19 Aprile 2008

Spunti

Il nostro paese è entrato nel ventunesimo secolo senza una classe politica con una visione del futuro, con un idea di paese, con una direzione visibile. Il nostro paese è ostaggio di sé stesso, delle innumerevoli corporazioni che quasi sempre soffocano spontanee ed innovative spinte sociali e culturali. Una necessità inderogabile di ordine e controllo sembra permeare ogni area dell’economia e della politica del nostro paese. Non esiste nella nostra società il concetto di merito e di incentivazione, di ricerca ed innovazione, del riconoscimento della lungimiranza. La quotidiana disciplina e l’asservimento permettono la conservazione e la prosecuzione di percorsi sicuri e collaudati. Queste sono le doti richieste a chi vuole ricoprire posizioni di prestigio o di rappresentatività, sia nella politica che in generale nell’ambito del settore pubblico.

 La conservazione ed il controllo sono due aspetti che contraddistinguono ogni democrazia europea, ma l’Italia sembra avere dei limiti culturali che la fanno stare dietro a molti paesi del continente.

 Un motivo potrebbe essere cercato parecchio tempo addietro, alla fine della seconda guerra mondiale, quando sconfitti ci trovammo nella posizione di chi doveva accettare tutte le condizioni poste dai vincitori. La struttura statale che fu realizzata, era fatta per contenere qualsiasi spinta di carattere rivoluzionario. La polarizzazione dei partiti era anch’essa probabilmente conseguenza di questa situazione. All’interno di questa atmosfera cupa e priva di respiro si sono articolate le due grandi anime della politica degli ultimi sessant’anni, la Democrazia Cristiana ed il Partito Comunista.

 In questa atmosfera di scontro e diffidenza, si sono sviluppate le peculiarità culturali, il senso di appartenenza di ambo le parti, con uno spazio limitato ad altri partiti politici che di volta in volta hanno avuto più o meno importanza. La nostra cultura politica ha come fondamenti la conservazione, l’astuzia, il discredito dell’avversario, la volontà di controllo delle risorse pubbliche.

 Una seconda ragione del nostro ritardo va cercata secondo me nella totale sordità che la politica dimostra da sempre nei confronti del mondo imprenditoriale. La politica italiana è quasi sempre estremamente permalosa e non incline ad ascoltare i consigli e le osservazioni del mondo economico. La politica anzi, ha voluto sempre tenere in allarme il mondo delle imprese, con velate minacce operate attraverso leggi non sempre d’aiuto allo sviluppo, e con armi in pugno quali il Sindacato e la Guardia di Finanza. Questo a mio avviso non per un virtuoso desiderio di far rispettare le regole, ma più per marcare il territorio, per far sentire in ogni momento che lo Stato può, che lo Stato ha una parte dei meriti del successo di ogni suo cittadino. Anche questo sarebbe virtuoso e logico se lo stato assolvesse alle sue funzioni, ma ciò molto spesso non si verifica.

 Una terza componente può essere ricercata nella breve storia di questo paese e nella sua precedente frammentazione che ha sempre determinato interessi localistici difficilmente conciliabili in un disegno comune. Paesi con molti secoli di unità e trascorsi fatti di potenza ed espansione dimostrano invece molta più unità nella progettazione del futuro e nella valorizzazione delle idee e delle peculiarità. La gelosia e la volontà di eliminare il diverso, il possibile pericolo, sono due colonne fondanti dell’agire politico italiano. Si ritorna quindi ai caratteri citati ad inizio articolo: la conservazione ed il controllo.

 Questi due aspetti vanno chiaramente contro l’idea di sviluppo e di evoluzione. Sono delle barriere efficacissime a contenere ed impedire ogni possibile sviluppo o fuga in avanti. Sono talmente forti e presenti nella cultura del nostro paese da essere tacitamente accettate ed assecondate nei comportamenti e nell’agire statale. Si ha un chiaro ed efficace esempio di questo nel fenomeno della partecipazione statale nella vita economica. L’IRI in primis ed altri enti minori hanno sempre portato avanti questo disegno, mascherandolo con l’intento di favorire ed incentivare lo sviluppo economico e di conseguenza sociale del nostro paese. L’hanno invece a mio avviso di fatto bloccato e controllato, frustrandolo ed asservendolo alla volontà particolaristica di individui di volta in volta preposti a comandarlo ed indirizzarlo. Romano Prodi è un chiarissimo esempio di questo agire e lo abbiamo potuto constatare anche nel suo ultimo incarico al governo. Molto spesso lo stato si è intromesso ed ha di fatto paralizzato il naturale succedersi degli eventi, per la pretesa di controllare e vigilare su tutto ciò che di economico e redditizio poteva esserci nel paese, di proprietà o meno dello stato. Tutto ciò come sempre motivato dal fatto di regolare il mercato, di essere super partes col solo intento di far rispettare le norme, ma di fatto vincolando le scelte e minacciando in vari modi i non inclini ad assecondare la volontà dello Stato.

  I due partiti si sono fronteggiati nello stesso scenario, nella reciproca condivisione di queste norme ed intenti, differenziandosi culturalmente, ma avendo entrambi ben presente quali fossero gli obiettivi e la posta in gioco. E’ stata creata una classe dirigente per poter attuare questo programma, per poter conservarlo e mantenerlo intatto nel tempo. Lo stesso confronto politico, dettato da scadenze elettorali, dalle evoluzioni del percorso europeo comune, dagli eventi mondiali, è sempre stato tenuto sotto controllo. Ci sono stati periodi di turbolenza come il terrorismo e le minacce vere o presunte di colpi di stato, ma il meccanismo ha tenuto fino agli anni ottanta.

