21 Agosto 2008

Integrazione in Austria: intervista a Maria Fekter

C’era chi pensava che l’immigrazione in campagna elettorale fosse riservata a BZOE (regolarla) ed all’ FPOE (abolirla), ma ora sui manifesti dell’ OEVP appaiono temi e proposte concrete soprattutto per migliorare l’integrazione. Ne parla su Die Presse Maria Fekter, ministro degli interni, OEVP. Link: http://diepresse.com/home/politik/innenpolitik/407725/index.do?_vl_backlink=/home/index.do
Il primo problema che affronta è l’apprendimento della lingua prima di arrivare in Austria. Non lo dice, ma la questione sorge dalla consuetudine di immigrati da paesi islamici di “importare” ragazzine vergini (13-16 anni) dalla madrepatria per farle sposare con il figlio di qualche amico o parente. Queste ragazze arrivano, mettono al mondo i figli, vivono in una comunità chiusa ed o loro figli vanno male a scuola, innescando un circolo chiuso.
“Se qualcuno ha interesse a venire in Austria e riesce a fare tutte le carte necessarie, troverà sicuramente anche il modo di imparare tedesco al suo paese”, conclude Fekter.

Altro tema: l’infibulazione ed il delitto d’ onore, che dovrebbero essere considerati reati a sè stanti, come pure il matrimonio tra consanguinei ed il matrimonio obbligato. Il giornalista chiede se non sia inutile creare leggi apposite, quando tutte queste cose sono già proibite e si chiamano “lesioni”, “omicidio”, “incesto” e “violenza privata”. Fekter ha qui un punto di vista interessante: “Chi commette tali reati non ha la percezione di fare qualcosa di proibito. Se si cominciano a vedere persone espressamente condannate per queste azioni, allora si capirà che sono illegali e non lo si farà più”
Il giornalista incalza e chiede come vuole accertare se un matrimonio sia frutto di libera scelta o di obbligo. Risposta: “Metta il caso che a Vienna una 13enne di origine islamica venga ritirata dalla scuola perchè si deve sposare, non Le sembra che sarebbe un indizio sufficiente per indagini approfondite?”

Die Presse vuole sapere cosa Fekter pensi a lunga scadenza dell’immigrazione. Un quadro molto semplice: “Ora bisogna integrare chi è già qui ed ha problemi. Per questo non è desiderabile che vengano nuovi immigrati”. Il giornalista le ricorda certe posizioni della Confindustria austriaca, che pervedono che tra 10 anni non ci sarà più manodopera in Austria.
“Tra dieci anni vedremo, per ora la manodopera c’è. Capisco che l’industria ha certi interessi, ma non è detto che siano quelli di tutti”.

A me sembra un’intervista coraggiosa e pragmatica, che, almeno ai miei occhi evidenzia la superiorità del modello austriaco di integrazione su quello tedesco o italiano. In Austria se ne può liberamente parlare, si possono regolare certe questioni per legge (apprendimento della lingua con corsi obbligatori), che in Italia farebbero rivoltare i centri sociali ed in Germania porterebbero a gravissime censure perchè ricordano il nazismo. Invece in Austria tutta la discussione verte sul tema “Ormai ci sono. Cosa si deve fare perchè siano utili alla società e stiano bene loro stessi?”
Il risultato di questa politica è sotto gli occhi di chiunque compari Vienna con Colonia o Milano. A Vienna si vedono sì certe donne col fazzoletto e negozi alimentari “etnici”, anche famiglie “tradizionali”, ma tutto ha un aspetto ordinato, tranquillo, senza aree di degrado e con il centro città dall’aspetto ancora intatto. Fekter vede certi problemi che sicuramente esistono, ma in misura molto minore che in Germania e con meno ripercussioni sull’ordine pubblico.
Non si risolve un problema non parlandone (Germania) o con slogan (Italia).

Tag: , , , .

20 commenti a Integrazione in Austria: intervista a Maria Fekter

  1. furlàn ha detto:

    Che in Italia viga la politica dello slogan non ci piove sopra.
    Che i problemi citati trovino soluzione nell’obbligatorietà della lingua ho dei dubbi. Imparare la lingua del Paese in cui si lavora diventa necessario in qualunque contesto.
    Uno sguardo concreto ai problemi creati dall’immigrazione è sempre un valore aggiunto ma può sfociare in idee a volte balzane in nome delle pragmaticità (gli editti sulle dita), così come a volare troppo alti si finisce in quel finto solidarismo che non risolve niente ma smaschera solo ipocrisie.

