19 Dicembre 2006

Safari – il mio racconto di Natale

In cross-post col mio blog.
Scusatemi.

A Trieste, ieri sembrava che i rifiuti di strada
avessero visto in massa American Beauty.

Free press, volantini, pacchetti di sigarette
giravano vorticosamente nell’aria.

Vento. Tanto vento.

Un tappeto di ombrelli distrutti.
E’ la cosa che più mi sconvolse anni fa quando approdai a Trieste.
Vedere che durante la Bora i cestini della città erano pieni di ombrelli sfasciati dal vento.
Ora gli ombrelli sono molti di più.
Colpa dei cinesi.
Tutti comprano da loro.
Ma gli ombrelli che fanno a Hong Kong
non funzionano all’incrocio tra via Mazzini e Piazza Goldoni.

Cerco rifugio in ufficio.
E’ ufficiale: sono triste.
Aspetto un sms.
Ma non arriva. La diva. Allora prendo la decisione. Faccio le scale fino alla porta.
Che è aperta
.
No, scusate questo è Carboni. Ogni tanto mi scappa.

Dicevo, aspetto un sms.
Brutta storia gli sms. Fondati su un complesso nevrotico.
Depositi aspettative sulla risposta altrui.
Ansia se non arriva.
Allora avvicini il cellulare, lo stringi per non perdere nemmeno un attimo quando vibrerà.
Ma non vibrerà. E lo sai.
Deleghi la tua eventuale gioia a una risposta altrui.
Non va bene. Ma è così.

Un pop-up mi segnala l’arrivo di una mail.
E’ di uno come me.
Uno della old school della new economy triestina.
Mi invita a bere il caffé.
“Io metto il caffé, tu metti le sigarette”.
Non sa che ho cominciato a fumare tabacco.
Allora per non sfigurare vado a comprare un pacchetto da 10.
Userò questa scusa: “è l’unico modo per tenere sotto controllo il mio livello di nicotina”.

Dopo il caffé.
Decidiamo di fare due passi.
Se hai il vento a favore è una corsa.
Se hai il vento contro è slow motion.

“Andiamo a vedere il cammello?”
“Cosa?”
“Sì, c’è il presepe vivente e c’è pure un cammello”
Fico.
Devo assolutamente vedere il cammello.
Sento un desiderio irrefrenabile di qualcosa di esotico.

Entro nella scenografia del presepe vivente di Piazza Sant’Antonio.
Me la tiro e non saluto le pecorelle. Nemmeno San Giuseppe.
Punto dritto al cammello.
E’ meraviglioso.
In quanto socio LAV dovrei protestare.
Ma il cammello mi incanta.
E’ silenzioso. Immobile.
Ti guarda con sufficienza.

“Cosa mi frega di te. La mia testa è nelle lande del Sudan.”

Ha lo sguardo identico al mio.
Triste ma col sorriso sardonico.
La mia espressione tipica.

Passo il resto della giornata a pensare al cammello.
Credo di aver bisogno di un nuovo amico.
Per un attimo il cammello mi fa dimenticare che sto aspettando un sms.

Ceno a base di verdura, frutta e proteine naturali.
E abbondante acqua. In suo onore.
Provo a ruminare. Ma mi riesce male.

Stamattina mi sveglio. Presto. Molto presto.
Scopro che l’sms non è arrivato.

Credo di avere bisogno del mio Sudan.
Mi vesto in fretta. L’ufficio mi aspetta alle nove.
Sono le 7 e 30.

Il fantasma di mio padre sarebbe già in ufficio a prendersi avanti col lavoro.
Io invece punto dritto a Piazza Sant’Antonio.
Il Presepe Vivente non è ancora aperto.
Mi bevo un caffé.
Leggo il giornale.
Ma sono distratto.
E nervoso.
Devo vedere il cammello.

Scruto lo stalliere che conduce una carriola con la paglia.
Lo seguo.
Entro con lui.
Il Presepe Vivente è ufficialmente aperto.

E lui è lì. Identico a ieri. Stessa espressione.
Da lontano voci di bambini in avvicinamento.
Mi piazzo di fronte al volto.
Il cartello “Non fotografare” mi rassicura.
Il cammello non vuole forme di divismo. E’ modesto.

Chino il capo al suo ritmo.
Provo a fargli un’espressione divertita. Non reagisce.
Ha capito che mi stavo sforzando.
“Cazzo ridi? Non c’è niente da sorridere”, sembra dire.
E ha ragione.

Mi affianca un bimbo. Dietro, la sua sorellina. Dietro la sorellina, la madre.
Lo guardo.
Il bimbo risponde al mio sguardo.

I bambini non sono cattivi. I bambini sono solo sinceri.
Siamo noi pseudo-grandi che scambiamo sincerità per cattiveria.

“Mamma mamma ma perchè è così triste?”
Io mi giro.
Lo guardo.
Colgo la palla al balzo.
“Ho avuto due giornate emotivamente pesanti, davvero molto pesanti”.
Silenzio.
La madre incrocia il mio sguardo mesto: “Veramente stava parlando del cammello…”
“Ah, mi scusi”.
Me ne torno in ufficio.
Dando appuntamento al cammello in pausa pranzo.
Mi aspetta.

3 commenti a Safari – il mio racconto di Natale

  1. valerio fiandra ha detto:

    è un buon racconto di natale, mister EnEnEm. Vorrei tanto che il Cammello avesse un nome. Lei lo conosce? E disposto a rivelarlo?

    Con simbatia

    VaFia

  2. Enrico Marchetto ha detto:

    Credo si chiami Enrico 🙂
    Mi pare di aver sentito così…

  3. massimiliano ha detto:

    grande…
    ieri l’ho visto pure io il cammello.
    hai ragione. quando guardi certi animali ti accorgi che sembra di stare davanti allo specchio che riflette i tuoi pensieri.
    questo, nella fase-down.

    poi, scatta la magia.
    lo guardi meglio e ti accorgi che – sardonicamente – no ‘l te ga nianca pel cul.

    e allora sorrido, son felice e vado via…

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