15 Giugno 2009

Ronda su ronda

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La prospettiva di vedere delle ronde a Trieste mi fa lo stesso effetto delle esercitazioni anti-atomiche nell’America di Joseph McCarthy. Una bella classe di scolaretti intimoriti che, al suono della campanella, si nasconde sotto il banco e trattiene il respiro. Ma servirà a qualcosa ficcarsi là sotto, quando vedremo il funghetto atomico spuntare in cortile? E soprattutto: ne vedremo mai uno? Boh.
Ecco, con le ronde a Trieste è un po’ la stessa cosa: ce n’è davvero bisogno? Hanno senso? Non so, sarà l’incoscienza dei vent’anni, ma quando cammino per città, di notte, non sono inquieto. Non quando passo per via Madonna del Mare, che a quanto pare è diventata il centro di ogni perdizione, né quando cammino per Borgo San Sergio. Forse sono un super-eroe. O forse non guardo il Tg1.

In fin dei conti, chiedersi se un’esercitazione anti-atomica ha senso è stupido. Certo che ne ha, e non ha nulla a che vedere con la nostra incolumità fisica. Sai com’è, senti un aereo, ti sporgi dalla finestra, e poi boom, ti ritrovi vaporizzato senza aver avuto nemmeno il tempo di ammirare il fungo. Quello che conta davvero, in realtà, è la disposizione d’animo con cui arrivi a quel momento.
Le esercitazioni ti permettono di arrivarci sereno e lobotomizzato. Trasmettono paura e sicurezza al tempo stesso. Diffondono la psicosi del nemico e spiegano come farai a salvarti. E poi, e questo è impagabile, danno una forma alle nostre ansie più recondite. Il funghetto diventa una metafora di tutti i nostri timori, delle paure che ci attanagliano da quando abbiamo un ricordo, e le esercitazioni ci spiegano come dominarle. Ecco, le esercitazioni anti-atomiche sono un eccitante e un valium al tempo stesso. Ginnastica d’obbedienza, direbbe De André.

In un certo senso, la ronda padana è la bomba H delle esercitazioni anti-atomiche. Diffonde un’inquietudine strisciante, una paura ben più destabilizzante di quella per un bombardamento nucleare. Voglio dire, nell’America degli Anni ’50 il nemico era qualcosa di estraneo, di esotico. La sua scelta di massacraci o meno era frutto della casualità del destino. Ma qui no, nei nostri quartieri è diverso. Il nemico cammina fra noi. L’altro ieri ha colpito a Tor Vergata, ieri a Milano, oggi chissà. Non ci sarà nessuno scudo stellare a proteggerci, nessuna campanella che suonerà al momento giusto. Ci siamo noi e loro, dove fra noi e loro passa un confine tanto netto e definitivo quanto è quello fra Bene e Male. La frontiera sono io, altro che cazzate.
Pensa un po’, non basta nemmeno la polizia, o l’esercito nelle strade. Eh no, certo che non bastano, sennò cosa ci starei a fare qui? Ansia che monta. Rabbia permanente.

E così uno si arma di pettorina fosforescente e cellulare e scende per strada, pronto ad affrontare gli orchi che hanno massacrato la Reggiani, stuprato quindicenni a iosa, depredato decine di villette da Conegliano a Ventimiglia. E si ritrova a girare per via Giulia, fra una cacca di cane non raccolta e una macchina in divieto.
Ecco, più di tutte le seghe mentali sul potere che vi è toccato sorbirvi finora, quello che meno sopporto delle ronde è la loro esaltazione della mediocrità. Le ronde sono kitsch. Sono il ragionier Uccio Giugovaz, annoiato dalla moglie e dal capoufficio, che si scopre giustiziere della notte. Che rompe l’oppressione del solito tran tran pensando a quando pattuglierà le strade di casa. Sì, chissà, un po’ si sentirà pure in Afghanistan. E non mancherà qualche malato di telefilm americani che, bloccando un ragazzino che si faceva una canna o s’era appartato sotto casa in dolce compagnia, esclamerà con voce tremante dall’emozione: “Hai il diritto di non parlare. Tutto quello che dirai potrà essere usato contro di te”. E’trasposizione della realtà televisiva nel quotidiano. E’peggio della schizofrenia: è confusione fra vita e palinsesto. E’la disperata volontà di rompere la noia di una città di provincia, in cui pure i tre ragazzini alcolizzati di piazza Oberdan vengono presi per punkabbestia. Vuoi mettere quant’è più eccitante così? Altro che Trieste, questa è New York! Anzi, è CSI New York.

