19 Agosto 2008

A Mostar, fra calcio e realtà

Non ci vuole molto per capire l’aria che tira a Mostar. La strada principale, quella che risale il corso della Neretva dalla foce fino al capoluogo dell’Erzegovina, è un trionfo di croci, madonne e bandiere croate, oltre che di virtuosi del sorpasso a rischio frontale.

Entrati in città, non si può fare a meno di notare una croce gigante piazzata su una collina della sponda occidentale. Nel caso in cui fosse sfuggita alla vista durante il giorno, di notte diventa più luminosa della luna. L’effetto è suggestivo, con le colline disperse nel buio e questo mega souvenir pacchiano a volteggiare su una città che proprio non può fare a meno di provocarsi. “Commemorano il posto da cui ci bombardavano”, ha sintetizzato il padre di un mio amico musulmano.
Qualche centinaio di metri più in basso, nei pressi del Bulevar che durante la guerra ha marcato il confine fra assedianti e assediati, è stato eretto un campanile altrettanto ingombrante. Non proprio bello, ecco. Ma più alto di qualsiasi minareto. Cristo ce l’ha più grosso, vuoi mettere…

Non che a Mostar est siano esattamente dei santi. Pare che la moschea di confine spari le nenie dell’imam a volumi da rave party, con gli altoparlanti ben diretti verso gli amici cattolici. E poi i matrimoni: se si sposa un cristiano, è d’obbligo un corteo d’auto strombazzanti sulla Marsala Tita, la via principale di Mostar est, con più bandiere croate che allo stadio. Idem nel caso di un matrimonio musulmano, dove a farla da padrone è la bandiera verde islamica.

E tante altre piccole cose. Pochi giorni fa, mi sono perso per Mostar ovest facendo un giro in macchina. Il motivo è molto semplice: seguivo le indicazioni per il centro, convinto che mi avrebbero portato dritto allo Stari Most. E invece no, coglione che non sono altro: il quartiere del ponte sta ad est, al massimo viene indicato come città vecchia. Figurarsi se a Mostar ovest possono concepire che il centro cittadino sia al di là del Bulevar.Due centri per due città che condividono solo nome e storia, e per questo hanno scelto di non comunicare. La distinzione si rende pure architettonicamente evidente se si osserva la città dalla famosa collina con la croce. Il Bulevar, più che un confine, sembra una faglia.

Insomma, così. E il calcio, tanto per cambiare, fornisce una metafora perfetta per una città che ha un doppione per tutto. Zrinski-Velez, cattolici contro musulmani, svastiche e stelle rosse. Bel clima.
Aggiungiamoci pure che la guerra ha capovolto i valori, facendo dello Zrinski la prima squadra cittadina. E, soprattutto, che il Velez ha perso il suo vecchio stadio, dato in gestione alla squadra croata a partire dagli anni della guerra. Per dire, all’ingresso del campo c’è una scultura di due metri circa, che rappresenta una granata da mortaio mentre tocca il suolo, dipinta coi colori della bandiera croata. Inutile dire che i derby mostarini farebbero scappare a gambe levate pure i capoccia più esagitati delle curve nostrane. E non solo i derby.

Ai mondiali del 2006, la Croazia s’è giocata la qualificazione agli ottavi contro il Brasile. Non mi sembra difficile che a Mostar est abbiano pure imparato a ballare la samba. Finita la partita, la gente di Mostar est è scesa in strada a festeggiare, mentre iniziavano i primi caroselli in territorio nemico. Detto, fatto. Nel giro di pochi minuti, circa un centinaio di persone s’è ritrovato nell’unica piazza neutrale della città, quella che ospita il solo liceo frequentato da ragazzi di entrambe le comunità. E giù botte, of course. L’Osservatorio dei Balcani ha riferito pure di ferite da arma da fuoco. Non che in quel liceo, comunque, croati e musulmani si parlino. Pare che rimangano rigidamente divisi anche fra compagni di classe. E, a scanso di ogni equivoco, il giorno successivo un gruppo di ultras croati s’è reso protagonista di una spedizione contro gli studenti musulmani di quella scuola.

La seconda manche s’è svolta durante gli ultimi Europei, al termine di Croazia-Turchia. La dinamica è stata la stessa della volta precedente. Solo che, guarda un po’, la polizia (anzi, le polizie, visto che a Mostar ce ne sono due), ha perfino previsto quello che sarebbe potuto succedere. Non riuscendo ad entrare in contatto, le due tifoserie le hanno suonate per un po’ ai poliziotti, e poi via a casa.

