12 Dicembre 2007

Segatti risponde: “legge sul friulano e legge elettorale per gli sloveni, medesima ispirazione”

Qualche giorno fa gli utenti di Bora.La hanno commentato l’articolo di Paolo Segatti che attaccava la legge sul friulano a scuola dalle colonne de Il Piccolo. Ho chiesto a Segatti, docente universitario a Milano, di replicare ai commenti dei navigatori di Bora.La. In coda a questo testo, inoltre, ci sono delle sue precisazioni a delle mie contro-repliche. Scrive Segatti:

Tra i vari commenti mi colpiscono due.

Il primo in realtà è una domanda. Che cosa ha a che fare l’articolo della legge elettorale che tutela il partito etnico con la legge sul friulano?

Molto, a mio avviso. Perché ambedue i dispositivi discendono dalla medesima cultura istituzionale. Per capire di cosa stiamo parlando, basta chiedersi una cosa semplice. A chi appartengono le istituzioni politiche?

Chi ha fatto la legge sul friulano, la bozza di statuto e quindi anche l’articolo che premia il partito etnico risponde che le istituzioni appartengono ad una comunità. Interpretano e difendono l’identità di una comunità. Per cui la specialità del FVG sta nel fatto che esistono tre comunità linguistico e/o nazionali, come ci viene detto da vecchi e nuovi adepti al pensiero etnico. E’ una impostazione che troviamo pari pari in diverse costituzioni di stati ex-jugoslavi, in particolare nella presenza di un preambolo che dice per l’appunto che lo stato appartiene ad un popolo definito da termini extrapolitici.

Io risponderei invece che le istituzioni appartengono ai cittadini. Il che significa che nelle regioni plurali la tutela delle diversità non dovrebbe accompagnarsi con restrizioni interne all’accesso a questa tutela. Il mio rifiuto della impostazione di questa legge e della piega etnica presa dalla maggioranza di centrosinistra, con l’appoggio di preti e di etnocomunisti, (come anche la mia insistenza a termini come repubblica e cittadini) sta qui. Nell’idea che le istituzioni appartengono ai singoli cittadini e la tutela necessaria della diversità non può mai limitare il loro diritto individuale all’accesso ai diritti collettivi che sostanziano la diversità. E’ una lezione che abbiamo imparato tutti, anche da Langer. Strano che nel dibattito di ieri (Segatti scrive domenica, ndr) a Ts a proposito del bel libro su Langer non se ne sia parlato. Non so se Langer ne sarebbe stato contento.

Quindi secondo me non basta dire che si è a favore della tutela delle minoranze. Bisogna dire anche di quale tutela si sta parlando. Una che comprime il diritto individuale come la norma sul silenzio assenso o il censimento etnico. Oppure una tutela che non giunge al punto di pretendere una dichiarazione individuale in pubblico su chi si è per avere accesso all’esercizio dei diritti collettivi alla diversità.

Il secondo suggerisce che io temerei una risposta etnica da parte delle altre regioni italiane. […] Non temo questo. Temo invece quello che si sta verificando. Non mi sono piaciute alcune critiche allo statuto e quindi anche alla legge espresse da alcuni parlamentari. Sono critiche che derivano da un’idea di repubblica italiana omogenea. Il che è un falso dalle nostre parti e sarà ovunque in Italia nei prossimi anni. Però noi dobbiamo difendere la tutela del pluralismo con ragioni migliori di quelle etniche, cioè migliori di quelle che parlano sempre di tutele di soggetti collettivi e non individuali. Abbiamo avuto la ventura di nascere in una regione plurale. Più o meno bene sappiamo cosa questo possa significare. In questa nostra esperienza io ci metto anche l’idea che le identità, anche quelle nazionali, sono sempre plurali e il risultato delle opportunità che uomini e donne incontrano nella vita. I regimi non democratici hanno limitato queste scelte. La mia idea è che lo facciano “dolcemente” anche i cantori del grembo caldo delle comunità, delle radici, dei miti , del patriarcato di Aquileia o delle tante fole etniche senza gruppi etnici che agitano le anime dei nostri conterranei.

Anche loro rivendicano l’autorità , ovviamente morale (!) di dirti che il buon sloveno è quello che vota per il partito etnico, che il buon friulano è quello che manderà in silenzio i figli a scuola di friulano. Mi spieghi però che differenza c’è tra questi discorsi e quelli che fa Menia sul buon italiano. In tutti questi casi se qualcuno ha in mente che essere sloveno è cosa più complicata di quella che dicono i dirigenti del partito etnico e altrettanto sia il rapporto tra parlare friulano, sentirsi friulano e sentirsi italiano o europeo o marziano …fatti suoi o peggio è un traditore della sua comunità.

Sono consapevole che alcune persone serie dicono che anche i membri di una minoranza nazionale hanno gli stessi diritti a diventare nazione della maggioranza. Trovo che questa idea sia fuorviante perché trascura quello che dicevo prima. L’esistenza in tutte le società, anche di quelle plurali, di ampie zone grigie quanto alle dichiarazioni di identità. Quanto al friulano le evidenze che abbiamo è che moltissimi di quelli che considerano il friulano lingua madre (una minoranza tra i residenti nelle tre province in questione) non si sentono in modo esclusivo friulani né sono a favore di un insegnamento obbligatorio. E poi l’identità nazionale degli stati-nazione in Europea per fortuna ha perso il carattere caldo che aveva nella prima metà dell’ultimo secolo. Invece sono molto più caldi i subnazionalismi. Caldo sta per impositivo, se non si capisse. E lo sono perché le classi dirigenti delle nazioni periferiche pretendono la sovranità politica che è una brutta bestia, come dimostra la storia europea fino al secondo dopoguerra. E ancora dopo nei Balcani.

Vorrei che gli amici che così vivacemente mi hanno criticato riflettessero su una cosa. Il giornale cattolico di Udine nella sua difesa della lingua friulana ha proposto una intervista nel settembre scorso ad un senegalese che parla , fortunato lui, benissimo il friulano per di più in diverse varianti. Tutto molto bello. Mi ha colpito il titolo “un friulano dipinto di nero” (ovviamente scritto in friulano). Forse sono eccessivamente sensibile, ma ho sentito offensiva (per il senegalese) la qualifica. Perché penso che i tanti immigrati che vengono da noi hanno diritto a mantenere, non so in quale percentuale, una parte della loro cultura, ma anche condividere parte della nostra nostra. La possibilità che questo scambio culturale tra loro e noi si realizzi sta nel fatto che essi siano considerati cittadini a prescindere che divengano friulani o milanesi o italiani dipinti di nero. In altre parole è la credenza che cose come cittadinanza hanno un significato reale che ci possono proteggere dalla pretesa di imporre ad altri la definizione culturale della nostra identità che sia italiana, friulana o slovena.


Gentile Segatti,
grazie mille per la risposta, apprezzo molto chi si mette in gioco.

Non conosco abbastanza le dinamiche del consiglio regionale per sapere se l’ispirazione di queste leggi arriva dagli stessi scranni che parlano e votano… da quello che lei scrive sembrerebbe di sì, siccome lei dice che la cultura istituzionale ispiratrice è la medesima (e la cultura ovviamente non è qualcosa di astratto ma è sostanza fatta di atti verbali o non verbali in cui sono protagoniste persone individuate).

Personalmente non mi convince l’idea che l’istituzionalizzazione del friulano coincida con una limitazione dei diritti individuali.

Beh. Il silenzio assenso cosa è? Le criteri di delimitazione dell’area di applicazione cosa sono? Se non una limitazione dei diritti individuali.

Perché non prevedere che a qualcuno possa piacere l’ora di friulano e non le ore in friulano. Con il meccanismo del silenzio assenso questa distinzione, invero grossolana e per niente di lana caprina, viene impedita. Se non è limitazione dei diritti individuali questa che è?

Anzi mi spaventa l’idea che opinion-maker come lei, progressisti insomma, respingano di petto la possibilità che le culture locali non possano far parte a pieno titolo di quello che lo Stato riconosce.