Le prime immagini delle ronde venete sono patetiche: cinquanta-sessantenni grassocci, impacciati perfino nel camminare, che accompagnano ogni gesto, anche i più banali, con la solennità di chi sa di stare dalla parte del Giusto. Hanno colmato il vuoto di senso delle loro vite. C’è chi va a puttane, chi allo stadio e chi alla caccia di spacciatori che non saranno mai così coglioni da farsi beccare da un gruppo di panzoni affannati e per di più fosforescenti. Questione di gusti, insomma.
Peccato solo che il semplice vederli per le strade crei il bisogno della loro presenza. Scorgerli rassicura, ma ci ricorda che il pericolo è là, in agguato; e dove prima eravamo soliti vedere un kebabbaro innocuo, adesso ci pare di scorgere l’ombra di Al Qaeda, non appena i rondaioli girano l’angolo. E’un circolo vizioso: l’ansia spinge a cercare nuove forme di protezione, che al tempo stesso confortano e contribuiscono a creare una sensazione di stato d’emergenza, generando nuova paura. E politicamente questo non può restare senza conseguenze. Le misure più becere diventano tollerabili, come insegna la Guantanamo dell’America post 11 settembre. Altro che carceri sovraffollate o respingimenti: se papà è costretto ad armarsi di 3210 e pattugliare via Giulia dal tramonto all’alba, è già tanto se non glieli affondiamo, quei cazzo di canotti.

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13 commenti a Ronda su ronda

  1. bulow ha detto:

    a me in questo clima continua a tornarmi in mente questo:

    http://www.youtube.com/watch?v=_udASYXP898

  2. Andrea Luchetta ha detto:

    Sì e no… Non penso ci sia un disegno organico di repressione del dissenso. Non che al governo dispiacerebbe, credo, ma al limite sarebbe un effetto secondario, per quanto gradito. Queste sono le ronde della casilinga di Voghera andata in overdose da Studio Aperto. C’è un’altra ragione per cui secondo me sono così dirompenti: rilanciano il mito della comunità, del territorio, intesi come soluzione ad ogni male possibile.

  3. bulow ha detto:

    andrea

    sono d’ accordo con te al 100%.

    in realta’ quello che mi risuona, piu’ in pancia che in testa, del film di petri, e’ l’ atmosfera paranoide che si vive oggi in italia. e’ l’ aspetto spaventoso e insieme grottesco del potere.
    e poi c’e’ il rapporto del commissario con le donne, cosi’ infantile, che mi ricorda in fondo quello di berlusconi.

  4. Andrea Luchetta ha detto:

    Del film ho visto solo lo spezzone che hai postato… Adesso me lo cerco

  5. bulow ha detto:

    ne vale la pena!

  6. enrico maria milic ha detto:

    questo passaggio è fantastico:

    Le ronde sono kitsch. Sono il ragionier Uccio Giugovaz, annoiato dalla moglie e dal capoufficio, che si scopre giustiziere della notte.

    : )

    sono tendenzialmente d’accordo sull’idea che, come aggiungi strumenti di controllo della paura, questa paura diventa sempre più diffusa nei corpi delle persone.

    però.

    non sono del tutto d’accordo quando, mi pare, condanni le ronde perchè “rilanciano il mito della comunità, del territorio, intesi come soluzione ad ogni male possibile”.

    non sono del tutto persuaso che la gestione attiva del territorio da parte di una comunità sia qualcosa di così perverso e conservatore. anzi.

    quella comunità che abita il territorio, dopo tutto, non è detto che sia necessariamente razzista o xenofoba. chi l’ha detto?

