3 Settembre 2009

Il Rigassificatore di Zaule e il caso Livarna

isonzo-Gorizia

Le proteste slovene per il progetto di costruzione del rigassificatore non sono senza precedenti. Nel 2007, a Gorizia si era molto parlato di Livarna, un’industria d’oltre confine accusata di ammorbare l’aria goriziana. E’interessante sottolineare come, all’epoca, ben pochi sembrassero dubitare dell’illiceità del comportamento sloveno.
Pubblichiamo un’intervista di Davide Lessi e Paola Barioli a Luigi Cecchini, professore di Diritto internazionale all’Università di Trieste, apparsa nel marzo 2007 su “Sconfinare”, il giornale curato dagli studenti di Scienze internazionali e diplomatiche.
Per chi fosse interessato solo alle analogie sul piano internazionale fra Livarna e rigassificatore, consiglio di saltare subito all’ultima domanda. Per inciso, il prof. Cecchini non è esattamente un bolscevico internazionalista.

Prof. Cecchini può riassumere in cosa consiste il cosiddetto “caso Livarna”?

[…] Il “caso Livarna” riguarda un’azienda che, sita in territorio sloveno a ridosso del confine (località Montesanto), facendo uso di formaldeide, è causa di inquinamento atmosferico.

Lei presenta il problema con distacco, ma gli abitanti hanno formato un comitato e hanno protestato vivacemente contro il Sindaco di Gorizia accusato di disinteresse o di insufficiente interessamento per la questione. Dunque, c’è qualcosa di più…

Vedete, non è che presento la questione con “distacco”, se è questa l’impressione me ne scuso. Cerco di fare uno sforzo per uscire dal rischio di una eventuale degenerazione politica del problema che una sua inidonea interpretazione potrebbe alimentare.
Diciamo che la formaldeide è un prodotto considerato cancerogeno e la legittima preoccupazione degli abitanti è di non correre il rischio che hanno già corso gli operai dell’Italcantieri o di Marghera a lungo esposti all’amianto, nonostante i responsabili dell’azienda fossero a conoscenza, da molti anni, dei danni alla salute che l’esposizione a tale prodotto avrebbe comportato. La conclusione è che della questione si sta occupando la magistratura.
Nel caso di specie, alcuni abitanti della zona si sono sottoposti volontariamente ad alcune analisi del sangue che hanno evidenziato la presenza di valori fuori norma in qualche modo riconducibili alle sostanze emesse dall’azienda in questione. L’inquinamento si manifesta con odori forti e sgradevoli e con lacrimazione degli occhi. Ritenere che non ci sia nulla di che preoccuparsi, come qualcuno ha sostenuto, ovvero affermare che la situazione sarebbe sotto controllo ovvero negare che l’azienda faccia ricorso a quel tipo di sostanza, significa negare l’evidenza. Posto che a ridosso del confine non esistono altre attività industriali alle quali possa ricondursi l’utilizzo della citata sostanza.

Qualcuno ha sostenuto che la vicenda è stata oggetto di speculazione politica. Lei che ne pensa?

Per le ragioni sopra esposte, avrei gradito essere esonerato da una domanda di questo tipo. Tuttavia, se proprio vuole conoscere la mia impressione posso dirle che in parte la condivido. La questione ha, infatti, aspetti tecnici, giuridici e politici.
Per quanto riguarda il primo e l’ultimo aspetto si può affermare che spesso siano fra loro correlati. È bene ricordare che il Comune di Gorizia ha predisposto fino a marzo un monitoraggio 24 ore su 24 al fine di poter disporre di dati certi e inconfutabili sull’entità dell’inquinamento. Inutile sottolineare come la decisione abbia anche un valore politico che testimonia della volontà del Sindaco Brancati di uscire dalla strettoia di un rapporto transfrontaliero che a molti è sembrato unidirezionale. Da parte sua, il sindaco di Nova Gorica ha in varie occasioni sostenuto (ma non alla conferenza da noi convocata) la disponibilità di trasferire l’azienda in altro sito, ove venisse confermato l’utilizzo di formaldeide e l’inquinamento in territorio italiano dovesse persistere. La soluzione tecnico-amministrativa sarà ovviamente frutto di una decisione assunta in piena autonomia dalla amministrazione locale di oltre confine, ma non le si potrebbe negare anche una notevole valenza politica.
La Regione, inoltre, dopo un incontro con il Sindaco Brancati e alcuni dei protagonisti che, direttamente o indirettamente, si sono occupati della vicenda, ha assicurato il proprio interessamento che si concretizzerà in una franca discussione con le autorità di Lubjana. Si tratta di una decisione politica che, tuttavia, potrebbe avere, se venissero accolte le richieste del Comitato e dell’Amministrazione Comunale di Gorizia, significativi risvolti operativi.
Di altra natura, invece, la vicenda locale che ha visto alla graticola il Sindaco Brancati. A questo proposito va osservato come della questione fosse già stata investita anche la precedente Amministrazione comunale che, a quanto è dato sapere, si è limitata a prendere atto della situazione e ad un breve scambio di note con le autorità di oltre confine. L’Amministrazione Brancati, dunque, ha ereditato una questione già pesante che è scoppiata quando i cittadini, stanchi di attendere, hanno temuto il rischio di ulteriori rinvii. Non credo che alle due Amministrazioni si possa imputare alcunché: l’Amministrazione Valenti si è limitata forse troppo all’aspetto formale (scambio di note), cui non è seguita una sufficiente azione che desse concreta visibilità dell’interesse; l’Amministrazione Brancati, pur occupandosi della questione, non è sembrata capace di comunicare efficacemente il proprio impegno, anche a causa di una percezione della sua politica considerata – a torto o a ragione – troppo accondiscendente nei confronti dell’azienda e delle autorità di oltre confine…