Guardi che sono a favore delle parlate locali. La mia lingua materna è il dialetto triestino e con il dialetto ho imparato l’italiano, grazie al mio formidabile maestro elementare. Non mi piace solo il modo con cui questa legge vuole tutelare la lingua friulana. Ho paura dei discorsi che collegano la politica e le istituzioni alla difesa delle radici, delle identità, delle comunità. Ho paura e stupore per come non si abbia paura di ciò dopo quanto è successo in Jugoslavia. Scherzando un po’, ma non troppo, l’unico uso linguistico dell’attributo etnico che non mi spaventa è quello gastronomico e musicale. Tutto il resto mi fa una dannata paura.

E’ proprio quando gli intellettuali progressisti censurano discorsi culturali in fermento (mi pare lampante come ci sia un revival in senso folklorico, tradizionale, popolare, ecc.) che queste idee vengono cavalcate dai conservatori xenofobi e razzisti. Vedi la Jugoslavia, appunto…
Dico questo perchè non trovo fondamento nell’idea che sapere l’inglese a menadito o l’italiano nazionale standard a menadito escluda la possibilità di sapere e imparare il friulano – e di usarlo in luoghi istituzionali.

Vedi sopra

Come lei sa, le comunità nazionali (che talvolta vengono chiamate anche ‘repubbliche’) con una lingua e un governo sono un’invenzione sociale di chi fa politica, informazione e opinione e sono istituzioni create negli ultimi 2-3 secoli. Ogni volta che una lingua è stata imposta pubblicamente, non credo che la maggioranza dei “cittadini” fossero per forza d’accordo a usare quest’altra lingua nazionale standard imposta.
Si, ma questo è capitato tanti anni fa, e se ci fu sugli individui “violenza” allora , perché escludere che ce ne sia ora con i subnazionalismi. I grandi nazionalismi sono ormai spenti, per fortuna. Gli altri no.

Dall’altra parte, oggi, non si capisce perchè non possano coesistere comunità statali in cui ci sono più lingue ufficiali e usate nello stesso momento.

Pienamente d’accordo, ma è veramente il caso del friulano oggi?

Non vedo nessuna limitazione dei diritti individuali in questo senso.

Dipende dalle forme di tutela

Anzi, la limitazione e l’oblio di lingue popolari (a cui abbiamo assistito dall’unità d’Italia, con un crescendo nel dopoguerra e in particolar modo con l’avvento della televisione commerciale) mi pare un processo particolarmente deprecabile e poco democratico dal punto di vista dei poteri che sostengono questi processi.

L’esempio che lei cita (il friulano dipinto di nero) non so quanto sia rappresentativo e dubito che sia rappresentativo del sentire di tutti i sostenitori della legge sul friulano. Ma, a un certo punto, quanto sia rappresentativo il loro punto di vista mi interessa relativamente perchè preferirei che a riempire di senso questi fermenti localisti fossero idee progressiste e non il contrario – come invece sta accadendo ed è sempre accaduto in particolare a Trieste negli ultimi 30 anni.

Secondo me è molto rappresentativo del modo in cui friulani ed italiani intendono il rapporto con gli immigrati. Le potrei mostrare con diversi dati che gli immigrati vengono accettati dagli indigeni solo nella misura in cui dimostrano di volersi integrare. L’esempio è un buon esempio secondo me del fatto che anche i sub-nazionalismi hanno una tendenza assimilativa. Vogliono implicitamente far diventare simili chi simile non è. Io sono per una assimilazione in cui tutti, indigeni e immigrati, divengono simili, scambiandosi qualcosa. Mi pare diverso.

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19 commenti a Segatti risponde: “legge sul friulano e legge elettorale per gli sloveni, medesima ispirazione”

  1. enrico maria milic ha detto:

    come volevasi dimostrare.
    oggi vedo il settimanale “il meridiano” in edicola che ha la copertina con qualcosa del tipo:
    TRIESTIN PRIDE
    “puntano a raccogliere 100mila firme…”

    e non mi pare che IL MERIDIANO sia certo un giornale di schieramento progressista…

  2. djn ha detto:

    Devo ammettere che tutto il polverone alzato da questa legge sorprende, ed in positivo. Credevo ormai che l’unica cosa che riuscisse ancora a risvegliare tanta passione fosse il pallone. Purtroppo oltre ai toni focosi questa querelle sembra aver ereditato dal mondo pallonaro anche la qualità degli argomenti in campo. Ma forse, come spesso succede, sono solo io che capisco fischi per fiaschi.

    Leggo nell’apocalittico articolo originale del prof. Segatti alcune tesi che potrebbero aver bisogno di ulteriore spiegazione: per esempio che il ‘sacrosanto diritto a vedere preservata la lingua e cultura friulana’ è individuale (suppongo in opposizione a collettivo) e che ‘solo l’appartenenza alla comunità garantisce l’esercizio dei diritti individuali’, concetti che francamente non vedo giustificati dal nudo testo della legge (link: http://www.consiglio.regione.fvg.it/download.asp?fileId=70704 ), anzi. Anche la seconda puntata non migliora il risultato. ‘A chi appartengono le istituzioni politiche?’ Domanda dall’intonazione retorica, a cui mi vien voglia, dopo lunga osservazione, rispondere con ‘alle segreterie dei partiti’. Invece ‘Io risponderei invece che le istituzioni appartengono ai cittadini’ – dichiaratamente in contrasto con le repubbliche dei Balcani. Ma siamo sicuri? La più vicina a noi delle repubbliche ex-jugoslave afferma esplicitamente che ‘la Slovenia appartiene alle proprie cittadine e cittadini’ (art. 3 – link: http://www.skgz.org/slo/ustavars ), mentre non riesco a trovare il concetto equivalente in quella italiana (http://www.skgz.org/ita/ustavari). Boh. Non avrò cercato bene…

    Meno sottile, comunque, l’allusione a ‘quel che è accaduto negli anni Novanta dietro all’angolo’: par di capire che l’insegnamento di un ora settimanale di friulano (neanche obbligatorio, ma soggetto invece a quel silenzio-assenso che per il non meno controverso insegnamento della religione andava bene, o bene abbastanza) sia una china scivolosa dietro a cui ci aspettano guerre fratricide, sconvolgimenti sociali ed una versione in scala H0 del Darfur. Ma i fatti confermano questi timori? Invece dei soliti Paesi Baschi vediamo qualcosa di più vicino a noi: Val d’Aosta e Alto Adige, per esempio, dove da almeno due generazioni s’insegna a scuola (col silenzio-assenso? ) la locale ‘parlata’. Se lassù ci si spara addosso han mancato di farcelo presente. Nel caso dell’Alto Adige, piuttosto, è stato proprio il riconoscimento del tedesco a livello ufficiale a far venire alla superficie toni costuttivi al posto di situazioni ben più cariche di conseguenze. Sbaglio? All’età delle medie a me ed ai miei compagni di scuola, che volevamo tutti l’inglese come lingua straniera, è stato invece propinato il tedesco (c’erano insegnanti da piazzare…) per ben quattro o cinque ore settimanali. Non risulta che nessuno di noi abbia per questo deciso di esporre la bandiera coll’acquila bicipite.