  2. pierpaolo ha detto:

    a me sembrava di sentir parlare maroni sinceramente..
    il problema vero è che se un calderoli o un maroni appunto rilasciano un intervista del genere si alza un vespaio, se lo dice una ministra austriaca siamo qua a dire che bravi che son loro e che fessi siamo noi..

  3. Si parla di “delitto d’onore” cosa tollerata in Italia fino a pochi lustri or sono… A proposito di cultura occidentale…

  4. furlàn ha detto:

    L’autore in qualche modo giustifica questo modello adducendo che l’integrazione sia necessaria. Io non sono poi tanto sicuro che l’integrazione degli immigrati sia la strada giusta. Presuppone la distruzione di qualcosa di soggettivo dell’individuo. Preferirei parlare di rispetto: rispetto loro per la cultura in cui vanno ad inserirsi e rispetto della società verso la loro cultura nei limiti imposti dalle leggi della società stessa.
    Integrazione è una parola che mi fa pensare all’ingegneria, non alla sociologia.
    “We are Borg. You will be assimilated. Resistance is futile.”

  5. Julius Franzot ha detto:

    Erdögan in visita a Berlino aveva distinto tra “integrazione” e “assimilazione”, sostenendo che i turchi devono integrarsi ma non assimilarsi. Per chiarire i concetti, faccio qualche esempio:

    1. USA: è un paese di immigrati (a modo loro i primi 😉 ), quindi se uno ci va a vivere e non appartiene a una comunità numerosa (latinoamericani) diventa assimilato in pochi anni.
    2. Francia: non si sono mai preoccupati di integrare/assimilare gli immigrati, perchè parlavano tutti da subito francese. Chi si è integrato e chi no. I non-integrati danno fuoco alle banlieues.
    3. Germania: per 50 anni era sistematicamente negato che ci fosse immigrazione: la regola non scritta era di considerare i lavoratori stranieri come “in transito”, destinati a tornare al loro paese dopo qualche anno. Invece sono rimasti, ora c’è la terza generazione di turchi. Chi si integra, sta anche molto bene, però si “assimila”, più che integrarsi, gli altri vivono un un ghetto da cui non hanno speranza di uscire, a meno di un cambio radicale della politica.

    Secondo me, o lasci entrare solo laureati, o fai di tutto per integrarli. Una massa “diversamente colta” 😉 è una mina vagante.

  6. furlàn ha detto:

    Grazie per la precisazione.
    Io oltre all’aspetto sociale della faccenda ho capito che non va mai tralasciato quello economico (ahimè, forzo erroneamente una distinzione tra i due aspetti). Masse “diversamente colte” si muovono in altri settori del tessuto sociale, ma con una forza economica maggiore non creano i problemi di “integrazione” che causano le masse “diversamente colte e diversamente ricche”.

  7. asem ha detto:

    Julius Franzot, sono d’accordo.