 Si sa, i tempi cambiano, i fenomeni si evolvono e non tutto dura in eterno. Quando il meccanismo ha iniziato a scricchiolare il sistema politico ha mostrato il suo lato più meschino, ha portato all’estremo i suoi sentimenti, la gelosia e la volontà di eliminare ed escludere il diverso. Abbiamo avuto il polverone Mani Pulite che ha fatto scomparire individui o fazioni politiche dal scenario nazionale, ma è stato un temporale estivo, un primo tentativo di misurare il peso dei contendenti.

 L’arrivo di Berlusconi ha di fatto interrotto questa inesorabile decadenza, perché ha portato nuova linfa, nuovi argomenti con i quali i potentati, i notabilati, hanno potuto distrarre l’opinione pubblica dalle proprie mancanze, dai propri insuccessi. Il gioco ha funzionato finchè l’uomo delle televisioni è stato forte di un immagine innovativa e diversa. Finchè ha trasmesso segnali di novità ed alterità,  ha dato modo ai vari latifondisti della nostra politica di preservarsi e rigenerarsi attraverso una polemica sempre nuova ed attiva, in questo aiutati dagli organi di stampa e dal gigantesco apparato di opinione mosso dalle parti sociali che giovavano di parte del controllo della cosa pubblica. Quando Berlusconi ha iniziato a perdere la sua novità, la sua estraneità, la noia e l’insofferenza sono tornate a bussare alla porta della politica. E inesorabilmente il tempo e la giustizia sta facendo il suo corso. Molti sono caduti, altri sono sul procinto di farlo.

 C’è un vuoto di potere e di decisionismo soltanto a stento, nascosto da questo ennesimo nuovo e forte governo. L’opposizione a questo governo è debole e priva di un’anima che possa garantirle futuro. Lo stesso governo che a giorni vedrà la luce ha delle contraddizioni al suo interno che verranno forse più a lungo tenute nascoste soltanto dalla negativa congiuntura economica. Il fatto che Berlusconi abbia già insistito su questo argomento, agitando lo spettro della depressione economica, delle scelte impopolari, al quale tutti noi siamo molto sensibili, è a mio avviso un chiaro tentativo di distrarre l’opinione pubblica rispetto ai limiti che questa coalizione ha in se stessa.

 Il successo della Lega Nord dev’essere letto sì come risultato della presenza sul territorio e dell’effficacia della sua organizzazione, sulla sua capacità di ascoltare e capire quali sono i problemi della gente. Ma dev’essere anche chiaro che quando a vincere sono i temi più di pancia, come si usa dire ultimamente, vuol dire che la situazione è ad uno stadio avanzato di povertà progettuale. Nella vita di uno stato, sia in momenti favorevoli che non, ci dev’essere sempre un disegno ed una spinta al miglioramento, all’innovazione, all’evoluzione dei metodi e delle dinamiche sociali. Quando la politica inizia ad essere determinata dai temi di più stretta urgenza quotidiana, quando l’opinione pubblica è interamente distratta e condizionata dai fatti di cronaca, dalle faccende più spicce, dai pettegolezzi, dalle malefatte dell’avversario, è chiaro che la politica e lo stato hanno fallito il loro compito. Una politica senza obiettivi, senza grandi e concreti progetti, finisce per essere una quotidiana amministrazione dei mali, una terapia del dolore che non aiuta a migliorare ma soltanto a mitigare il male provocato dal cattivo servizio e dall’assenza di virtuosismo e lealtà verso lo stato ed i suoi cittadini.

 La classe politica di oggi, la generazione al comando del paese non è, e non sarà in grado di produrre questa spinta. Al nostro paese aspettano anni molto più duri e sconfitte in ambito europeo a causa del suo ritardo di organizzazione e di progettazione. La nostra generazione ha il dovere di realizzare un’agenda di temi e progetti nuovi, fondati sul rispetto dell’individuo e della sua valorizzazione, sul concetto di leale e sana concorrenza, sull’ammodernamento del nostro paese e sulla valorizzazione delle sue peculiarità imprenditoriali, sulla valorizzazione della diversità culturale che sempre di più sarà preponderante in Europa. Non si può vincere senza apertura e capacità di mettersi in gioco. Spetta alla nostra generazione, dare un senso ed un futuro diverso a questo paese. Ed anche il progetto di Bora deve farsi carico di contribuire a creare i presupposti dell’innovazione e del cambiamento. Con il dialogo, lo scambio di idee, che investa sempre temi nuovi e diversi, facendo leva sulla partecipazione e la sintesi della pluralità di idee e proposte che ogni giorno, sempre di più, ci si scambia in questo spazio immaginato e visibile. Grazie di esserci. 

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2 commenti a Spunti

  1. Giovanni Costa ha detto:

    Nel lontano 1970 sono arrivato in Germania, le prime parole che mi sono sentito dire, appena sceso alla stazione, sono state;
    “Qui non è un casino come in Italia.”
    Testuale, in italiano. Ricordo che mi offesi un po’, ma oggi ritengo che quella persona abbia detto una cosa vera e giusta, abbia identificato il male del paese.

  2. enrico maria milic ha detto:

    femo.

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