    Sarà certamente un caso, ma il paese europeo che più si è distinto nel recuperare le proprie tradizioni linguistiche con o senza l’assenso dei silenti scolari, quell’Irlanda che il gaelico lo ha letteralmente riesumato dal camposanto, quasi contemporaneamente ha cominciato ad essere d’esempio nel buon uso dei fondi strutturali della CEE; poco dopo ha cominciato a battere record negli investimenti dall’estero. Non c’entrerà niente colla lingua gaelica, ma ce lo avessimo noi il loro indice di disoccupazione non saremmo costretti a tenerci il dubbio privilegio di un acciaieria dentro la città pur di mantenere qualche centinaio di posti di lavoro malsani, pericolosi e spesso malpagati. Noi invece a proporre il glorioso modello Kurdistan, dove l’unità linguistica a scuola ha dato vita ad un modello di società senza conflitti…

    Liberissimi tutti voi di contestare questi miei ragionamenti a rutoa libera – ma qualcuno, se ne ha tempo e voglia, mi spieghi l’alternativa. Sostituire il silenzio-assenso coll’opt-in? Leggo in giro che i corsi facoltativi di friulano avrebbero un tasso di adesione tra il 60 e l’80 per cento. Se un ipotetico 95% di studenti che silenziosamente assente porta alla catastrofe predetta, l’80% è tanto differente? Non insegnare affatto il friulano? Vediamo i precedenti: i padri della città di Trieste hanno faticato per più di un secolo per complicare l’esistenza di scuole in lingua slovena sull’altipiano carsico. Ditemi voi se ha funzionato.

    Una cosa che spicca nella cronaca della levata di scudi contro questa legge-catastrofe è certamente la distribuzione a cluster degli oppositori. Ovviamente primi a scattare al segnale sono stati quei politici (triestini) che tradizionalmente hanno a che ridire sulla spartizione della pubblica pecunia tra la povera Trieste e l’invadente Friuli. Meno ovviamente, gli stessi sono stati anche i primi a togliersi dalla scena e passare ad altro – alcuni addirittura, tra la sorpresa generale, a fare la prima proposta plausibile dopo anni di corbellerie, come il Gambassini. Che sappiano qualcosa che noi non sappiamo?

    Secondi in scena i teatri dialettali. Spero che ce la facciano. A farsi finanziare l’attività in nome della salvaguardia della ‘parlata’ patocca, intendo. Dubito che si siano svegliati di notte in lacrime solo perchè da Staranzano in poi faranno un ora di friulano a scuola. Per chi fà attività amatoriale, invece, le parole sette milioni hanno un suono del tutto invitante, e non c’è da dargli torto. La cultura è cultura, in dialetto o meno, e più c’è n’è meglio è. Oso addirittura dargli un consiglio: le firme andrebbero raccolte anche in Carso, dove il teatro in dialetto ha una tradizione di tutto rispetto. Sarà dialetto sloveno, ma è forse il momento di fare i difficili? Per una buona causa le quindicimila firme potrebbero farsi più vicine. Il numero è potenza, e pecunia non olet.

    In terza posizione, ma di poco, la serie di politici/profeti di sventura che annunciano con separate e distinte, ma convergenti argomentazioni il disfacimento del tessuto sociale ed altre sciagure assortite se la sventurata legge viene attuata. Guarda caso, tutti fino a poco fa dello stesso partito o nelle immediate vicinanze. Che abbiano lasciato Rete4 a Berlusconi in cambio del monopolio della preveggenza? Le prossime elezioni regionali potrebbero centrarci, ma chi riesce a capire come è gentilmente pregato di spiegarlo a noialtri; in caso contrario lo scopriremo appena tra vent’anni leggendo le memorie degli attuali protagonisti.

    P.S.: fino a ieri sette milioni mi sembravano una cifra di tutto rispetto, anche spalmati su tre provincie. Poi ho preso in mano il Piccolo ed ho letto che, in un territorio costellato di caserme dismesse in vario stato di abbandono, la nuova caserma dei Carabinieri a Muggia di milioni ne costera nove e mezzo. Orpo. E non un udinese che fiati.

  3. Francesca ha detto:

    Uscita dalla seconda influenza consecutiva non mi sento particolarmente brillante. Ma qualcosina vorrei aggiungere al vostro dibattito.

    Obiettivo della legge nazionale 482: tutelare la lingua e la cultura friulana(oltre alle altre 11 lingue minoritarie presenti su tutto il territorio nazionale). In pratica lo Stato finanzia iniziative per la tutela varate dalle regioni (anche non a statuto speciale, come la Calabria che ne ha tre – albanese, greco e occitanico- o il Piemonte -francese, occitanico, tedesco. La Puglia si difende col greco, con l’albanese e col francese).

    Nel panorama nazionale non siamo proprio niente di speciale (sloveno, friulano e tedesco)se non per la diffusione più estesa di sloveno e friulano (relativo anche ciò: i comuni piemontesi di lingua occitanica sono 79 -per circa 200.000 persone, stima di 30 anni fa-, 53 i francesi, 5 i tedeschi). L’alloglossia è diffusa in Italia: dati del ’74 (quando in tutto il paese si cominciò ad affrontare la questione) parlano di circa 2.750.000 alloglossi, di cui 1.200.000 sardi. Sono dati da prendere con molto beneficio d’inventario non essendo mai stato fatto (e in alcuni casi nemmeno voluto) un censimento (fonte: Le lingue tagliate, Cesare Salvi).

    E fin qui la giusta e tardiva volontà del legislatore nel raccogliere (con decenni di ritardo) una giusta richiesta di tutela e salvaguardia di un patrimonio culturale prezioso quale la lingua.

    Il legislatore legifera per un paese, delega alle regioni il compito di modellarsi alle realtà locali. Fin qui ok.

    Entriamo nel caso specifico FVG. Quali sono i criteri per cui una lingua rimane ‘viva’? In generale:
    – l’uso
    – ‘orgoglio’ linguistico, che ha una componente affettiva e una culturale ‘alta’.

    Uso del friulano: la valanga di soldi piovuta sul Friuli nel ’76 ha stravolto totalmente l’assetto dell’area. Si è assistito a fenomeni migratori interni sottaciuti: lo spopolamento quasi totale delle montagne (dove il friulano era ben radicato), lo spostamento verso le aree industriali di contadini (tutti friulanofoni), il ripopolamento dei paesi con la borghesia udinese (dialetto veneto), la sclerosi del capoluogo trasformato in salottino buono.

    Il ’76 segna una crescita squilibrata e non accompagnata del Friuli. Chi aveva una carrozzeria diventa imprenditore meccanico, proliferano aziende, ipermercati ecc.
    Nessuno fa nulla per accompagnare una crescita economica così repentina con una crescita culturale. Si impiantano grandi industrie senza pensare che esiste il marketing, la ricerca, la sicurezza sul lavoro. Il modello rimane quello del vecchio padrone, ma allargato e diffuso (oltre ovviamente ad alcune eccezioni, Danieli docet).

    In questo stato di shock da iperbenessere nessuno si accorge che sta sparendo il tessuto base e fondamentale per la sopravvivenza di una lingua: delle migliaia di vocaboli del mio amatissimo Pirona (ho una laurea in linguistica con tesi sul friulano)metà si riferiscono a oggetti o realtà scomparse. La società dell’iperbenessere li sostituisce con ridicoli calchi dall’inglese (ridicoli anche in italiano, per inciso).

    Aggiungiamo un altro particolare non insignificante: io carnico trasferito a Manzano non parlo lo stesso friulano del mio vicino di casa manzanese e nemmeno quello del vicino originario di Faedis (e già prima io di Faedis parlavo un altro friulano rispetto a Attimis o Nimis). Io friulano di Cervignano, trasferito a Udine, non parlo friulano perchè a Udine storicamente non si è parlato molto in friulano. Io udinese a Tarcento non parlo friulano perchè non lo so.

    Tutto ciò giustifica dunque la tutela della lingua: impoverito dalla nuova realtà, difficilmente utilizzabile nelle nuove condizioni, il friulano rischia l’estinzione. Insomma, una lingua che non si usa muore.

    Per sua fortuna rimane forte e vivo l’orgoglio, e rimane vivo grazie agli affetti. E’ la lingua dei nonni, dei padri, è la lingua che mantiene vivo il ricordo di un passato pre-terremoto che non sarà stato il massimo da un punto di vista economico, ma riporta a un’identità culturale solida.

    Per quel che riguarda la componente culturale ‘alta’ sarebbe preferibile evitare di spingersi troppo oltre. Pasolini scrisse in friulano per motivi soprattutto affettivi e il suo friulano è il SUO friulano. Sul resto degli scrittori è meglio stendere un velo pietoso ed evitare giudizi di merito. Ci sono.Basta così.