Va anche detto, però, che il calcio ha offerto una esempio commovente di collaborazione inter-culturale, forse il più efficace dal 1992 ad oggi.
Nel luglio 2007, lo Zrinski s’è giocato la qualificazione alla Champions’ League contro il Partizan Belgrado. La squadra di Mostar è stata asfaltata, con un 11-1 complessivo. All’andata, giocata in Serbia, i tifosi del Partizan hanno avuto la premura di scandire slogan come “coltello, filo spinato, Srebrenica” e amenità varie. Gesto che a Mostar non è stato molto apprezzato.
Una volta entrati allo stadio per la partita di ritorno, i tifosi serbi sono stati ramazzati per benino dagli ultras dello Zrinski. Finita la partita, gli ospiti hanno cercato rifugio fra le vie di Mostar. Peccato solo che i tifosi del Velez si fossero tenuti aggiornati con la diretta televisiva. E quindi, giù con la seconda rata.
L’odio unisce, altroché.

Poi, è ovvio, a Mostar non ci sono solo ultras, costruttori di campanili fallocentrici e imam urlatori. E sarebbe sbagliato, oltre che pericoloso, ridurre la sua complessità alla sola opposizione fra le due comunità. Mostar è bellissima. E’una città in cui, nonostante tutto, campanili e minareti continuano a convivere, in mezzo a strade ancora profondamente segnate dalla guerra. E’affascinante, permeata da un’atmosfera quasi magica. E’ una città in cui può capitare di imbattersi in storie come quella del Ponte a schiena d’asino: il Ponte Vecchio è conosciutissimo, occupa persino la copertina della Lonley Planet per i Balcani. Quello che non si sa è che, qualche anno prima della sua costruzione, a poche decine di metri dalla Neretva, è stato eretto un ponte esattamente identico, benché in scala ridotta. Una sorta di prova generale. E che questo ponte, a differenza del fratello maggiore, è sopravvissuto alla fine della guerra. Non per molto, in realtà. Gravemente danneggiato dal conflitto, è crollato sotto la spinta di una inondazione fatale. Quando? Il 31 dicembre 1999. Ogni interpretazione è lecita.

Di gente che prova ad andare avanti ce n’è, eccome. Tornando a distanza di un anno, ho pure notato alcuni, piccoli miglioramenti. Il liceo multiculturale, per esempio, sforacchiato ovunque da pallottole e granate, ha iniziato ad essere restaurato. Lo stesso vale per una casa nei pressi dello Stari Most, a cui stanno ricostruendo il tetto. O, chessò, nella città vecchia sono comparsi dei nuovi cestini per la spazzatura, e i ragazzi che si tuffano dal ponte, per prepararsi all’immersione nelle acque gelide della Neretva, adesso si bagnano con una pompa e non più solo con bottiglie di plastica. Piccole cose, minuscole. Tanto più in una città in cui d’inverno si esce solo per procurarsi la legna per scaldare la casa. In cui corruzione e disoccupazione dilagano. Piccolissime, ma forse qualcosa vogliono dire, o forse no.
La guerra è sempre là, inamovibile. Ed ogni strada, ogni muro sforacchiato, non solo croci e mezzelune, sono ben presenti a ricordarla.
E’una città enigmatica, ed enigmatico è il suo futuro. Un po’ come la profezia implicita nella storia del ponte a schiena d’asino.

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2 commenti a A Mostar, fra calcio e realtà

  1. apu ha detto:

    bravo andrea, molto interessante, molto vero.
    se qualcuno pensasse davvero a quello che abbiamo fatto e stiamo facendo nei balcani dovrebbe guardare alla bosnia di oggi, alla mostar di oggi, città divisa che rimane divisa

  2. ULTRAS MOSTAR ha detto:

    Caro Andrea, mi ha fatto un piacere immenso leggere quest articolo che parla appunto della mia citta’ natale.
    Oddio,continuando a scrivere articoli di questo genere, nonostante siino verosimili,spaventerai tutti coloro che magari decidessero di venire a Mostar un giorno!!!Mi farebbe piacere riuscire a contattarti e darti ulteriori infirmazioni riguardanti la citta’ + bella del mondo…!!!
    ciao e congratulazioni ancora

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