La interrompiamo perché vediamo che la questione politica effettivamente rischia, come Lei ha detto, di occupare troppo spazio. C’è ancora una questione giuridica, sulla quale desideriamo avere qualche elemento di chiarezza.

La questione ha origine con il problema della libertà di sfruttamento delle risorse del territorio e dei suoi limiti. Con riferimento alla protezione dell’ambiente è importante, infatti, considerare i limiti alla libertà di sfruttamento delle risorse naturali del territorio, così da ridurre i danni causati da attività inquinanti, ovvero capaci di produrre la distruzione di ingenti risorse.
C’è dunque da chiedersi se la libertà di sfruttamento incontri dei limiti riconducibili al diritto consuetudinario. Anzitutto, esiste un obbligo dello Stato di evitare che sul suo territorio si svolgano attività tali da arrecare danno al territorio di altri Stati? Il problema viene posto in termini di responsabilità dello Stato territoriale, ma la questione di cui ci stiamo occupando è in qualche modo riconducibile al quadro dei rapporti di vicinato, che hanno ad oggetto proprio i problemi causati dalle immissioni di fumi e sostanze tossiche derivanti da attività industriali insediate in prossimità di confini.
Ci sono due importanti atti internazionali dai quali è opportuno muovere, anche se di per sé sprovvisti di forza vincolante, che sono il principio n. 21 della Dichiarazione del 1972 adottata a Stoccolma dalla Conferenza di Stati sull’ambiente umano, indetta dalle Nazioni Unite, e il n. 2 della Dichiarazione della Dichiarazione della Conferenza di Rio sull’ambiente e lo sviluppo che richiama il suddetto principio. Da questi documenti emerge l’obbligo dello Stato territoriale di assicurarsi che il libero sfruttamento delle risorse non comporti attività che finirebbero per arrecare danno ad altri Stati. L’obbligo che esse sanciscono, ancorché sembrino nate per sottolineare il diritto allo sfruttamento delle risorse, secondo la quasi unanime dottrina e secondo l’opinione della Corte Internazionale di Giustizia, corrisponderebbe al diritto internazionale consuetudinario.
Esiste, tuttavia, un’opinione dissenziente disposta ad ammettere un’eccezione solo per le acque comuni di fiumi e laghi, di cui si ammette il divieto, fra l’altro, di immissione di sostanze inquinanti, un divieto che è stato oggetto di codificazione da parte della Commissione di diritto internazionale sul diritto all’utilizzazione dei corsi d’acqua internazionali.
Con riguardo al nostro caso, tuttavia, va sottolineato un importante precedente, che è quello della sentenza arbitrale emessa tra USA e Canada nel 1941 relativamente all’affare della “Fonderia di Trail” che operava in prossimità del confine e che aveva danneggiato con immissione di fumi le coltivazioni statunitensi. In conclusione, ove la Livarna, entro il 30 ottobre dell’anno corrente, non si adeguasse alla direttiva europea in materia di emissione di sostanze maleodoranti e in difetto di qualsiasi volontà a risolvere la questione da parte slovena, non resterebbero che due strade: a) intentare causa alla proprietà della Livarna da parte dei cittadini italiani sofferenti a causa delle emissioni nocive prodotte dalla sua attività industriale, purché, ovviamente, sussistano i presupposti processuali e le regole sulla responsabilità civile lo consentano; b) intentare causa per responsabilità alla Slovenia. Va da sé che quest’ultima ipotesi potrebbe essere influenzata da valutazioni di opportunità politica, che non sta a me sindacare.

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2 commenti a Il Rigassificatore di Zaule e il caso Livarna

  1. effebi ha detto:

    ma la gente che la dentro lavora e i sloveni delle vicinanze ga vose ? ga de dir ? ga dito ?

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