20 Maggio 2009

La cultura della meritocrazia all’Università in Italia e a Trieste: i miei due centesimi

Un’organizzazione politica locale mi ha chiesto un parere sulla mancanza di meritocrazia all’Università. Lo condivido qua su Bora.La, a porte aperte, perchè mi pare una maniera efficiente per sostenere e stimolare un dibattito.

Sono già stati spesi fiumi di lettere sull’organizzazione del lavoro e sulla produttività dell’Università in Italia, sia sui giornali per l’uomo comune che in pubblicazioni più specialistiche. Si parla di abusi di potere e corruzione, favoritismi e nepotismi, mancanza di ricambio sociale e lobby casta-style (Luca 2009, Carlucci e Castaldo 2009, Perotti 2008 e Simone 1993). L’Università in Italia offre lavoro ai professori universitari più vecchi d’Europa, solo quattro docenti universitari su cento possono vantare meno di 34 anni e, visto l’andazzo, è lecito pensare che a tantissime menti brillanti converrà ancora la fuga, piuttosto che l’infinita sala d’attesa (Intravaia 2008, Giavazzi 2008 e cf. Stella 2007). L’output degli atenei, «misurato nel modo più elementare, ossia come percentuale di giovani che conseguono la laurea, è poco più della metà della media Ocse» (Ricolfi 2008): una miseria. E, senza tanti dati alla mano, posso ricordarmi del mio anno da universitario a Belfast dove la ricerca da cui mi abbeveravo era prodotta in vasta parte del globo, ma quasi mai proveniva dalle università in Italia (cf. Bartolini 2007 e i suoi rilievi su assenza di pubblicazioni peer-reviewed e pubblicazioni monografiche in inglese da parte dei ricercatori in Italia).

Non abbiamo tanti dati approfonditi sull’Università di Trieste ma, quei pochi (articolo 1, articolo 2, articolo 3, articolo 4, articolo 5), segnalano tendenze molto simili al resto delle università in Italia. A naso non mi aspetto  sorpresone in positivo dalla Sissa.

Secondo qualcuno, i tagli al budget delle Università prospettati in autunno da Tremonti sarebbero poca cosa: di tagli, l’Università in Italia «ne meriterebbe di ancora più profondi» (Ricolfi 2008).

Possiamo farci prendere dallo sconforto e dalla rabbia. E’ quello che faccio io, per esempio.

Se volete seguire il mio esempio, però, dovrete anche sfogare il vostro estro in personalità plurime: e tentare di essere ottimisti, propositivi e pragmatici. Qual è il problema di fondo dell’Università in Italia e a Trieste? Come affrontarlo?

Siamo tanto assuefatti a questo andazzo che non ci sono solo dei limpidi prof di Messina, colti in fragrante ad assegnare il posto al figlio, capaci di dire che «I figli dei docenti sono più bravi perché hanno tutta una “forma mentis” che si crea in famiglia». Le più prestigiose firme della sinistra triestina post-asburgica difendono le stesse posizioni di quel prof. Sembra insomma che, per noi, i meccanismi di questo spensierato mondo che si autoriproduce siano tutti ok. Solo ogni tanto ci mettiamo a guardare l’Università con gli occhi sognanti delle mistiche meritocratico-produttivistiche anglosassoni. Ma sono solo le visioni dei nostri sogni.

Se l’andazzo descritto qua sopra si snoda così solidamente nella prassi quotidiana degli staff delle nostre università, andrei a interrogare e aggredire i tratti culturali più evidentemente legati alla bacata riproduzione del potere universitario. Mi preoccuperei di stigmatizzare e soprattutto di imporre una svolta, nei fatti, a queste pratiche.

Non ho il tempo per approfondire delle proposte strutturate e inattaccabili. Offro solo un affresco che vorrebbe che la stantia cultura accademica d’Italia s’incroci con quanto si pensa e si fa altrove, in ambienti universitari più orientati ad essere utili per la società. Spero che i seguenti suggerimenti possano essere uno spunto perchè la politica e la società civile articolino un approccio sempre più pragmatico:

regola uno: non aspettarsi che l’Università d’Italia e di Trieste si riformino da sole. Non c’è un motivo per cui dovrebbero farlo.

regola due: società civile, partiti e enti pubblici finanzino e sostengano solo strutture universitarie che possono comprovare meccanismi orientati alla meritocrazia e all’internazionalizzazione. Va presa una distanza, invece, dagli accademici e dalle strutture accademiche che riproducono bellamente le dinamiche attuali (come sarà mai possibile sostenere o tacere su Luigi Berlinguer, nelle liste Pd di queste europee?)

decreto attuativo uno: i soldi che Regione Friuli Venezia Giulia, Fondazione CrTrieste, Comune di Trieste e Provincia danno in varia forma all’Università vanno erogati secondo dei criteri predisposti da tecnici in grado di valutare con occhi nuovi l’Università che dovrebbe venir finanziata. Questi cittadini devono essere, secondo me, quelli che hanno rapporti di lavoro con università straniere e pubblicazioni su riviste accademiche peer-reviewed internazionali. In genere, dobbiamo dare dare soldi pubblici del territorio soprattutto a strutture accademiche dove la didattica è utile alla società del territorio (= alto numero di laureati che trovano lavoro) e dove la ricerca ha un valore a livello internazionale, su riviste peer reviewed.

decreto attuativo due: le borse di studio erogate dalla Regione Friuli Venezia Giulia (tramite gli Erdisu, per esempio) o da altri enti pubblici, vanno erogati anche sulla base della capacità di inserire i laureati sul mercato del lavoro. In altre parole: se un corso di laurea ha una forte percentuale di laureati che in tempi brevi trovano un lavoro, allora gli iscritti a quel corso di laurea devono poter accedere a più borse di studio. Ancora, spingiamo sull’internazionalizzazione: ci devono essere più borse di studio per quei corsi di laurea che permettono agli studenti di fare esperienze internazionali e di praticare l’inglese e le lingue della nostra area (sloveno, serbo-croato, tedesco).

decreto attuativo tre: le borse di dottorato non devono essere erogate, come oggi, soprattutto sulla base di alcune ore di esame di accesso al dottorato (una pratica grottesca, per cui si valuta il potenziale di una persona in una mattinata); ma sulla base di una selezione per voti nei titoli conseguiti, per pubblicazioni su riviste peer reviewed, per pertinenza del percorso di studi precedente, per lettere di referenze e, soprattutto, per il progetto di ricerca. Insomma, diamo esplicitamente più soldi a progetti di ricerca che si inseriscono nei macro-filoni di analisi già esplorati dallo staff accademico, sui quali lo stesso staff accademico si prende tutte le responsabilità in termini di qualità della ricerca e utilità della ricerca per la società.

decreto attuativo quattro: gli enti pubblici, ove possibile, finanziano il “rimpatrio di cervelli” da università straniere per progetti di ricerca di chiara utilità sociale (alcuni esempi? Potremmo finanziare la ricerca applicata sulle fonti energetiche rinnovabili o sullo smaltimento dei rifiuti; sui mercati per il nostro Porto; sull’integrazione sociale, linguistica e culturale nella nostra area). In genere, l’idea è che gli accademici stranieri che tornano in Italia vadano ad alimentare delle pratiche e una cultura accademica più utili alla società.

decreto attuativo cinque: stop ai soldi pubblici alle strutture accademiche in cui hanno luogo carriere accademiche socialmente disutili: anche a Trieste abbiamo degli esempi, per esempio ad Architettura dove c’è un economista a capo di architetti (Borruso) o a Lettere e Filosofia dove ci sono ben tre componenti di una stessa famiglia (i Prenz).

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10 commenti a La cultura della meritocrazia all’Università in Italia e a Trieste: i miei due centesimi

  1. Aureo Muzzi ha detto:

    Intanto mi congratulo con quella organizzazione politica locale che chiede qualcosa a qualcuno che prova a pensare di suo. Provando a rispondere alla sollecitazione ricevuta, mi piacerebbe leggere anche un’analisi delle ragioni storiche dello scarso successo del merito nelle Università italiane, anche non dovrebbe essere limitata a queste. Il mitico privato, infatti, presenta larghi tratti di accomodamento che ci tengono ai margini dello sviluppo economico rispetto a tanti altri Paesi.
    Tanti hanno fatto proposte, anche Gigi Berlinguer, con scarso successo, per quel che ricordo, tanto da essere una dimostrazione vivente di come l’insuccesso ti può aprire una prestigiosa posizione di apripista alle elezioni europee, come ricompensa dell’impegno profuso. Quanto scritto da Enrico è un’ottima base di partenza, ma non spiega fino in fondo perché le sue proposte non finiranno (r)aggirate come le precedenti. Perché? Penso che tutte le proposte saranno di scarso impatto se non si modificheranno i criteri dell’accesso alle leve di comando vero e proprio, cioè quelle politiche. Chiederei pertanto a quella forza politica commissionante questa ricerca su che basi costruisce il suo orizzonte programmatico e culturale. Poi ne possiamo parlare.
    Io proporrei solamente un sistema di governo universitario più equilibrato tra il potere interno dei docenti, talora autoreferenziale, e un coordinamento esterno, autonomo, collegato col territorio o con i grandi circuiti di ricerca, anche internazionali.

  2. giovanni damiani ha detto:

    Possiamo farci prendere dallo sconforto e dalla rabbia. E’ quello che faccio io, per esempio.

    penso che sia una delle frasi migliori che ho mai sentito sull’università italiana e la farò mia, se mi dai accesso al copyright, in ogni occasione…

    caro Enrico, è una bella sfida il post che fai, l’articolo è denso e tignoso. io come sai insegno a contratto sia a trieste che in una università americana (kent state, cleveland ohio) e devo dire che l’abisso c’è tutto, nelle pratiche, nel funzionamento, nella semplicità, nei mezzi (che sono conseguenza del funzionamento alla fine secondo me, prima ancora che di finanziamenti).
    ma i risultati comparati dei ragazzi non sono così diversi, le intelligenze e la preparazione finale neppure, solo la voglia e la grinta è sempre più distante (e nell’esempio che faccio io, parliamo del mid west, non di ivy league dove la gente si ammazza di lavoro ed è li per spaccare il mondo). Quindi non tutto è veramente così male, alcuni ingranaggi sono di qualità, solo che il motore che fa girar le ruote non funziona (e ti par poco mi dirai tu…) per me il cuore del problema è che tutto è centrato su un target altro. La priorità è la conservazione della specie, una cosa anche umana (non voglio perdermi in moralismi) che ha pure una sua logica ma che, oltre a non dirmi molto, temo sia arrivata al capolino vedendo le faccie oramai rassegnate al nulla degli studenti e di chi oggi lavora in università.
    Il tutto oggi non è pensato quasi minimamente sulla produzione di qualcosa (sapere, laureati, ricerca, innovazione, applicativi, per me a sto punto vanno bene tutte le scelte che si possono fare a valle).

    Come si sostituisce il motore senza buttare a mare tutto e distruggere quel grande patrimonio di saperi che ci sono?
    Non certo con riforme alla Berlinguer (che non voterò, benché voterò il PD che spero davvero diventi un giovane migliore del neonato che è ora e che secondo me va aiutato più che affogato, tanto per risponderti anche su questo), ma secondo me con due mosse su cui posso trovare con te sintonie:

    a- logiche di premialità alla competizione e all’apertura a mondi altri (che poi si spera che siano capaci di pretendere maggior competitività e a quel punto selezionare i migliori e non i cugini dovrebbe venir più utile)

    b- possibilità di far nascere altri competitor nel settore della formazione avanzata. Lo so che questo spesso fa scandalo a sinistra come so che ad oggi le pochissime università private sono spesso delle carozzette di superlusso (a parte le poche storiche importantissime istituzioni molto note e di oggettivo prestigio) cui cui drenare altri fondi, ma io credo nella competizione, credo nel confronto, credo che se uno studente potesse davvero scegliere farebbe davvero muovere il molosso, come credo che l’unico modo per avere in tempi rapidi dei luoghi di ricerca davvero diversi e competitivi sia farli ex novo.