    Fin qui penso di aver dimostrato che il friulano è lingua che necessita tutela.

    Provvedo ad altre due puntate, che preannuncio:
    1) come tutelare il friulano
    2) perchè qualsiasi parallelo con lo sloveno è fuori luogo.

  4. Francesca ha detto:

    Come tutelare il friulano?

    Se l’insegnamento a scuola del latino l’avesse preservato, oggi l’Italia sarebbe un paese dove tutti coloro che hanno fatto un liceo (classico, scientifico, psicopedagogico, linguistico) tradurrebbero a prima vista Virgilio o Seneca. In realtà il 90% si ferma alla prima declinazione di rosa, ma solo al singolare…

    L’inglese a scuola? Ok. Una figlia s’è diplomata al linguistico e sbiascica in tre lingue da far pietà.

    Infatti le lingue s’imparano se servono e s’imparano più facilmente se c’è una formazione culturale che ti permette di avvicinarti alle strutture sintattiche senza grandi difficoltà. E’ il senso di ‘greco e latino’ come palestra…Anzi, allargano la mente, si diceva una volta. Ed era vero: lo studio di strutture complesse rende estremamente semplice l’approccio al nuovo.

    Rimane il fatto che una lingua la si apprende perchè DEVI parlarla e scriverla. E questo sarebbe un punto in più per l’obbligatorietà del friulano a scuola, non fosse che non esiste, nella quotidianità nessun obbligo di friulano.

    Con questa legge lo si costruisce a tavolino e già ciò basta per desiderare di vederla affossare. Devo pagare una bolletta: ho l’obbligo di rivolgermi in friulano all’impiegato perchè sennò non mi capisce? No. Se devo pagare la stessa bolletta a Londra devo usare l’inglese, ma a Udine posso esprimermi tranquillamente in italiano. O anche in friulano, se lo parlo e so che lo parla anche l’impiegato. Devo fatturare in friulano? Dubito che oltre i confini della Piccola Patria qualcuno si prenderebbe anche solo la briga di assumere un’interprete…

    Tenuto presente che a) nessuna lingua viene tutelata dall’obbligo scolastico (nemmeno l’italiano, visto il livello generale dell’uso scritto) b)il friulano è una scelta libera non un obbligo, cosa fare per tutelarlo?

    Io proporrei di incalare risorse per rafforzare l’orgoglio e stimolare l’uso in una prospettiva quanto meno attuale. Il potenziamento (che poi come sempre significa finanziamento) dei mezzi di comuncazione e in particolare delle nuove tecnologie (cinematografia in primis) innalza la coscienza dell’importanza di una lingua. Il finanziamento della ricerca universitaria nei vari campi potenzia l’orgoglio d’appartenenza a una comunità linguistica.

    Il finanziamento della cultura alta in friulano in sintesi permetterebbe di cominciare a praticare quella strada di evoluzione culturale che il terremoto ha bloccato.

    Liberi (lo sono già e già finanziati dalla legge 15) tutti coloro che vogliono imparare a leggere e scrivere in friulano. Però anche formazione d’insegnanti in grado di traghettare dal friulano all’italiano e viceversa gli studenti, in modo da ripristinare un valore ‘alla pari’ ai due idioni. Pari dignità. Ma buttar via 7 milioni di euro in questo modo urla vendetta al cielo.

    Passo a breve all’ultimo capitolo, quello politico

  5. Francesca ha detto:

    Nel ’47 gli sloveni rimasti da una parte e dall’altra erano irrimediabilmente separati, fossero o no parenti. E lo sarebbero stati per molto tempo. Alle spalle un processo di snazionalizzazione sanguinolento, una guerra d’invasione (persa dall’Italia). Il minimo che gli sconfitti (gli italiani) potessero fare era riconoscere loro i diritti che avevano prima della catastrofe del Novecento.Esattamente come agli istriani furono riconosciuti benefici (se non ancora i beni) per quanto avevano perso. Tanto qui siamo i soli ad aver pagato per le scelte criminali del fascismo!

    Siamo quasi arrivati al 2008. Le scuole slovene sono una realtà che nessuno ridiscute, radicate nel territorio. I friulani sostengono che durante il fascismo era stato loro vietato di parlare in friulano a scuola. I veneti anche. Anche i romani. Anche i calabresi. Anche i siciliani. Anche i piemontesi. Anche ecc…

    Sono realtà completamente diverse. Ma siamo arrivati quasi al 2008 e ci beccheremo:

    1) Menia che sventola tricolori per l’italianità di Trieste a capo del corteo di esuli. E’ stato al governo, non mi risulta sia riuscito a far avere loro indietro nemmeno un loculo a Sesana. Prevedo altri sventolii d’italianità per tutte le prossime elezioni fino all’estinzione naturale del summenzionato.E ovviamente dei suoi colleghi.
    2) Spetic, massa di partito visto che non è più in un partito di massa, e la minoranza slovena in generale che, arrivati anche alle carte d’identità bilingui, non hanno quasi più nulla da chiedere (le scuole ci sono, la segnaletica anche, le carte d’identità pure) e s’aggrappano alla specialità della Regione per via dell’alloglossia (tranquilli, vi rieleggono!A proposito, i figli sono già in età di candidatura?).
    3) Gli autonomisti friulani che, a partire dal Patriarcato d’Aquileia, ripercorreranno le tristissime vicende di terre d’invasione (della Chiesa?) senza un solo giorno di riconoscimento ufficiale dell’identità nazionale della Piciule Patrie.
    4) In ordine sparso: foibe, Risiera, Porzus, Ferriera, Corridoio 5, rilancio del porto, esodo…

    Sapete una cosa. Scusate la volgarità. Restino tutti nei ghetti che preferiscono: io mi sono rotta i coglioni!

  6. djn ha detto:

    Menia che sventola tricolori? Certo che continuerà a farlo: basta vedere la carriera che ha fatto grazie solo a questo (perchè, ha fatto altro in vita sua?)- sarebbe un ingenuità rischiare di amalgamarsi col resto della truppa e perdere i voti estremisti. Secondo me sa benissimo che quell’area di voti sta declinando (gli hanno rivolto molti epiteti, ma quello di ingenuo mai), ma è prigioniero del personaggio che si è costruito (anche perchè dubito che ormai sappia fare altro che il politico ‘di protesta’). Ma rinfacciargli di non aver ottenuto niente per gli esuli è un tantino ingiusto: il suo ‘scarso rendimento’ non è peggiore di quello dei politici che col voto degli esuli sono stati al governo colla DC per quasi tutto il dopoguerra. Non a caso, oserei dire, nè per sbaglio o incapacità.

    Grazie per aver spiegato l’effetto della ricostruzione del 1976 sul friulano: credo di essere solo uno dei tanti che non l’aveva mai guardata da questo punto di vista. Ma la differenza quant’è esattamente: a livello di espressioni usate, come diversi dialetti della stessa lingua o tale da rendere difficile la comunicazione come (mi dicono) il sardo diviso in quattro parlate separate?

    Devo correggerti riguardo la specialità della Regione: alla minoranza slovena non ne importa più di quanto ne importi al resto della popolazione. Gli unici a cui preme sul serio essere ‘speciali’ sono i politici di qualsiasi schieramento, che da questo ottengono maggiori risorse finanziarie e di conseguenza maggior potere; per il resto l’essere a statuto speciale ha portato solo ad un ulteriore livello di intoppi burocratici. L’autonomia regionale è stata effettivamente frutto della presenza di una minoranza ( oggidì c’è la gara a negarlo ed a trovare cervellotiche motivazioni alternative, ma i verbali delle sedute parlamentari sono ancora lì a dimostrarlo) ma, visto che nei primi trent’anni non hanno avuto alcun effetto pratico, si finì per considerarla come un premio di consolazione del tutto astratto, ed assegnato ad altri per procura, pure.

    Stesso livello di interesse anche per la legge elettorale: gli unici ad essersi presi la briga di interessarsene sono i diretti coinvolti, quali candidati, futuri tali o in generale attivisti di partito. A volere (fortemente) tale legge è stata l’Unione slovena, e fin qui niente di strano; a contrastarla altrettanto fortemente sono stati i diessini, e tra essi di gran lunga i più contrari quelli della componente slovena, consiglieri regionali in testa. Tutto il resto di noialtri se ne è stato alla finestra a guardare cosa combinavano, ed alla fine abbiamo preso atto dell’esito con più sbadigli e meno interesse che per il campionato di calcio del Belgio.

    Nell’elencare scuole, segnaletica e carte d’indentita hai invece tralasciato il punto qualificante e lo scoglio principale della normativa di tutela della minoranza slovena: prima di tutto il riconoscimento a livello statale dell’esistenza di comunità di lingua slovena in provincia di Udine, senza il quale la legge 38/2001 si sarebbe chiamata 38/1977; poi analogo riconoscimento per i quartieri cittadini di Trieste e Gorizia, causa degli ultimi sette anni di palleggiamenti della patata bollente tra le istituzioni della repubblica. Cosa resta da chiedere? Se la storia del dopoguerra insegna qualcosa è che resta, una volta asciugato l’inchiostro sulla carta, da vedere effettivamente applicata la legge nel mondo reale – ed i precedenti non sono incoraggianti. Auguro miglior fortuna alla tutela del friulano, ma chi fa da sè fa per tre anche in questo caso.

    Poi ci sono i soliti politici che credono nel potere taumaturgico degli atti legislativi (nel caso di Segatti, nell’inesorabile potere distruttivo degli stessi). Contenti loro – col mestiere che fanno il contrario sarebbe strano. Per credere che basti una legge, o quarantadue ore di scuola all’anno, a cambiare in meglio o in peggio una società vorrei prima vederne una dimostrazione empirica. Le società sono di per se stesse conservatrici e e refrattarie – tutto quel che si può fare coll’attività normativa, credo, è guidarle nella direzione in cui stanno gia andando per conto proprio.

  7. enrico maria milic ha detto:

    due cose:

    CENSI E USO DELLA LINGUA
    affidarsi ai censi per sapere chi usa o meno una lingua (o dialetto, che dir si voglia) mi pare quantomeno dubbioso come sistema per capire la sua diffusione.
    sta nell’esperienza di tutti e soprattutto di quelli che vivono in aree ‘linguisticamente’ miste, come in uno stesso discorso si usino sia strutture grammaticali che stilisticamente non fanno parte della stessa ‘lingua’, sia parole provenienti da lingue diverse. e, ancora più importante, sulle risposte a un censo alla domanda ‘che lingua parli?’, non si tengono conto di tante motivazioni a rispondere in una certa maniera (magari parlo o comprendo il friulano ma non mi va di raccontartelo).

    UTILIZZO DELLO SLOVENO A TRIESTE
    questo è palesemente un tabù.
    non è affatto vero, come ricorda dejan, che sia presente dovunque necessario o giusto la segnaletica bilingue nei quartieri cittadini a presenza slovena (vedi roiano…).
    e non parliamo, più in generale, di come e perchè nelle scuole superiori triestine a nessuno passi per la testa di proporre l’insegnamento di sloveno o croato come lingue – alla stessa maniera di quanto accade per il tedesco e lo spagnolo (sì, lo so che il tedesco e lo spagnolo sono più diffusi nel mondo, ma lo sloveno e il croato potrebbero essere utili per lavorare in quest’area per non dire che sono simili a tante altre lingue slave, ecc ecc)

  8. francesca ha detto:

    Ok. Cerco di rispondere a entrambi. Nel caso del friulano purtroppo il discorso del censo c’entra e molto. O sicuramente storicamente ha avuto il suo peso.

    Il terremoto è il discrimine recente che divide la storia anche linguistica del Friuli tra un prima e un dopo.
    Prima del terremoto la struttura sociale era rigidamente divisa tra una campagna/montagna su cui vigilava la Chiesa rigorosamente friulanofona e una città, Udine, su cui vigilava la Chiesa in mano alla borghesia che s’esprimeva prevalentemente in dialetto veneto.

    Il dialetto veneto udinese è il più orrido dei dialetti veneti (per capirsi quello del Mandi,mandi), ma era segno distintivo di potere e denaro. Simbolicamente ricongiungeva la storia del Friuli alla Serenissima, massima espressione di quello che in Friuli è considerata la sindrome del sotan (il suddito) che è uno dei principali problemi da psicologia collettiva della zona.

    Nel ’69, quando sono arrivata a Udine, gli uscieri della banca dove lavorava mio padre mi salutavano con ‘Riverisco, signorina figlia del nostro signor direttore’ (per due anni ho evitato di passare davanti alla banca). Riverisco, signorina e quant’altro erano espressioni comuni e sicuramente il fatto che mio padre (da toscano)ne pretese la messa al bando segnò una piccola rivoluzione cittadina.
    In quegli anni a Udine c’erano tre persone importanti:il Vescovo,il Sindaco e il Direttore della Cassa di Risparmio. A discendere gli altri.Il Vescovo parlava italiano, veneto e friulano,il sindaco veneto e mio padre solo italiano. E anche questo venne considerato’fenomeno singolare’. Ma di fronte al potere nessuno osava fiatare.
    Complice il boom economico quelli furono anni di impercettibile rivoluzione dei costumi. Impercettibile e progressiva, durata dieci anni.
    Lasciati sacri i luoghi del potere, tutto si gestiva nelle osterie.In quelle periferiche si sentiva anche parlare friulano,in quelle del centro solo veneto udinese.Un sagace giornalista del Corriere divise la Dc udinese e le sue correnti per osterie e scelte enologiche (mio padre sempre out perchè andava a wishkey). Fino al 1976 nessuno fondamentalmente s’accorse che le cose stavano cambiando. Certo, via via col benessere sparivano figure tipo la nostra domestica (due anni più di me,ossia 14,mandata a servizio già a 10 anni dalla Val di Resia e praticamente adottata da mia madre), ma – a parte gli inveterati contestatori e gli ‘eredi’ dei vecchi partigiani della Garibaldi- la cosa non veniva percepita come un diritto a superare l’Ottocento e le ingiustizie, quanto come un’inevitabile concessione ai tempi dettata dalla bontà d’animo friulana.

    Il ’76 stravolse tutto in una notte. E fece riapparire l’orgoglio friulano, anche linguistico. Il motivo è meno nobile di quanto si possa credere. Abituati ad essere bastonati, l’idea di ricostruire non spaventava nessuno. Però permetteva a una nuova classe politica che da sempre aveva subito lo strapotere Dc di affacciarsi senza troppi scrupoli sulla scena. E così fu: i socialisti friulani si lanciarono nell’agone cavalcando il terremoto con molto coraggio e poche remore morali. Il bussiness era di 3.000 miliardi del ’76.

    Un affare colossale da dividere possibilmente il meno possibile tra politici,industrie, Chiesa. La finanza (nota a Trieste, ma ancora claudicante a Udine) gioca un ruolo importante, ma comunque marginale. E’ essenziale che le banche friulane (Crup e Banca del Friuli) amministrino la pioggia di denaro senza che nulla arrivi a Trieste con la scusa del capoluogo di Regione.Basta così.

    La rinascita dell’orgoglio nazionale parte dalla Chiesa, che poteva vantare potentissime diramazioni in ogni paesotto. Dal ‘fasin di be soi’ al ‘fevele furlan ai frutins, ch’al è onor e no vergogne’ in pochi mesi anche il più scettico antifriulanista si sentiva coinvolto nella costruzione di un’identità friulana che avrebbe riscattato l’intera storia di un popolo considerato bue dal resto del mondo.

    Sono gli anni che segnano le lotte per l’Università,gli anni del recupero di una letteratura in friulano quasi esclusivamente ecclesiastica o improntata al massimo rigore cattolico,gli anni in cui parlare in friulano diventa quasi un obbligo e un distintivo. Non tanto per la vecchia borghesia udinese (che rimane arroccata come i nobili francesi al suo glorioso passato) quanto per la nuova borghesia emergente (simbolicamente e politicamente rappresentata dai socialisti).

    I comunisti non stanno alla finestra. Con Lizzero (signore e padrone del Pci) recuperano quel Pasolini che avevano cacciato dal Friuli perchè omosessuale (ma non avranno mai la soddisfazione del pentimento e delle scuse di chi fu l’autore della scelta) e,con Baracetti, lanciano l’idea avveniristica (visto che è stata ripresa identica oggi) di insegnare il friulano obbligatoriamente nelle scuole.

    Il friulano,lingua, diventa lo strumento di gestione del megabussiness terremoto. Lo si cavalca ovunque. La Dc (forte dell’appoggio della Chiesa che fa per lei il ‘lavoro sporco’) si permette anche il lusso di mantenersi equidistante. I nuovi ricchi lo sposano al motto del Made in Friul, i comunisti -ligi e legati alla storia della Resistenza- si limitano a un calco delle richieste della vicina minoranza slovena (per inciso: quella che nelle Valli del Natisone è schiacciata e vessata proprio dai friulanofoni).

    Bella domanda: quale friulano? Non lo sa nessuno.Una delle cose più divertenti quando assisti a una conversazione tra friulani che non sono della stessa frazione è il continuo correggersi a vicenda nella pronuncia. Ufficialmente le varianti sarebbero tre, nella pratica sono centinaia e coinvolgono talvolta lo stesso paese.

    Poi l’affaire si conclude,le baracche scompaiono, appaiono le fabbriche e l’Università e il friulano torna nel dimenticatoio. Gli anni ’90 appartengono alla Lega Nord, una Lega che non ha niente a che vedere con Bossi e la Padania, ma che guarda a Haider e all’Austria. Parla friulano, ma sogna in tedesco.Dalla Serenissima i sotans ridiventano sudditi dell’Austria Ungheria. Sono gli anni in cui tutto l’arco alpino del nordest (dal Trentino Alto Adige fino alla Slovenia) cova un sogno d’unità di piccoli masi chiusi, ben ancorati al proprio nazionalismo, ma accomunati da tradizioni simili e soprattutto interessi economici.L’ascesa di Haider segna l’apice del processo.Di friulano non si parla più.

    Riappare nel nuovo millennio quando l’astro Haider s’appanna e il progetto in divenire non riesce a decollare. Perchè? L’asse Germania Austria si concentra, nel post bellico, sulla Slovenia e la Croazia, mantenendo salde le sue posizioni in Trentino A.A.
    Il FVG è tagliato fuori.E allora,come da copione recitato più e più volte,ecco che riappare la lingua e la ricostruzione dell’orgoglio (nuove leggi, la 15, finanziamenti ecc.). Questa volta l’orgoglio è quello dei Patriarchi di Aquileia (poi finalmente abbiamo finito!). Riscopriamo origini venete valorizzate da una parlata ladina. Riscopriamo, per non dover dire che ‘la festa è finita’, che l’industria deve fare i conti (non la Danieli,ovviamente) con un mercato che del friulano e dell’orgoglio se ne frega, che senza ferrovie e strade decenti(o un porto in vita) il maso chiuso industriale non rende un cazzo, che la scomparsa del vecchio tessuto produttivo agricolo è irreversibile, che la montagna non esiste più e che non si può più nemmeno contare sulle caserme e i soldi del Ministero della Difesa.

    E allora cosa facciamo? Una legge vecchia di trent’anni pensando di accontentare la gente, la int. Trovo tutto ciò patetico.Una specie di ultimo atto di un Novecento che da noi non vuole spegnersi con dignità,ma affida al melodramma la sua inesorabile fine.

    Francamente: a me non frega nulla se nelle scuole del Friuli insegneranno obbligatoriamente il friulano anche con metodo veicolare. Trovo assurdo che non si riesca a capire che dietro le strumentalizzazioni di una lingua (qualunque essa sia) si nascondano progetti o assenza di progetti politici e interessi economici. Non lo dico io: decine di sociolinguisti hanno studiato il fenomeno giungendo più o meno alle stesse conclusioni.

    Bene. Penso di aver finito(non senza confortare Milic sul futuro dello sloveno: ancora poche ore ed è finita. Almeno qui. E’ inevitabile. E’ il mercato,bellezza!)
    Francesca

  9. francesca ha detto:

    Ancora un appunto sullo Statuto. Suppongo sia ovvio che a nessun cittadino della regione gliene freghi qualcosa.Interessa molto invece a chi fa la politica economica di questa disgraziatissima Regione. Terremoto in Friuli,post bellico nella Venezia Giulia ci hanno disabituato a pensare in assenza di sussidi di stato.L’imprenditoria locale è spesso peggio dei tanti mendicanti che girano per città, e a differenza loro con rischio d’impresa e capacità imprenditoriali a ground zero.

    Se il comune cittadino da una regione ‘normale’ otterrebbe con meno burocrazia il suo mutuo casa, la pletora di assistiti di Stato via anacronistica Friulia morrebbe di fame. E con loro anche quel poco di lavoro che ancora c’è. Il problema è sempre lo stesso: lavoro ora e subito o speranza nel futuro?
    Iola miarisposta ce l’ho, ma la tengo per me.In fondo non essere più giovani è un lusso che mi piace godere.

  10. enrico maria milic ha detto:

    francesca,
    scusa.

    i mesi passati in gran bretagna mi hanno devastato quella poca capacità che avevo di farmi capire in italiano.

    per “censi”, intendevo “censimenti” (in inglese censimento è ‘census’, oops!,e mi sono incasinato).

    invece, volevo dire:

    – che i censimenti, come sistema per avere un dettaglio di chi parla cosa, valgono relativamente.
    e valgono poco soprattutto nelle aree mistilingue come la nostra. dove si usano grammatiche e parole tutte mischiate prese da diversi tipi di parlate.
    e dove vale quello che vale il dato raccolto dal l’intervistatore del censimento su che lingua si parla – non solo perchè le strutture linguistiche sono mischiate, ma anche perchè non necessariamente racconto all’intervistatore la “verità”.
    – non racconto all’intervistatore la “verità” perchè, spesso, dire di parlare un dialetto o una lingua minoritaria mal considerata socialmente equivale a stigma.
    – inoltre, la ‘lingua minoritaria’ magari la uso poco o quasi mai, magari la uso solo con la nonna: cosa dovrebbe rispondere allora l’intervistato, che la lingua la sa o no? presumibilmente le risposte che, in questi casi, un individuo da al censimento valgono quello che valgono: cioè poco.

    poi, su quanto dici qua:

    “Bella domanda: quale friulano? Non lo sa nessuno.Una delle cose più divertenti quando assisti a una conversazione tra friulani che non sono della stessa frazione è il continuo correggersi a vicenda nella pronuncia. Ufficialmente le varianti sarebbero tre, nella pratica sono centinaia e coinvolgono talvolta lo stesso paese.”

    come sai, ogni lingua, ha questi problemi: diverse o meglio infinite parlate. la lingua non è qualcosa, malgrado l’accademia della crusca, che può restare codificata in un libro. è un processo culturale in continuo divenire sottoposto a diverse influenze che vanno dalla soggettività dell’individuo alle sollecitazioni culturali a cui è sottoposto.
    anche quando nei secoli passati sono state scelte e codificate tutte le lingue nazionali standard (quelle che volgarmente vengono chiamate “italiano”, “inglese”, “tedesco”, ecc.), è stata scelta una variante tra varie lingue possibili (il toscano, la lingua di corte di shakespeare, ecc.). su quelle varianti gli intellettuali, le istituzioni e altri fattori hanno influenzato e prodotto la lingua nazionale standard – che è ancora oggi, come si vede e in ogni caso, un processo in divenire.

    quando scrivi qua:

    “Dalla Serenissima i sotans ridiventano sudditi dell’Austria Ungheria. Sono gli anni in cui tutto l’arco alpino del nordest (dal Trentino Alto Adige fino alla Slovenia) cova un sogno d’unità di piccoli masi chiusi, ben ancorati al proprio nazionalismo, ma accomunati da tradizioni simili e soprattutto interessi economici. […poi…] ecco che riappare la lingua e la ricostruzione dell’orgoglio (nuove leggi, la 15, finanziamenti ecc.). Questa volta l’orgoglio è quello dei Patriarchi di Aquileia”

    può essere, ma vorrei sapere su che base di dati affermi questo. personalmente, conosco alcuni ‘friulanisti’ e non mi pare che vivano nel loro maso chiuso in campagna, ma che vivano decisamente in un’ottica lavorativa e culturale globale. e che del patriarcato di aquileia non credo gli importi molto…

    poi,
    noti come legati a ogni rivendicazione sulla lingua ci siano degli interessi politici.

    qua, la storia delle lingue nazionali standard dimostra proprio questo, cioè che hai ragione:

    – che quando un potere ha delle ambizioni su un territorio (che noi possiamo chiamare nazionale, sovraregionale, regionale o che altro) tenta di proporre dei miti e delle ideologie unificanti (il mito degli “italiani” o dei “friulani”, con antichi romani annessi e patriarcati di aquileia)
    – e allo stesso momento questo potere costruisce/impone istituzioni (come la scuola) che unifichino le varie identità culturali (come la lingua) presenti su quel territorio.

    il problema mio è che se i friulani (o metti i triestini) stanno facendo qualcosa di simile, non ci vedrei nulla di male.
    il problema per me è non confondere la creazione e il sostegno a identità comunitarie locali e/o regionali con i necessario razzismo, xenofobia e chiusura verso il mondo che secondo molti opinion-maker di sinistra sarebbe la conditio sine qua non per questi processi.

    questa associazione necessaria e universale tra sostegno alle culture locali e rifiuto del diverso sono frottole, bubole, fritole.

    quindi,
    ok, tu dici a proposito dello sloveno:
    il mercato è il problema.

    bene.

    tu pensi che il mercato si riesca a governare meglio a livello ‘nazionale’ o locale? che si riesca a governare meglio la globalizzazione da roma (verso tutta l’italia) o da udine (verso il friuli)? io penso la seconda (e anche qua non vuol dire che il friuli si debba staccare dall’unione europea, o mettere in piedi un circuito economico solo tra masi, ecc. ecc.)

  11. francesca ha detto:

    Il mercato lo governi con le leggi del mercato. Non è Roma (che fa il suo ostruzionismo), non è Udine (che fa il suo). Il mercato se lo cavalca da anni la Danieli (che non ho citato a caso), che è grata a Roma o Udine se c’è da risparmiare qualcosa, ma che se ne frega ampiamente di cosa fa Roma o Udine.

    Non ricordo più qual è l’imprenditore friulano intervistato tempo fa che si considerava dislocato in regione, come se fosse Hong Kong o Bucarest e che mi ha rilasciato l’intervista solo se evitavo di citargli i politici. Se pensi di interagire con la globalizzazione (di cui io ho un’opinione positiva, sperando che prima o poi anche le genti riescano a guadagnare lo stesso rispetto che oggi hanno le merci)stai nel globale e ti adegui a quello. E le leggi del mercato a Roma o Udine puoi solo rallentarle. Ricordi quel pietoso intervento del Comune di Trieste che bocciò la bretella Ts- Koper perchè snazionalizzava Ts? Ecco. Quella bretella ci sarà comunque, lo vuole il mercato.
    Ricordi Maresca che impose a Koper di acquistare il VII col 49% massimo e senza far concorrenza? Una risata l’ha già seppellito. Il mondo va avanti, non sempre come vogliamo noi, ma va avanti. E giorno dopo giorno perdiamo potere contrattuale. Se i chapareni ne hanno poco ci avviamo ad averne quanto loro.

    Cosa successe all’epoca: i segnali erano numerosi nel pre e nell’immediato Haider. Tra cui un delitto per dirottamento di fondi dal STVP alla Lega, oltre al dilagare dei nazionalismi estremi in tutto l’arco alpino del nordest.

    La lingua usata per la politica? Io la lingua la uso per comunicare. Se viene usata per la politica viene strumentalizzata per qualcosa d’altro e talvolta serve a coprire proprio l’assenza di comunicazione. Punti di vista. Anche politic.
    Francesca

  12. Julius Franzot ha detto:

    Da quanto scrive Francesca, mi sembra di capire che per lei il Friulano come lingua non è altro che il pretesto per sottolineare la diversità del Friuli da altre Regioni (anche da altre Province). Non me la sento di darle torto, però, anche se fosse così? In Veneto sta succedendo la stessa cosa, mai come da 10 anni a questa parte ricorrono i fasti della Serenissima e la Regione pullula di partiti ed organizzazioni venetiste, e loro non hanno avuto il terremoto e “il business”. Non è molto diverso quello che aveva cominciato a farsi sentire in Carinzia, cioè un diminuito patriottismo austriaco ed uno maggiore carinziano. I cambiamenti si notano per esempio dal costume e dall’inno che viene suonato per le celebrazioni. Qui Haider c’entra come i cavoli a merenda: lui semplicemente si è reso conto che il regionalismo stava rinforzandosi e ha cavalcato l’onda lunga per farsi votare, come fanno tutti i politici al mondo quando credono di fiutare il futuro.
    Mi sembra che mezza Europa, in particolare le terre contese, stiano vivendo un cambiamento storico, non solo in relazione al portafoglio. Ci si rende conto che le frontiere, che dalle nostre parti sappiamo bene come sono state tracciate, dividono Popoli inutilmente e, diciamocela tutta, a volte anche nei posti sbagliati. Pertanto io vedo, e l’ Euroregione ne è la massima espressione, che certi confini, ritenuti innaturali, si tentano non di abbattere, ma di relativare, di rendere meno incisivi sulla vita dei cittadini di ambo le parti. Vedasi i Triestini che comprano casa a Sesana. Se poi compare la consapevolezza di altri confini, non certo di quelli del proprio maso, si tratta a mio parere di un’ evoluzione della Storia, di un cambiamento della comunità di riferimento e se qualche politico, per esempio Bossi, ne ha tratto capitale elettorale, che male c’è? Non c’è forse un partito che da queste parti vive elettoralmente di “ritorneremo” e beni abbandonati, di Trieste caralquore e di Oberdank? Finchè avranno qualcuno che li vota e non imporranno le loro idee con l’olio di ricino, non potrò dire altro che “non sono le mie idee”, ma non potrò arrogarmi il diritto di disprezzarli solo perchè pescano voti in un certo serbatoio.
    Last, but not least: non vi sembra che se fosse maturata la consapevolezza che non occorre fare guerre sanguinose per cambiare o abolire i confini, saremmo molto più civili? In Belgio questa consapevolezza è pienamente maturata e nessuno si sogna di agitare spettri.

  13. francesca ha detto:

    Caro Julius, quanto scrivi conferma di fondo quanto teme Maran. Siccome io non temo quanto Maran (una risata del mercato cancellerà tutto)rispondo per quanto mi interessa. Senza un mercato reale l’Euroregione è una panzana. E siccome quel mercato è al momento inesistente, è inutile agitarlo agli occhi dell’elettorato.

    Prendi il turismo in montagna. Anche il più inesperto degli operatori sa che Slovenia e Carinzia hanno montagne (e piste) affacciate a nord (e quindi anche la poca neve che c’è regge un po’ di più) e il Tarvisiano e la Carnia a sud (e quindi se vuoi la neve te la fai coi cannoni). Il nostro saldo è positivo perchè tutti sappiamo che non c’è scuola della regione che noi sia stata costretta a sciare a marzo nel fango del Tarvisiano/Carnia. Il pacchetto Trimurti (non ricordo il nome reale) è una delle tante cose raccontate e indecollabili.