  8. Julius Franzot ha detto:

    @furlàn
    La cultura (riferita al paese in cui si vive) in genere è la porta che conduce anche al benessere economico. Un immigrato povero, qui chaimo le cose senza eufemismi, tende ad avvicinare altri autoctoni poveri, che ignorano come lui la realtà che muove il paese. Si ritrovano assieme sul lavoro, dove nella pausa di mezzogiorno sparlano in modo solidale dei “borghesi”, ma alla sera vanno ognuno nella propria osteria ed imprecano gli uni contro gli immigrati e gli altri contro gli autoctoni. Se uno beve un bicchiere di troppo e va nell’osteria sbagliata, sono botte!
    Se non tiri fuori gli stranieri dal ghetto, se abusi di sovvenzioni agli immigrati per far fare loro balletti folkloristici, se coltivi la loro cultura, ormai anni-luce distante da quella attuale del paese d’origine, li avvicini ulteriormente agli elementi peggiori della società autoctona, che vanno a vedere i balletti come uno spettacolo di scimmie ammaestrate, mentre i soldi pubblici per l’integrazione, o per gli aiuti agli immigrati in genere, se li cuccano i furbi e si arricchiscono (ulteriormente) a scapito di chi dovrebbe essere destinatario di quei NOSTRI soldi.
    Nella mia esperienza, non ha senso promuovere circoli riservati ad immigrati di nazionalità non autoctone: li manterrai in un certo giro, in cui si perpetuano le faide di 50 anni fa, e li renderai facile preda dei furbi. Se fosse per me, io non darei un soldo ad associazioni di immigrati su base nazionale, ma promuoverei con gli stessi soldi la partecipazione degli immigrati ad associazioni di origine autoctona con temi “universali”, tipo filosofia, musica, teatro, arte, politica…
    Ho sotto gli occhi l’esempio di Vienna, per me illuminante: gli immigrati con cultura compatibile con le classi medie austriache, sono i benvenuti in associazioni del genere. Esistono anche associazioni con forte proiezione sui paesi di provenienza dagli immigrati (Forum per le relazioni austro-islamiche, Società per la storia e letteratura ungherese…), ma hanno un livello tale da escludere in partenza i “troppo diversamente colti”, sia austriaci che immigrati.
    Se vai al Bikuz di Francoforte, invece, troverai disoccupati tedeschi in cerca di brasiliane bisognose (meglio ancora, per il gusto tedesco, se fossero thailandesi, ma quelle non ci vanno), zitelle tedesche in cerca di turchi giovani e dotati, falliti di tutte le nazionalità e colori che cercano di emergere tra gente che in fondo disprezzano.

  9. furlàn ha detto:

    Perdonami se insisto, ma devo portarti ad esempio un caso molto vicino. Proprio ieri sera mi sono concesso una serata a Monfalcone. Converrai che negli ultimi anni è mutata completamente grazie all’immigrazione non solo estera. Ebbene, non neghiamo quello che non si può negare, ovvero che non siano sorti problemi nel passato (anche se qui forse di problemi grossi a volte ne hanno creati di più gli immigrati ‘interni’ di quanti ne abbiano creati gli immigrati esteri, ma è un capitolo a parte che vorrei tralasciare per il momento), ma non neghiamo neppure che Monfalcone può ritenersi, non un modello, ma forse un’isola meno infelice di tante altre. Non conosco Roma e neanche Milano, conosco qualcosa nel triveneto. Io ho trovato solo una costante dappertutto, dove c’è il lavoro, dove c’è un minimo di ‘benessere’ garantito le cose non degenerano. Il mio discorso sui “diversamente ricchi” è legato ad un’estremizzazione che mi è sovvenuta recentemente leggendo lo “sbarco” siciliano di uno sceicco arabo. Stavo pensando alle ‘isole felicissime’ dove la provvenienza, il colore della pelle, la cultura di appartenenza (sempre che ormai ne continui ad esistere una) non sono discriminanti ma discriminante lo è il conto in banca. Non facciamoci infinocchiare da discorsi sulle inconciliabilità delle culture ed altre storie. Si tratta di argomenti che hanno una loro valenza, ma pesano come piume se rapportati ai danni che provoca la fame.

  10. enrico maria milic ha detto:

    in nuova zelanda hanno smesso nel 1987 di fare un distinguo sul colore della pelle degli immigrati ovvero sulla loro provenienza culturale.
    invece, per quanto riguarda chi ha diritto a immigrare in nuova zelanda e chi no, “classificano i migranti sulla base delle loro abilità, delle qualità personali e sul loro potenziale contributo all’economia e alla società neozelandese”.
    insomma: hanno la possibilità di venire a vivere in nuova zelanda solo quelli che hanno una laurea e/o già un’offerta di lavoro.

  11. pierpaolo ha detto:

    @furlan

    forse ti sei sbagliato e stavi parlando di canicattì o di qualche altro posto, non puoi dire che monfalcone sia quasi un esempio. parla con un qualsiasi monfalconese. la sera hanno paura di uscire di casa, gli immobili perdono valore solo se una famiglia cingalese si trasferisce nel condominio ecc. ecc…

    quella di monfalcone non è immigrazione/integrazione piuttosto la definirei una colonizzazione in cui ci rimettono tutti gli italiani che perdono lavoro a vantaggio dei cingalesi e i cingalesi che per lavorare alla fincantieri accettano paghe basse e condizioni di lavoro vergognose

  12. furlàn ha detto:

    @pierpaolo
    Non voglio fare confronti con altre città ma non mi sembra una situazione peggiore di quella che potrebbe esserci a Treviso o Pordenone (città altamente popolate da immigrati) o una qualsiasi città mediamente industrializzata del Triveneto.

