riferimento alle 4 identita’ che investi ognun de noi. el concludi con:

    “tutto cio’ non mi pare contenere alcuna contraddizione. pur possedendo identita’ molto diverse tra loro e che emergono a seconda della situazione e delle fasi di vita, l’uomo rimane un’unita’.
    spesso la gente non capisce che, nell’epoca in cui viviamo, questi quattro mondi non influiscono separatamente, uno alla volta, sul nostro destino, ma che vi influiscono tutti e quattro insieme. IL NON RENDERSI CONTO DI QUESTA LEGGE, OGGI FONDAMENTALE, PRODUCE UN SENSO DI SMARRIMENTO E DI FRUSTRAZIONE IN MOLTI DEI NOSTRI CONTEMPORANEI”

  46. bulow ha detto:

    Itaca (K. Kavafis)

    Quando ti metterai in viaggio per Itaca
    devi augurarti che la strada sia lunga,
    fertile in avventure e in esperienze.
    I Lestrigoni e i Ciclopi
    o la furia di Nettuno non temere,
    non sara` questo il genere di incontri
    se il pensiero resta alto e un sentimento
    fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo.
    In Ciclopi e Lestrigoni, no certo,
    ne’ nell’irato Nettuno incapperai
    se non li porti dentro
    se l’anima non te li mette contro.

    Devi augurarti che la strada sia lunga.
    Che i mattini d’estate siano tanti
    quando nei porti – finalmente e con che gioia –
    toccherai terra tu per la prima volta:
    negli empori fenici indugia e acquista
    madreperle coralli ebano e ambre
    tutta merce fina, anche profumi
    penetranti d’ogni sorta; piu’ profumi inebrianti che puoi,
    va in molte citta` egizie
    impara una quantità di cose dai dotti.

    Sempre devi avere in mente Itaca –
    raggiungerla sia il pensiero costante.
    Soprattutto, non affrettare il viaggio;
    fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio
    metta piede sull’isola, tu, ricco
    dei tesori accumulati per strada
    senza aspettarti ricchezze da Itaca.
    Itaca ti ha dato il bel viaggio,
    senza di lei mai ti saresti messo
    sulla strada: che cos’altro ti aspetti?

    E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso.
    Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso
    gia` tu avrai capito cio` che Itaca vuole significare.

  47. Julius Franzot ha detto:

    @Marisa e Enrico

    Io capisco entrambi i vostri punti di vista, che poi non divergono tanto. Uno si porta sempre dietro la propria identità, anche se gira il mondo. Io, avendo 2 identità, esattamente al 50%, ho fatto e continuo a fare un continuo sforzo di adattamento di quello che imparo altrove ad entrambe.
    Qui si innesta il discorso dei migranti. Fino a che punto ha senso che mantengano la propria identità nel Paese ospite? Secondo me bisogna distinguere tra connotati identitari in accordo (o non in disaccordo) con la morale comune (per esempio non mangiare carne di maiale, parlare ANCHE Arabo, pregare Allah 5 x al giorno…) e cose assolutamente inaccettabili dalla morale e dalle leggi del Paese ospite (ammazzare la figlia che vuole sposare un Cristiano, non imparare la lingua del paese ospita, sopravvalutare il ruolo della famiglia biologica, compiere atti terroristici…). Sulle prime, penso non ci sia nulla da ridire, mentre per le seconde sono per la tolleranza zero.
    Se poi un migrante vorrà stabilirsi definitivamente nel Paese “ospite”, penso che l’assimilazione (uso apposta questo termine) dovrà includere anche altri aspetti culturali e l’identificazione con gli interessi della sua nuova Patria.
    Che cittadinanza poi uno abbia è assolutamente secondario ai fini dell’identità, dato che è decisa dalla burocrazia secondo norme arbitrarie. Io almeno la ho sempre considerata meno di unindirizzo postale, dato che la mia cittadinanza ufficiale non corrisponde a nessuna delle mie 2 identità biologiche e culturali (tedesca e friulana).

  48. bulow ha detto:

    scusa julius, ma non credo che

    “ammazzare la figlia che vuole sposare un Cristiano, non imparare la lingua del paese ospite, sopravvalutare il ruolo della famiglia biologica, compiere atti terroristici”

    possano essere considerati connotati identitari. se vogliamo parlare di connotati identitari per noi non accettabili, parliamo piuttosto di poligamia o infibulazione.

    per quel che ne so io,

    1) “ammazzare la figlia che vuole sposare un Cristiano” e’ semplicemente omicidio di primo grado, e credo che lo sia anche in gran parte dei paesi di cultura islamica.

    2) “non imparare la lingua del paese ospite” e’ un puro atto autolesionistico, oppure e’ la conseguenza di situazioni sociali particolarmente disagiate.

    3) “sopravvalutare il ruolo della famiglia biologica”. beh, su questo, qui in italia non abbiamo da vantarci molto, a dire il vero (vedi ingerenze vaticane, family day, ecc.)

    4) “compiere atti terroristici”. vedi punto 1)

  49. bulow ha detto:

    tra l’ altro nei paesi di cultura islamica stanno nascendo movimenti di donne che cercano di cambiare “dall’ interno” il carattere maschilista della cultura islamica. mi ha colpito il fatto che in iran, sulle barricate, in prima fila ci fossero le ragazze. credo che alla lunga ce la faranno.

  50. bulow ha detto:

    qui si puo’ trovare qualche spunto, senza nessuna pretesa di rigore e completezza:

    http://en.wikipedia.org/wiki/Islamic_feminism#Muslim_feminism

  51. Julius Franzot ha detto:

    @ bulow
    Ovviamente concordo con te che omicidio e terrorismo siano comunque condannabili, però ricordati che qualche decennio fa in Italia il “delitto d’onore” era considerato un attenuante. Intendevo dire che uno che assassina in Europa per motivi ideologici o legati alla “sua cultura” non deve essere capito, scusato, ricevere attenuanti, ma perseguito con il massimo della pena.

    In quanto ai cambiamenti dall’interno nei Paesi islamici, sono molto lieto che ci siano, in quanto la società islamica potrà essere cambiata solo dall’interno e solo nei Paesi islamici stessi: un cambiamento dall’esterno sarebbe visto come indebita ingerenza e un cambiamento che partisse dagli emigrati sarebbe considerato un caso di contaminazione e quindi ignorato o ridicolizzato.

  52. jacum ha detto:

    il senso de fastidio e la sensazione de no rivar a sopportar un’identitá data per forza de coxa e l’obbligo de innegiar a qualcosa che in realtá no te apartieni xe duro de digerir.

    quando un popolo invadi, colonizza, occupa un territorio se poni sempre el problema de: 1) integrazion e 2) assimilazion.

    ma de chi po’?
    degli occupati in primis ovviamente, e poi dei colonizzatori. per arivar infine a un mischiot multicolorato.

    e secondo mi, val anca el processo inverso, ossia se cualchedun te vien a far vixita, dixemo cusí, e che quindi gaveremo una integrazion/assimilazion del vixitatore da parte della societá ospite, ma anche una integrazion/assimilazion dell’ospitante rispetto all’ospite. per rivar a un mischiot multicolorato.

    mi son contrario all’assimilazion, perché xe piú profonda e piú distruttiva dell’identitá di una popolazione locale.
    integrar va ben, te son un invaxor e te imponi la tua cultura, uxanze, legi, te son un immigrá, va ben te porti la tua cultura, uxanze e legi.
    ma se cualcossa no se riva proprio ad acetar alora nasi el rifiuto, da una parte e/o dall’altra e nasi cusí pupoli e la dis-integrazion.

    l’assimilazion xe za oltre. xe un passo successivo all’integrazion.
    la dis-assimilazion xe un processo piú duro e che solo co la violenza piú estrema, guerra/pulizia etnica, el processo pol concluderse…forsi

    tornando a magris… me par un articolo magris…senza sostanza…

    l’italia ga occupá trieste, i triestini xe stai integradi nel nuovo regno, molti i jera contenti e molti no i jera contenti!!

    ogi poso purtroppo dir che trieste xe a buon punto de assimilazion da parte taliana e che la vedo sai dura una possibile dis-assimilazion da roma capitale. l’identitá dei triestini xe ofuscada da carte de identitá in talian o talian/sloven che no basta a dir chi te son, i confini non naturali e reali forza ad esser cualcosa che xe brutalmente imposto. molti xe contenti e molti no xe contenti!!

    l’indipendenza de trieste xe l’unica soluzion.

    indipendenza vol dir condizione politica di un paese non soggetto a dominazione straniera…

    e xe un argomentazione un po’ ostica tra i partecipanti de bora.la…

    guai tocar l’unitá…..ma semo veramente uniti?

  53. Julius Franzot ha detto:

    Faccio un po’di fatica a capirti, jacum ;-), ma vorrei puntualizzare che io non intendevo l’assimilazione dell’occupato da parte dell’okkupante (quella a Trieste è avvenuta ed un triste ventennio ha lavato il cervello ad un’intera generazione. Io intendevo l’assimilazione dell’immigrato (= di chi va a vivere in un Paese diverso dal suo per libera scelta) da parte del Paese ospite.
    Esempio: la terza generazione dei Turchi (parlo di quelli che già in Turchia erano civilizzati) in Germania: li trovi a fare di tutto, dai giornalisti ai segretari di partito. Parlano e scrivono un tedesco perfetto, hanno fatto il servizio militare in Germania, ma conoscono ancora il Turco ed i loro genitori li hanno mandati un paio di volte in Turchia per conoscere le loro radici.

  54. bulow ha detto:

    @ julius

    “Intendevo dire che uno che assassina in Europa per motivi ideologici o legati alla “sua cultura” non deve essere capito, scusato, ricevere attenuanti, ma perseguito con il massimo della pena.”

    assolutamente d’ accordo. ovviamente il discorso vale anche per eta, ira, br, mafie varie e quant’ altro.

  55. Luigi (veneziano) ha detto:

    Sul delitto d’onore.

    Stando all’Alto Commissario per i Diritti Umani dell’ONU (2002), il delitto d’onore è stato registrato in: “Egitto, Giordania, Libano, Marocco, Pakistan, Siria, Turchia, Yemen e in altri paesi del Mediterraneo e del Golfo Persico, così come in alcuni paesi occidentali come Francia, Germania e Regno Unito all’interno delle comunità degli immigrati”.

    L’esenzione completa da qualsiasi responsabilità per chi uccide la moglie (giammai il marito!) e pure altri parenti donne in flagrante adulterio è prevista in Giordania: il codice penale giordano prevede la non punibilità anche in caso di premeditazione.

    In Siria è lo stesso possibile ammazzare le proprie parenti donne colte in flagrante adulterio, ma senza premeditazione.

    In Marocco si può ammazzare la sola moglie colta in flagrante adulterio, senza premeditazione.

    La legge brasiliana fino al 1991 concedeva le attenuanti, poi la legge è stata emendata, ma le corti continuano a concedere attenuanti specifiche in un numero rilevante di casi.

    In Colombia esisteva fino al 1980 l’esenzione totale di responsabilità.

    L’omicidio d’onore era permesso dalla legge irachena, fino al 2002, tuttavia nel Kurdistan iracheno tradizionalmente si ammazzano ancor oggi le donne per aver semplicemente “disonorato” la famiglia, senza che le autorità locali intervengano.

    In Pakistan il delitto d’onore è punito dalla legge, ma di fatto non viene perseguito dalla polizia. Nel 2003 risultano uccise nel solo Pakistan 1.261 donne per delitto d’onore.

    Infine, come notazione storica ricordo che il Codice Napoleonico prevedeva la non responsabilità per chi uccideva la moglie sorpresa in flagrante adulterio.

    Saluti.

    Luigi (veneziano)

    PS Non ho preso in considerazione tutti quei sistemi penali che considerano un reato l’adulterio, nel qual caso è lo stato stesso che procede contro l’adultero. In certi casi il delitto d’adulterio colpisce solo la donna adultera, ma in altri paesi (per esempio in Iran), la pena è prevista sia per l’adultero che per l’adultera. In Iran la pena è la morte. Il codice penale iraniano prevede anche il metodo di irrogazione della pena, che è la lapidazione pubblica. L’articolo 102 stabilisce che gli uomini siano sepolti in piedi fino alla vita, le donne fino a sotto il seno. L’articolo 104 addirittura stabilisce che le pietre non possano essere talmente grandi da ammazzare il condannato in uno o due colpi, ma nemmeno così piccole da non poter essere definite “pietre”.

    In giugno ho partecipato ad una manifestazione a Padova per la democrazia in Iran, ricevendo verio materiale agghiacciante sulla situazione in loco.

  56. Luigi (veneziano) ha detto:

    Aggiungo che a giugno ho partecipato ad una manifestazione a Padova per la democrazia in Iran. Ho sentito delle testimonianze agghiaccianti.

  57. thedilumumba ha detto:

    Si Franzot,ma anche “I ragazzi turchi vogliono uscire dal ghetto”di Katrin Elger,Ansbert Kneip e Merlind Theile.

  58. jacum ha detto:

    @julius

    si, te go capì ben caro julius, e mi volevo estender el discorso.

    a trieste no solo una generazion ga subì el lavagio del zervel, come magari inconsiamente te speravi ti, ma molte de più purtroppo!!!
    mi che son soto i 40 te confermo che i me ga italianizà a scola! e solo perchè per lavor son via de trieste, e vado suxo, che son rivà a verzer i joci e studiar su ALTRI libri!!!

    VIVA ROMA!!

  59. renzo maggiore ha detto:

    Trovo alto e condivisibile l’intervento di Magris concordando soprattutto sul valore della Relazione, parola che – non a caso – sta alla base di tutte le maggiori culture mondiali. Relazione è incontro tra due o più punti di vista; è il prendere atto che ognuno di noi è un mondo da esplorare, comprendere e… trascendere.
    Ciao a tutti

  60. Fiora ha detto:

    “autarchia spirituale” scrive Magris per significare la limitatezza dell’arroccarsi sul campanile.
    nel Padrenostro dopo o prima del “liberaci dal male” ci dovrebbe stare “liberaci dall’autarchia spirituale” che accieca impedendo la condivisione.

  61. Fiora ha detto:

    …con tutto il rispetto effettivamente poteva farla meno lunga.

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