    Lo stesso vale per tutto il resto. Austria (e dietro, anzi avanti, la Germania) e Slovenia hanno rapporti di mercato privilegiati. E sono gli unici che contano. Qualsiasi cosa dicano perchè hanno dimenticato che a tacere si fa più bella figura i politici della regione conta meno del due di picche.

    A Roma non esistono, all’estero pure. Facciamo l’Euroregione (senza la Slovenia). Per conto mio anche Eurodisney e Fantastilandia. Di potere contrattuale qui nessuno ha mai sentito parlare? Pensate sul serio che sessanta massapasciuti capeggiati da uno travestito da imperatore (più assessori a scelta) possano ancora qualcosa? Beata gioventù.
    Francesca

  14. enrico maria milic ha detto:

    francesca, quando dici che il mercato non si può governare, esageri un pochino. o sei imprecisa.

    neanche io penso che possiamo influenzare i flussi economici globali più di tanto dal nostro ‘nowhere’ (in triestino: ‘cul de tutti de posto’).

    ma ci sono dei modi per gestire, stimolare in senso positivo o eventualmente opporsi a quello che ci propone il menù della casa – globalizzata.

    mi riferisco, solo per fare un esempio, a quanto ci potremmo preoccupare di quali sono le scelte energetiche a livello territoriale, condominiale e di appartamento. rigassificatori, distributori tamoil a barcola, caldaie, pannelli solari, altre produzioni energetiche alternative, automobili, biciclette e trasporti pubblici come sai possono essere temi importanti su cui i cittadini sul territorio hanno un certo potere.

    e sono, in questo caso, i cittadini su una specifica area territoriale (non così ampia come la cosiddetta nazione) che hanno un certo potere di influire su questi processi.

    non è vero che il mercato puoi solo rallentarlo.

    diciamo che in linea di massima siamo piuttosto succubi di un’ideologia che vuole che il mercato e le sue leggi siano l’unica possibilità.
    ma ci sono mercati e mercati, liberismi e liberismi, e le comunità si adeguano a questi poteri in maniere molto diverse che non necessariamente vogliono dire essere ‘comunisti’, ecc. ecc.

    per quanto riguarda l’euroregione, non è vero che il mercato è inesistente. non è così grosso o mirato a essere significativo in ‘senso euroregionale’. ma vedi gli investimenti austriaci e carinziani nel settore bancario nell’ex jugoslavia, vedi la presenza piuttosto significativa di prodotti di veloce consumo italiani e nordestini in ex jugoslavia e qualcos’altro ancora.
    è vero invece che avrebbe senso un coordinamento dei servizi pubblici a livello ‘euroregionale’. e anche che avrebbe senso stimolare la collaborazione culturale tra questi posti confinanti all’interno dell’euroregione.
    che l’euroregione sia anche una speculazione politica dei politici (solo di alcuni a dire il vero) non c’è dubbio.
    ma quando mai c’è un’iniziativa politica che non dev’essere anche elettoralmente giustificabile o gradita e viceversa? raramente, no?

    la bretella di koper è un cattivo esempio perchè :
    – l’italia è da 60 anni che avrebbe dovuto costruire qualcosa del genere che ci colleghi da trst al resto del mondo a nord e a est…
    – i trasporti su treno sono qualcosa di socialmente più valido di quelli su gomma, perchè pare inquinino di meno
    – ecc.

    su tarvisio non so, ma non mi hanno mai portato in settimana bianca là
    ; )

  15. francesca ha detto:

    A questo punto potremmo sul serio aprire un nuovo post e spostare lì la discussione.
    allora:1) il nostro Imperatore, in ciò in linea con Prodi, concepisce il rilancio economico o ogni eventuale intervento nel mercato come FINANZIAMENTO DI STATO. Questa è la logica più antimercato esistente, da sola valido motivo per sperare che non lo ricandidino o non vinca.
    2) l’opinione pubblica anche e soprattutto in materia di ambiente e energia conta una cippa lessa.La gente meno ancora.E infatti siamo fanalino di coda d’Europa in materia. Secondo astrusissime (per logica) leggi regionali pare impossibile produrre energie alternative. E non mi risulta nemmeno che tali legge siano state toccate. Quanto alla tutela dell’ambiente non ricordo un intervento da tempo. Va anche detto,però, che a parte due o tre movimenti (vedi Ts Ferriera e grillini, Legambiente e WWF-in Friuli in guerra tra loro),a nessuno importa nulla. Prova a parlare di gestione delle acque nella Bassa Friulana e t’inseguono coi forconi!
    3)La bretella si poteva cominciare appena nell’89, perchè prima ci mantenevano così apposta,visto che servivamo alla Cortina di ferro. Idem le infrastrutture… Comunque non abbiamo neanche cominciato.
    4) In questo tristissimo panorama regionale che è politico con ripercussioni anche sull’economia (manca lo spirito imprenditoriale e quindi l’impresa) nasce un’Euroregione senza la Slovenia.Tradotto:Austria e Slovenia continuano a fare affari tra loro (non solo banche) e al FVG si dà la capitale di un regno simbolico per l’Imperatore.Fantastico! Quanto ai nostri investimenti in ex-Ju il più emblematico è Telekom, dove persino i greci ci hanno riso dietro.

    Ciò detto e visto che continuiamo imperterriti a dormire mentre il mondo va avanti, spero tanto che siano proprio le leggi del mercato a modificare prima o poi l’attuale stato delle cose, costringendoci al risveglio e a recuperare i decenni perduti. Italia e Regione FVG.

    In caso contrario beamoci di Euroregione,Corridoio 5,rilancio del porto,città della scienza (Jurassic Park),friulano,dialetti vari, ecc. per altrettanti decenni.
    Ciao ciao
    Francesca

  16. Roberto C. SWG ha detto:

    Solo una piccola parentesi sul tema dei censimenti.
    In occasione dei censimenti del 2001 a fronte della richiesta di produrre modelli in lingua slovena l’ISTAT aveva eccepito che questo avrebbe determinato in modo indiretto la rilevazione dell’origine etnica, che rientra tra i dati sensibili in base alla legge 675/96.
    Qui trovate la risposta del Garante(http://www.garanteprivacy.it/garante/doc.jsp?ID=42640).

  17. Julius Franzot ha detto:

    @Francesca

    1. Ma sei convinta che il “mercato”, soprattutto come lo si concepisce dal 1991 ad oggi, quello ultraliberista, che mette la politica al servizio dell’ economia (di una certa economia), sia la “fine della Storia” come ebbe a definirlo Maggie Thatcher? Vedo da molte parti voci discordanti, che ripensano su certe decisioni prese a caldo dopo la caduta del comunismo. Una per tutte, Kurt Beck, che si è messo contro la maggioranza del suo partito (SPD) per sottrarre le pensioni alla logica puramente monetarista. E, miracolo, è stato sostenuto proprio dalla Merkel, che anni fa aveva fatto del monetarismo alla Smith la sua bandiera. Beck è riuscito ad imporre la sua linea. I tempi cambiano, ma in Italia quasi non si avverte un mormorio di fondo sempre più diffuso. Almeno il Popolo non lo avverte, Veltroni lo vede benissimo e fa la sua controriforma. Potrei scriverne per ore, ma sarebbe fuori tema.

    2. Se l’ opinione pubblica non contasse nulla, la Baia di Sistiana sarebbe già stata messa a posto da dieci anni. E se le leggi regionali sull’ energia alternativa oggi sono stupide, non ti sembra che l’Euregio sia una possibilità per cambiarle?

    4. L’ Euregio è solo per il momento senza la Slovenia. Di Euregio mutilata parla solo Menia perchè lui è per l’Italia fino al Brennero e deve difendere i voti di quelli che da sempre lo votano nella speranza di riavere i beni abbandonati, ma anche sul Piccolo è stato chiarissimo che si tratta solo di un passaggio intermedio, aspettando che la Slovenia si regionalizzi.

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