  13. furlàn ha detto:

    @pierpaolo
    e non per fare il precisino, ma ho parlato di “isola meno infelice”. Lungi da me portare esempi su metodi di integrazione/assimilazione, volevo solo dire che non bisogna per forza avere dei metodi da Gentilini per creare condizioni degne di vita in una città. A volte basta che ci sia da mangiare per tutti.

  14. pierpaolo ha detto:

    @furlan

    non sto dicendo che la situazione sia migliore o peggiore in altre città del triveneto, sto dicendo che è sbagliato il modo in cui si affronta il problema immigrazione, che diventa un costo invece che essere un beneficio per la nazione ospitante.

    e mi domando in quale modo si rispetti la dignità di un individuo quando lo si accoglie per farlo vendere accendini su un marciapiedi o, nel migliore dei casi, quando lo si accoglie per farlo lavorare a 700 euro al mese in un acciaieria e lo si lascia vivere in un appartamento assieme ad altre 10 persone.

  15. furlàn ha detto:

    @pierpaolo
    Quelli che vendono accendini si mettono a farlo forse anche perchè ci campano meglio a venderli che a spaccarsi la schiena per 700 euro al mese. Non li biasimo, neanche io ci andrei a spaccarmi la schiena a 700 euro al mese e dover manifestare ogni tot anni per avere un aumento salariale una tantum di 100 euro lordi all’anno.
    Qui stiamo parlando di immigrazione o di condizioni economiche? Questo mi chiedo, ma non pretendo risposte perchè è da 20 anni che ce la menano con l’immmigrazione ed altri problemi connessi che ormai mi sono stufato di sentirmi dire sempre le solite cose che non siano stereotipi preconfezionati sull’idraulico polacco, il carpentiere bengalese o il muratore rumeno e risposte sui temi dei salari o del costo della vita non le ho ancora viste, continuo a non averle e mi immagino che non ne avrò per molti anni ancora.

  16. pierpaolo ha detto:

    @furlan

    stiamo parlando di entrambe le cose.
    nemmeno io biasimo chi vende accendini, biasimo chi ha permesso che qualcuno si riducesse a vendere accendini per campare. come biasimo chi ha permesso che le fabbriche si siano riempite di extracomunitari mal pagati a danno degli italiani ben più esigenti.

  17. furlàn ha detto:

    @pierpaolo
    La mia, ma non solo mia, priorità non è quella di vedere meno cingalesi in giro, ma quella di avere un migliore salario. Perchè con la pancia piena si ragiona meglio. Gli italiani e con loro tanti immigrati hanno invece la pancia vuota e non ragionano, trovano chi pretende di ragionare per loro e gli dice che la colpa dei loro problemi è di un altro con la pancia vuota.
    In definitiva: io vivo più tranquillo (leggasi “sicuro”) se so che fuori casa mia il maggior numero di persone riesce a mangiare. E sapere che ci sono più o meno poliziotti o militari che gironzolano non è sufficiente, anzi.
    Adesso, se dobbiamo tirare le fila e capire di chi è la colpa di cosa si perdono altri 20 anni (in realtà si sa benissimo di chi è la colpa) in discorsi inutili e si finisce in quella specie di dialettica etnico-antroideologica che è interessante ma con la quale non si mangia. ( Mi è anche venuta fame;) )

  18. pierpaolo ha detto:

    @furlan

    non potrebbe essere che il nostro salario rimane basso perchè il mercato lo vuole basso? il mercato del lavore magari è anche un pò viziato dal fatto che quei cingalesi lavorano volentieri per 2 lire.

  19. Julius Franzot ha detto:

    Altrove (Francia per esempio) si risolve il problema con il salario minimo.

  20. Julius Franzot ha detto:

    Una tabella dei salari minimi in Europa e del rispettivo impatto sui costi del lavoro si trova sotto questo link:

    http://www.insee.fr/fr/themes/tableau.asp?reg_id=98&ref_id=CMPSOS04113

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *