6 Aprile 2009

Dialoghi tra opposti e fine della storia

Tanto tuonò che piovve. Pochi giorni dopo che a Gorizia Rodolfo Ziberna, presidente provinciale dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia ed esponente di spicco della locale Lega Nazionale, aveva accettato l’invito del Goriški Lok di partecipare ad un incontro pubblico colla minoranza slovena nella biblioteca Damir Feigl del capoluogo isontino molti si erano chiesti quando – o se mai – i tempi sarebbero stati maturi anche a Trieste per un confronto analogo. Tra la sorpresa generale la risposta è risultata essere domani stesso.  Martedì 7 aprile alle 18.00 è previsto infatti nella sala Vulcania della Stazione marittima un dibattito tra Lucio Toth, presidente nazionale dell’ANVGD ed ex-deputato, e Miloš Budin, ex-senatore e sottosegretario al Commercio estero. Promotori dell’evento sono la sezione locale dell’ANVGD ed il Slovenski klub, patrocinatori invece i due quotidiani locali, il Piccolo ed il Primorski dnevnik, i cui rispettivi direttori faranno da moderatori. A rendere degno di nota l’evento non solo il fatto inusitato a Trieste di esuli e minoranza attorno allo stesso tavolo, ma anche l’essere la prima iniziativa comune dei due quotidiani in più di mezzo secolo di coesistenza.

Personalmente spero di farcela ad assistere perché c’è una questione che vorrei porre all’on. Toth: l’ha firmata o no? La Relazione conclusiva della Commissione storico-culturale italo-slovena, intendo. L’enigma risale al marzo 2007, quando incautamente il sottoscritto aveva maliziosamente constatato sulla storica mailing list ‘gente de confin’ che il Toth potrebbe essere un negazionista, visto che aveva fatto parte di quella commissione e aveva apposto la sua firma su una relazione che sostanzialmente ricalca quanto si era sentito dalle bocche dei critici della foibologia ufficiale. Il documento riporta infatti il nome del nostro tra i componenti e specifica che la relazione era stata approvata all’unanimità. Non l’avessi mai fatto: l’intera faccenda, nata come facezia, finì per assumere toni da commedia quando un iscritto alla lista, un esule fiumano residente a Montevideo, penso di girare il tutto alla mailing list Histria chiedendo delucidazioni e si trovò, lo sventurato, attaccato verbalmente dal segretario nazionale dell’ANVGD, secondo cui “a questa Sede nazionale non risulta la firma di Toth sul documento della commissione italo-slovena” ed accusato infine di essere un infiltrato di … Lacota! Non che non possa vivere senza la risposta, ma curioso lo sarei – così come sono curioso del modo in cui il Piccolo riferirà sul tutto. Riguardo all’analogo confronto goriziano il misero trafiletto di cronaca concesso risultava alquanto parziale se confrontato colle testimonianze dei presenti.

Argomento correlato, sempre sul Piccolo ieri a pagina 23, il ritorno alla ribalta di un altro infaticabile produttore di parole: l’inesorabile Spadaro prof. Stelio con un invito a smettere di occuparsi di storia, nientemeno. Il motivo? Sarebbe già stato detto tutto! Secondo Spadaro, testualmente, “questo percorso oggi si può dire in gran parte compiuto”, “le responsabilità dell’Italia fascista … risultano patrimonio acquisito della storiografia nazionale” e via dicendo fino ad affermare che “a questo, ad una memoria integrale dei fatti accaduti al confine orientale è servito e deve continuare a servire il Giorno del ricordo”, interpretazione a dir poco opinabile di quel che si è visto “ricordare” finora.

Questo intervento è talmente pieno di falle che si fa fatica a decidere da dove iniziare. Nel respingere l’interpretazione di un torto ne ha provocato un altro l’autore non arriva alla ragionevole conclusione che due torti non fanno una ragione come noi comuni mortali ma si limita a cancellare il divario temporale tra i due trasformando il tutto in una contrapposizione di torti uguali che si annullano a vicenda. L’idea che un percorso di riconciliazione sia stato iniziato, percorso e concluso è pure un punto fisso delle esternazioni spadariane, anche perché gli consentono di insistere nelle sue insistenti pressioni per una cerimonia finale di cui sembra essersi invaghito, senza che tale punto sia condiviso dalle controparti (sloveni e croati). Il suo prendere in esame l’intero periodo fascista sarà si un progresso in confronto a quanti limitano la Storia degna di essere ricordata al periodo settembre ’43- giugno ’45, ma continua a lasciare in un indistinto oblio periodi limitrofi in cui la ‘storiografia nazionale’ risulta del tutto latitante (non solo negli anni dell’Italia liberal-nazionale coi primi esodi di popolazioni ed episodi come il tirassegno sui bambini di Strugnano, ma anche e sopratutto nel secondo dopoguerra contrassegnato dalla stagione dei  grandi espropri nella tradizione della bonifica nazionale prebellica, dalle liste di enucleandi di gladiana memoria, dalle persecuzioni di sacerdoti sloveni in provincia di Udine fino al mai chiarito caso della bomba alla scuola materna di San Giovanni). Sarà un caso, ma sembra di avvertire una certa fretta di chiudere il coperchio sulle questioni del confine orientale proprio quando giovani storici stanno cominciando a rosicchiare il velo di unilateralità e conformismo che ha contraddistinto la storiografia giuliana, quando diventano finalmente accessibili agli storici gli archivi dei servizi segreti alleati e quando evidenti forzature ideologiche del “ricordo” spingono molti a rivedere quanto finora era stato dato per scontato.

Resta l’interrogativo: perché questo intervento ora? Solo un caso che capiti nello stesso giorno in cui l’operazione Toth-Budin viene presentata al pubblico italiano?
A dichiarare la storia terminata ci aveva già provato Fukuyama nel ’92, e si sa com’è finita. Assurdo aspettarsi che quanti a Trieste o altrove campano occupandosi di storia dichiarino il proprio campo esaurito e vadano a cercare lavoro in fabbrica. Cos’è che preoccupa Spadaro? Che qualcuno traduca in italiano le ultime documentatissime opere di Pirjevec? Che come segno di riconciliazione qualcuno a Roma decida che è finalmente ora di aprire gli archivi dell’Ufficio Zone di confine del Ministero degli Interni (improbabile, per sapere quelle verità bisognerà aspettare altri cinquant’anni)? O è semplicemente un modo trasversale per ricordare a Budin a chi deve la sua carriera e che non deve uscire dal seminato dell’attuale verità di partito?
Su un altro piano, bello sarebbe se quanto acquisito dalla “storiografia nazionale”, per parziale che sia, fosse patrimonio comune di quanti parlano di storia e/o Storia, politici e cronisti in primo luogo in quanto formatori della pubblica opinione (e se i signori storici dicessero nei propri articoli destinati al largo pubblico le stesse cose che dicono nelle opere soggette a peer review, ma questo è chiedere troppo – rischierebbero il posto). Lo stato delle cose nel mondo reale è invece esemplificato da una stomachevole lettera pubblicata dal Piccolo giovedì 26 marzo (pag. 26) a firma di Luigi Papo – personaggio che senza ombra di dubbio ben si è piazzato al centro stesso della “storiografia nazionale”- in risposta ad una precedente lettera di Fabio Mosca. Cito testualmente (il grassetto è mio): “L’imprecisione sarebbe il mio stile? Non di questa opinione erano i professori Gioacchino Volpe e Renzo De Felice, dei quali mi vanto d’essere stato collaboratore. Ma come preoccuparsi di quanto va scrivendo Mosca, tirando fuori il Velebit e gli ebrei perseguitati, ma dimenticando, a esempio, il campo di Arbe dove trovarono rifugio centinaia di perseguitati, posti sotto la protezione medica dell’ospedale militare dell’Armata…”.

Spontaneo il desiderio di lavarmi le mani dopo aver ricopiato queste oscenità. Per chi si fosse perso la storia del campo di Arbe un link al risultato (premeditato) di tale protezione medica, tratto da quel documentario della BBC che non ho capito ancora se fa parte o no della “storiografia nazionale” (per corretezza anche un link alla pagina contenente la foto).  A quanto mi risulta la lettera in questione non pare aver suscitato alcuna reazione. Come non ne aveva suscitata due anni fa sulle pagine del Gazzettino questa uscita di Arrigo Petacco, presentato come ‘uno dei più attenti conoscitori del periodo bellico e post bellico italiano ‘: “Ormai sono tutti convinti per esempio che la risiera di San Sabba a Trieste sia stato un campo di sterminio. La risiera era un carcere da dove gli ebrei venivano poi mandati nei campi di sterminio. Nella risiera c’era solo un forno per abbrustolire il riso. ”  Come dire, qualche migliaio di morti sì, ma sloveni e croati in maggioranza non fanno un campo di sterminio – non contano.

Alla faccia del percorso compiuto.

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5 commenti a Dialoghi tra opposti e fine della storia

  1. cagoia ha detto:

    Parteciperanno all’incontro anche Nazario Rambo per conto degli esuli e Zdenko Terminatorovic invitato dalla minoranza.

  2. asem ha detto:

    La componente slovena del PD sta cercando in tutti i modi avere “visibiità” perche dopo anni in cui ha vissuto di “rendita” ora (dopo varie battoste) deve pur fare qualcosa…..

  3. effebi ha detto:

    mi sembra che entrambi i relatori abbiano spegato come i risultati della comissione italoslovena non siano dogma, come siano nato non in collaborazione ma in sovrapposizione e come non possano essere ritenuti verità di stato anhc per il peridodo in cui le comissini hanno lavorato (molti deegli archivi di belgrado e della ex jugoslavia erano e sono ancora chiusi).
    ambedue hanno auspicato che un gruppo di storici continui ad occuparsi e che l’atività di ricerca sia del tipo “in movimento”
    quanto poi alle solite supposizioni che sia l’italia ad avere interesse a non divulgare i risultati di quella commissione entrambi hanno rilevato che neppure la slovenia ha in ogni caso pubblicato ufficialmente nulla di quel lavoro.

  4. Effebi scrive: “come siano nato non in collaborazione ma in sovrapposizione”;

    hanno detto proprio così?

  5. effebi ha detto:

    ou ! così è il testo da cui ho fatto il c&c….
    se il fedrerico mi sta a cercare il pelo nel pagliaio ortografico stiamo mal messi.

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