  3. bulow ha detto:

    alcune osservazioni veloci:

    1) “non aspettarsi che l’Università d’Italia e di Trieste si riformino da sole.” giusto. pero’ chi puo’ riformarle? la politica? pezo el tacon del buso…

    2) questione dottorati: per me i problemi sono essenzialmente due. primo problema: molti baroni usano i dottorandi come schiavetti. secondo problema: c’e’ troppo poca selezione in uscita. le due cose si tengono. mi spiego meglio. in italia si da’ per scontato che una volta vinta la borsa, si otterra’ automaticamente il titolo, come “pagamento” per i servizi svolti. non dovrebbe essere cosi’. chi fa un dottorato dovrebbe dedicare gran parte del tempo alla ricerca, e solo una piccola parte del tempo, eventualmente, alla didattica accessoria. e contemporaneamente dovrebbe mettere in conto la possibilita’ di non farcela. una sana autocritica la dovrebbero fare anche gli studenti che accettano di fare i servetti perche’ lo ritengono una scorciatoia per ottenere il titolo. mi viene in mente un vecchio slogan degli anarchici: senza servi niente padroni…

    3) rientro dei cervelli. ci hanno gia’ provato e non ha funzionato. non so nemmeno se sia tanto interessante come obiettivo. sarebbe piu’ interessante attirare cervelli da fuori. quando lavoravo in germania, nel mio gruppo di ricerca eravamo: un italiano, un cinese, un austriaco, un tedesco, uno slovacco, un marocchino e un polacco.

    4) competizione pubblico-privato. in italia non funziona. a parte alcune universita’ storiche, le universita’ private sono una chiavica indescrivibile. in germania e in francia le universita’ sono pubbliche e funzionano molto bene. ricordiamoci poi che in italia privato significa parmalat, impregilo, edilnord, fininvest…

    5) il problema maggiore e’ quello del reclutamento. visto l’ andazzo di questo paese, credo che qualunque metodo di selezione venga adottato, sia destinato a degenerare presto nella corrispondente variante mafiosa.

    6) la teoria darwiniana insegna che non e’ la carenza di risorse a favorire l’ evoluzione, bensi’ l’ abbondanza. infatti nei deserti l’ evoluzione si e’ fermata ai rettili, mentre nella foresta pluviale si e’ sviluppata una fantastica biodiversita’. questo per dire che mi sembra piuttosto bislacca l’ idea di alcuni editorialisti del corriere, secondo i quali per sbloccare la situazione la cosa migliore sarebbero i tagli.

    per concludere: sono molto pessimista, e penso che i mali dell’ universita’ non possano essere affrontati separatamente dagli altri mali che affliggono il paese, primo fra tutti la mancanza di un’ etica pubblica.

    p.s. non voterei luigi berlinguer nemmeno sotto tortura. se a qualcuno interessa, votero’ lisa clark di sl.

  4. enrico maria milic ha detto:

    per ora, solo per ora, aggiungo che bulow lavora come ricercatore (correggimi se sbaglio) in una facoltà scientifica, dell’uni di trieste…

    p.s.

    per le frasi che meglio rappresentano l’università nostrana è in competizione anche:

    “non aspettarsi che l’Università d’Italia e di Trieste si riformino da sole.” giusto. pero’ chi puo’ riformarle? la politica? pezo el tacon del buso…

  5. montagna ha detto:

    Ho appena “scoperto” il vostro sito e lo trovo molto interessante. Lavoro da molti anni all’ Universita’ di Trieste e tra un po’ cerchero’ di partecare attivamente alle vostre discussioni. Credo sia vitale confrontarsi e discutere

  6. enrico maria milic ha detto:

    SUL PRIVATO

    vero che anche al privato “no ghe vanza”. però il privato ha una ‘bottom line’: o ci sono i soldi per pagare le persone che lavorano, oppure l’azienda chiude. non mi risulta che l’università pubblica abbia la necessità di fare utili. e va bene così: è giusto che l’università pubblica non stia nel mercato, o almeno non del tutto.

    SUL RAGGIRO DELLE MIE PROPOSTE (@ aureo)

    beh, mi sa che qua ha scritto bulow è la migliore analisi: chi riformerà l’università? la politica? quella che viene spesso descritta come un’altra lobby auto-referenziale?
    xè pupoli.

    L’UNIVERSITA’ NON FUNZIONA? SERVE LA TUA ESPERIENZA RACCONTATA PUBBLICAMENTE…

    forse un primo modo per scardinare il sistema è quello di segnalare esperienze pratiche, con nomi e cognomi, di quanto non funziona all’università di trieste.
    so che è una richiesta fantascientifica: l’omertà è alla base della riproduzione del potere di questo sistema.
    ma se non si segnalano ‘cose che non vanno’, allora il discorso pubblico riprodurrà sè stesso avanti e all’infinito.

  7. enrico maria milic ha detto:

    specifico il senso di quanto ho scritto, in merito alle borse di studio dall’erdisu, un ente che esiste grazie a fondi regionali, che mi risulti:

    quanto propongo ha l’obbiettivo di permettere all’erdisu di incidere sull’organizzazione e sulla produttività degli studi.

    propongo di dare più borse di studio dall’erdisu agli studenti che frequentano corsi in regione che sono più utili per la società regionale.
    per fare un esempio, se l’uni di udine è più utile, allora che i suoi studenti si becchino più soldi. questo dovrebbe poter portare competizione tra gli atenei: i corsi con pochi studenti, ovviamente, dovrebbero chiudere.

  8. brancovig ha detto:

    Interessante il sito, sinceri complimenti. Purtroppo ho poco tempo a disposizione per parteciparvi come dovrebbe. Appena ho disposzione del tempo una sbirciata arriva

    Entro brevemente nella discussione seguendo la logica dei punti anche se una più lunga premessa sarebbe necessaria, vista l’importanza dell’argomento. Non è poi l’Università l’istituzione più importante per il progresso di una nazione ed anche per la sua equità sociale: la possibilità di emancipazione di classe per un giovane.

    regola 1) Sono d’accordo che non si riforma dall ‘interno se non messa con le spalle al muro ma chi può farlo? La scarsità di risorse? non lo so è una questione difficile

    Regola 2) Purtroppo l’Università come la politica, come la sanità, come le aziende, come le amministrazioni, come ecc. ecc. rispecchia nel bene e nel male la società italiana. Scarso senso civico, ma con eccezioni, come tra i docenti ed il personale amministrativo dei nostri Atenei. Forse la media si sposta un po’ di più verso l’alto per un fatto culturale ma resta una gaussiana.

    “decreto attuativo uno: i soldi che Regione Friuli Venezia Giulia, Fondazione CrTrieste, Comune di Trieste e Provincia danno in varia forma all’Università vanno erogati secondo dei criteri predisposti da tecnici in grado di valutare con occhi nuovi l’Università che dovrebbe venir finanziata.”

    Non dovrebbero essere cittadini della regione FVG per evitare conflitti d’interesse

    “ Questi cittadini devono essere, secondo me, quelli che hanno rapporti di lavoro con università straniere e pubblicazioni su riviste accademiche peer-reviewed internazionali. “

    Quindi accademici. Difficile risolvere il problema

    “In genere, dobbiamo dare dare soldi pubblici del territorio soprattutto a strutture accademiche dove la didattica è utile alla società del territorio (= alto numero di laureati che trovano lavoro) e dove la ricerca ha un valore a livello internazionale, su riviste peer reviewed.”

    Le due situazioni potrebbero essere in contraddizione. Potremmo immaginare un nicchia di livello elevato per la ricerca ma che ha scarse connessioni con il territorio. Dall’altra estremo una certa attività didattica che forse è esagerato definire universitaria (vedi la formazione degli infermieri) ha piena ricaduta occupazionale (fino a qunado reggerà il sistema sanitario pubblico).
    Il rischio è che l’universtà segua lo sviluppo invece che generare sviluppo e nel momento in cui il territorio perde la sua propulsione (esempio distretto della sedia) l’Università si affloscia.

    “decreto attuativo due: le borse di studio erogate dalla Regione Friuli Venezia Giulia (tramite gli Erdisu, per esempio)”
    Qui potrei essere d’accordo, da considerare anche la loro unificazione. E’ necessario averne due in regione? Ma qui entra nuovamente in gioco la politica, vogliamo eliminare qualche poltrona e qualche stipendio al sottobosco della politica? Andate a vedere la sede della regione ad Udine e confrontatela con le nostre Scuole e le nostre Università

    “decreto attuativo tre: le borse di dottorato non devono essere erogate, come oggi, soprattutto sulla base di alcune ore di esame di accesso al dottorato (una pratica grottesca, per cui si valuta il potenziale di una persona in una mattinata)”

    Sono pienamente d’accordo se le borse di dottorato sono poche bisogna scegliere con molta attenzione gli studenti migliori e questo puo esser fatto solo conivendo con essi per un periodo relativamente lungo … la tesi. Questo però pregiudica la mobilità,. Se l’Italia fosse un paese normale dovrebbero bastare le lettere di “raccomadazione” anglosassoni.

    Altra considerazione da fare nei dottorandi scientifici (quelli poi più startegicic per lo sviluppo del paese) scarseggiano candidati motivati. La ricerca scientifica ad alto livello è un impegno duro quotidiano continuo e totalizzante. Scarsi week-end liberi e in testa sempre quello.

    Terza considerazione il titolo di dottore di ricerca non deve arrivare in automatico (come è in realta ora mai nessuno che sia bocciato). Il paradosso è che più la formazione aumenta di qualità meno si vede una selezione

    Rientro dei cervelli

    E’ un progetto perso in partenza, o meglio chiamiamolo in altro modo. Un mio amico mi proponeva di chiamarlo rientro dei cervelletti. Questo perchè un vero top scientist avrà sempre una migliore offerta fuori dall’Italia (vista la situazione fondi ecc nel nostro paese) se è veramente un “cervello”. Invece bisognerebbe impedire che un ricercatore venga assunto attraverso un concorso nella stessa Università dove si è laureato e che faccia tutta la sua carriera nella stessa Università. Vedere ambienti diversi fa sempre bene alla crescita. Un altra provocazione che faccio è di rendere obbligatorio per l’assunzione in una Università o per la progressione nell’Accademia, oltre ai un periodo di non meno di un anno di lavoro all’estero testimoniato anche da pubblicazione scientifica.

    “- decreto attuativo cinque: stop ai soldi pubblici alle strutture accademiche in cui hanno luogo carriere accademiche socialmente disutili”

    Sono d’accordo e dieri che molte di queste scelte il governo potrebbe già farle in modo chirugico e non sparado alzo zero su tutti. I vari ministri che si sono succeduti (gli ultimi 3) avevano/hanno a disposizione tutte le informazioni richieste per fare scelte meritocratiche sulle varie Università italiane. E’ ben noto che per moltissimi parametri ministeriali l’Università di Messima è una delle peggiori d’Italia. Ma credete ipotizzabile una sua chiusura. Chi sarebbero i primi oppositori se non i soliti politici locali….e ci sono casi a noi molto più vicini

    Purtoppo l’Italia,per varie ragioni lunghe da elencare, non è un paese per meritocratici.

  9. Marisa ha detto:

    ERDISU – queste istituto dovrebbe essere abolito. I relativi finanziamenti siano dati alle Università che poi pensano in via diretta ad erogare i servizi agli studenti. Perchè sprecare soldi per mantenere il consiglio d’amministrazione quando le università possono svolgere direttamente il servizio a favore dei loro studenti? Questa è anche la proposta di Fontanini, Presidente della provincia di Udine e Segretario regionale della Lega Nord.

    Fondamentale poi che il servizio non venga unificato a livello regionale perchè la tipologia degli studenti iscritti a Udine è diversa dalla tipologia degli studenti iscritti a Trieste. A Udine una percentuale altissima degli studenti è pendolare, con tutti i problemi che ciò comporta. A Trieste la maggioranza non è pendolare ma vive a Trieste. Questo significa esigenze diverse che ogni università deve gestire separatamente.

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