  7. bulow ha detto:

    enrico

    rispondo per me.

    “quella comunità che abita il territorio, dopo tutto, non è detto che sia necessariamente razzista o xenofoba. chi l’ha detto?”

    in italia, nel 2009, molto spesso lo ha detto la comunita’ stessa.

    e’ chiaro che in peru’, o in ecuador, o in chiapas, le cose sono molto diverse.

    non c’e’ una legge matematica che dice “comunitarismo xenofobia”. tutto dipende dal modo in cui una comunita’ si percepisce, e su quali valori fonda la propria identita’.

    per me comunque sono illuminanti le parole di moni ovadia:

    “Stranamente lo straniero ci abita, è la parte nascosta della
    nostra identità, la parte che destabilizza la simpatia e l’empatia
    familiare, che decostruisce l’abitazione, la parte oscura e inquieta.
    Riconoscerla in noi ci risparmia la vergogna di odiarla nell’altro.
    Il vero problema della difficoltà che abbiamo con lo straniero è perché
    non riconosciamo lo straniero che è in noi, che è la parte più
    anticonformista, quella più slegata dal comunitarismo, è quella
    più ribelle che scalpita e di cui abbiamo una terribile paura perché
    la parte predominante in noi è conformista e vuole stare tranquilla.”

  8. Andrea Luchetta ha detto:

    Hvala liepa per l’incipit…

    Di per sé, detto che sulla sicurezza andrei comunque coi piedi di piombo, sono pienamente favorevole ad una maggiore partecipazione delle comunità locali alla gestione del territorio.

    Il problema è quanto c’è d’ implicito in questa celebrazione della comunità-panacea.
    Mi sembra che la definizione leghista dell’identità sia un processo escludente, oppositivo, fondato prevalentemente sulla negazione e sul rifiuto. E’soprattutto un processo escludente, oppositivo, Non ci vedo molto spazio per la sintesi, almeno a giudicare dalle boutades dei suoi caudillos.

    In questa misura trovo che la delega alla comunità sia un qualcosa di reazionario, non per altri motivi. E’il contesto in cui viene realizzata, il disegno a cui è funzionale, il messaggio che sottintende. Cittadini, armatevi e partite: solo voi potete difendervi dal mostro, che ovviamente, anche se non lo si può dire apertamente, è un qualcosa di diverso da voi. La Comunità è il Bene, il resto il Male.

  9. enrico maria milic ha detto:

    andrea

    ok, sono d’accordo: il contesto è criticabile.

    bulow

    dimentichi che anche in italia ci sono tanti esempi di comunità locali che costruiscono dinamiche che, immagino, apprezzi… dai sindacati che si appellano alla tradizione sindacale italiana, ai ricreatori orgoglio di questa città, alle sagre di paese

    il problema, come dice andrea (mi pare), è come la proposta politica e identitaria si coniuga alla gestione (o, se si vuole, manipolazione) del contesto.

    tutto qua…
    un’altra gestione (manipolazione) del contesto è possibile
    : )

  10. bulow ha detto:

    “i sindacati che si appellano alla tradizione sindacale italiana”

    caro enrico, hai messo il dito nella piaga. qualche mese fa la fiom del veneto se n’e’ uscita con la proposta di privilegiare, nelle assunzioni, i veneti sugli extracomunitari. c’e’ la crisi, capisco, ma se anche la mitica fiom cade in questo circolo vizioso, me sa che semo cagài.

    per il resto, apprezzo molto alcune realta’ comunitarie di base, come i gruppi di acquisto, i ricreatori, i collettivi di genitori che gestiscono i giardinetti, e mille altri esempi.

  11. Andrea Luchetta ha detto:

    Speremo…

  12. enrico maria milic ha detto:

    bulow
    ho la sensazione che tu riporti come eclatanti solo gli esempi che ti paiono negativi…
    : )

  13. bulow ha detto:

    enrico

    che vuoi, ho un’ indole pessimista…

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