5 Gennaio 2008

Esercizi di Tri(e)stinità

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Un articolo davvero importante, “NO AL PENSIERO UNICO” di Giampaolo Valdevit, lo scorso 3 gennaio sul PICCOLO, ha toccato quello che è il Punto Chiave della Questione di Trieste ( versione PCCS, ovvero Post Caduta Confini Slovenia, che vi credevate?!): al di là delle oneste intenzioni, delle speranze, delle effettive potenzialità, delle tardive furbesche rincorse, al di là delle magnifiche sorti progressive (TS.08, restyled by Solo Mind)…

Dov’è un progetto, un sentimento, una cultura, una capacità, una consapevolezza diffuse e co-partecipate ?

Il giorno dopo, Luca de Biase, di cui sto leggendo il remarkable “Economia della Felicità” (FELTRINELLI) – ben scritta, visionaria ma lucida e documentata analisi del mondo in 2.0 – ha pubblicato un post dal titolo “LE CITTA’ DEL FUTURO” che sembra scritto apposta per misurare, riflettere, confrontare e sperabilmente stimolare.

Suggerisco, a chi fosse interessato, la lettura dell’intervento di Valdevit, seguito da quella del Post di de Biase (che sarà fra gli ospiti di STATEoftheNET, a Udine, venerdì 8 e sabato 9 febbraio).

Riflessioni private e/o commenti aperti, qui o, MEGLIO su Bora.La, sede più opportuna per questo mio Post.

Qui, invece, un post moolto Illuminato… (con, a sorpresa: Il primo problema di Trieste è il ponte” di Fabio Amodeo, pgc )

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6 commenti a Esercizi di Tri(e)stinità

  1. Julius Franzot ha detto:

    Secondo me, il primo problema di Trieste sono certe famiglie e certe persone ormai non più giovani, che stentano a capire che la classe dirigente qui ha bisogno di nuova linfa, senza raccomandazione e senza aspirazioni di essere collocati “in quota xy” senza competenza specifica in posti di rilievo.
    A poco servono dotte elucubrazioni su chi in teoria sostiene il sistema mortifero del “no se pol”, meglio sarebbe passare rigorosamente ai raggi X chi concede appalti e chi propone la nuova strutturazione di piazze ed edifici rinnovati da poco, magari con il beneplacito di chi ora li trova brutti. Sarebbe anche il caso di fare luce sulle modalità di assunzione dei precari provenienti da Adecco o Manpower, per esempio, sulle cui nomine potrebbero gravare sospetti di non equa distribuzione.
    Ma di tutto questo tace la società civile triestina, che si preoccupa di mantenere intatte le rendite di posizione di una classe che ha clamorosamente fallito il suo compito.
    Perchè le statistiche delle nuove occupazioni non distinguono tra precario e garantito? Perchè non si distingue per fascia d’età, stigmatizzando che il sistema attuale penalizza chi ha più di 45 anni? Ovviamente, chi passa l’ età fatidica ed ha una raccomandazione accettata, non soffre per questo fenomeno, passa senza soluzione di continuità da una carica ben pagata alla prossima. Lo stesso dicasi di chi ha avuto la fortuna di iscriversi al partito giusto al momento elettorale giusto ed ora si trova nell’imbarazzo della scelta tra un posto dirigenziale pubblico e l’ altro. Tavoschi docet.
    Prima di proclamare ad alta voce che siamo “mitteleuropei” dovremmo fare un esame di coscienza sulla “mediterraneità” imperante al momento di nominare qualcuno a posti di responsabilità. Guardiamo con attenzione alle competenze specifiche possedute da chi si trova a dirigere un Ente pubblico o un suo dipartimento e chiediamoci che credibilità possano avere certi personaggi che riempiono di sè il quotidiano monopolista locale con le loro ricette gravide di paroloni e di propaganda…
    Spero vivamente che l’ Euroregione sia in grado di confrontare le competenze di certi raccomandati di ferro di dimensione ultralocale con quelle di chi viene da un centinaio di chilometri, ma non ha nessun rapporto di parentela con certe famigghie…

  2. La Mula ha detto:

    Chi scrive fa parte di quelli che Amodeo definirebbe ‘una che ha deciso di restare’. Non ho dovuto imparare la lingua perchè di madre trisestina, ma sono ‘straniera’. La prima cosa che più di 25 anni fa mi colpì, sfavorevolmente, della città era l’assenza di dialogo.

    Venivo dal Friuli dove, se non altro per via dell’obbligo d’osteria, il confronto era cosa normale. Ai miei tempi, quando a Udine arrivava qualche persona importante, lo si andava ad ascoltare col solito complesso del sotan (suddito) che finalmente può anche lui somigliare a Trieste. Ma la quotidianità era continuo confronto: lavorativo, politico, culturale. E da quel confronto nasceva di solito il ‘fare squadra’ per ottenere un risultato concreto.

    Eravamo ragazzi, sognavamo un teatro, discutevamo animatamente di come farlo. Con l’aiuto di tutti (politici diccì e compagni, socialisti ecc.) abbiamo creato il primo nucleo. Poi abbiamo aiutato i più giovani a farsi aiutare. E’ nato così Teatro Contatto, realtà all’avanguardia in Regione, ma così ha potuto andare avanti anche la ricostruzione. Dalla condivisione che nasce dal confronto.

    A Trieste tutto ciò era inesistente. In un primo tempo ho imputato la cosa alla limitatezza del ‘giro’ in cui ero casualmente arrivata. Ma quando ho cambiato ambiente mi sono accorta che è quasi una prassi cittadina. Qui ognuno è profeta, esiste il monologo (bello il passaggio su Joyce) e soprattutto si lavora per consolidare il proprio diritto a monologare pubblicamente.Pertanto chi monologa come te è un rivale.

    Per lavoro ho dovuto sfatare e limare questo mio pregiudizio percettivo: la città è anche piena di gente che lavora ai massimi livelli, soprattutto nelle libere professioni, ma che sul mono(a)giornale ci finisce solo a esequie avvenute. Un po’ non ha tempo, lavorando, di monologare, un po’ è costituzionalmente refrattaria alla vita sociale locale. Mesi fa è scomparso, giovane, uno dei massimi esperti nel mondo in nanotecnologie (triestino): sono curiosa di sapere quanti se ne sono accorti (a parte il suo entourage).

    Ecco uno dei punti critici, a mio avviso: la vita sociale locale ossia il regno del monologo, che ha nel pantuttologo (non scrivo più pangermanista per non costringere Franzot a ripetersi per correggere) il suo profeta. Ti salvi solo sottraendoti, ma sottraendoti non esisti. Fai altro e esisti altrove, ma non a Trieste. E’ una scelta anche questa. Tutto ciò fa sì che, soprattutto a livello culturale (dove per forza bisogna diffondere e per diffondere apparire), il dialogo e il confronto siano inesistenti. E senza una crescita culturale è difficile esista altra crescita (Illy padre dimostra che anche quella di mercato si basa sulla cultura).

    Trieste dialoga? Mah, diciamo che c’è una parte di città che monologa in parallelo,in più lingue o in più religioni, ecc. tipo io sloveno tu italiano, noi parliamo assieme. Ognuno per i c…propri, ma vicini. Inclusi gli anni di estatica adorazione dal Friuli sono, ad esempio, trent’anni che in materia di sofferenza psichica sento le stesse cose e vedo muoversi le stesse persone (e vedo anche spegnersi alcuni esperimenti che avevano in sè un elemento di novità). Perchè?

    Perchè qui esistono e resistono i ghetti e se uno non accetta l’iniziazione nel ghetto è tagliato fuori per sempre. Il ghetto è alla base di quanto sostiene Julius e anche Valdevit. Passi il Lisert e il ghetto scompare, vai a Sesana e non lo trovi più: il ghetto ce lo portiamo dentro solo qui e solo qui opera la sua assurda selezione.

    “So come la pensi” e “so come sei” è uno dei refrain più amati dai triestini. E ognuno sa a seconda di un qualcosa o qualcuno per cui ha conosciuto l’altro. Trieste etichetta e lo fa anche double face: da un lato c’è l’etichetta positiva (ad es. è bravissimo in…), dall’altra quella negativa (però sappiamo che…).

    Per cui possono cadere tutti i confini del mondo, ma quando uno si confina da solo al confine ha poche speranze di avere una vita normale.

    Diverso è il discorso blog, soprattutto locale. Sebbene alla fine ci si conosca e identifichi tutti, rimane di base il principio di ‘attenersi al tema’ (anche se è forte e umano il desiderio di svelare l’identità e inevitabile il ricorso alle proprie esperienza personali). Per cui, almeno in modo virtuale, si può vivere anche Trieste.

    La Mula

    Ps:Postillina. Amodeo sottolinea l’uso timido del futuro nel triestino. Verissimo. Credo che ci sia anche una ragione di tipo linguistico. Il dialetto condivide strutture profonde delle lingue limitrofe, tra cui il serbocroato, lingua che non ha il ‘futuro’, ma lo costruisce col verbo volere. Alias ‘io tendo, io desidero, io voglio essere o avere’ e non, come in italiano, “io avrò, io sarò”

  3. enrico maria milic ha detto:

    sostengo in pieno il punto di vista di julius, anche se non sono convinto che la ‘mediterraneità’ (i suoi risvolti beceri e senza nulla togliere a questo talvolta esaltante vasto magma) si spazzi via con un’analisi veloce… la mediterraneità fa parte molto più dei processi culturali della nostra comunità di quanto vorremmo, mi pare.

    ma poi leggo quello che scrive la mula e la sostengo ancor di più: è vero, basta con l’etichettare ‘a priori’. iniziamo ad etichettare con una serie di fatti e misfatti chi fa cosa. no? ci vorrebbe qualcuno che sappia fare il giornalista.

    – sul pezzo di valdevit:
    forse poteva scrivere in tre righe una sintesi: che dobbiamo smetterla di riempirci di sogni del tipo ‘trieste il centro d’europa’ quando siamo cul de tutti, sia per i cittadini italiani che per quelli sloveni.

  4. marisa ha detto:

    Complimenti. Bei commenti che condivido.

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